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23.01.2019 - 08:510
Aggiornamento: 09:56

Pontiggia "pettina" Lojacono Baragiola: "Se vuole mettere la parola fine sugli anni di piombo, che torni in Italia"

Durissimo editoriale del direttore del Corriere del Ticino contro l'ex brigatista: "Esigere che chi ha compiuto dei crimini sconti quanto dovuto non è sete di vendetta, ma un atto di civiltà giuridica”

MUZZANO - “Noi la parola fine a questa vicenda l’abbiamo messa da tempo. Loro no. Per metterla, devono solo tornare in Italia”.

Fabio Pontiggia non usa giri di parole verso gli ex militanti delle Brigate Rosse sfuggiti alle patrie galere. Il direttore del Corriere del Ticino ha dedicato stamane un lungo editoriale ai protagonisti del terrorismo rosso, ancora latitanti all’estero. In particolare ad Alvaro Lojacono Baragiola, cittadino svizzero e residente nel nostro Paese, che in settimana ha rotto il silenzio dicendo la sua sugli anni di piombo e sulla sua condizione personale.

“Lojacono Baragiola - scrive Pontiggia - ha pagato soltanto per l’attentato terroristico nel quale venne ucciso dalle BR il giudice Tartaglione (17 anni di carcere in Svizzera, non tutti passati dietro le sbarre, grazie alla semilibertà per buona condotta). Quanto agli altri crimini gravissimi, per i quali è stato condannato in via definitiva in Italia (omicidio dello studente greco Mikis Mantakas e agguato e strage di via Fani a Roma per il rapimento del leader della DC Aldo Moro), Lojacono si è sottratto all’espiazione delle pene (inflitte in contumacia in quanto l’imputato era fuggito all’estero)”.

“In due interviste degli scorsi giorni (Ticinonline e Italia1) - argomenta ancora il direttore del CdT - ha seguito la medesima linea che gli ex terroristi latitanti e non pentiti seguono da anni: vestire i panni della vittima. Vittima della presunta sete di vendetta dello Stato italiano e del giudizio di chi si rifiuterebbe di «trattare le cose storicamente», con il sottinteso che «trattare le cose storicamente» significa condividere la teoria degli ex terroristi secondo cui l’eversione armata degli anni di piombo sarebbe stata né più né meno che una guerra tra lo Stato classista governato dalla Democrazia cristiana - con l’appoggio esterno del PCI - e una parte della società pronta ad imbracciare le armi. Non quindi crimini da giudicare e sanzionare penalmente, ma un conflitto sociale da archiviare con un accordo e un riconoscimento politico, indipendentemente da quanto accertato dalla giustizia”. 

“Sul piano storico - termina Pontiggia -  non c’è più nulla da appurare: il terrorismo rosso è stata un’ondata di violenza ideologicamente accecata contro lo Stato liberaldemocratico, che ha mietuto vittime innocenti in quanto ritenute servitrici o simboli di quello Stato, nella convinzione che la violenza avrebbe prima o poi portato alla rivoluzione e al ribaltamento del sistema. Ancora oggi gli ex terroristi non pentiti di fatto misconoscono che lo Stato liberaldemocratico non è lo strumento che un partito e una classe sociale utilizzano per dominare, ma è l’insieme delle regole e delle istituzioni che garantiscono, per quanto in modo imperfetto, le libertà e i diritti dei cittadini, di tutti i cittadini. Oggi come negli anni di piombo. Così facendo restano irrimediabilmente ancorati all’ideologia che aveva armato le loro mani assassine. I crimini compiuti nel più assoluto spregio di queste regole e di queste istituzioni fanno parte sia della verità storica sia di quella giudiziaria. Esigere che chi li ha perpetrati sconti quanto dovuto non è sete di vendetta, ma un atto di civiltà giuridica”.

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