Tamara Merlo racconta il caso paradossale di una candidata di Più Donne che vuole comparire col doppio cognome, così come riportato su carta d'identità e casellario giudiziale), ma per il Comune non può. Ed è ricorso
LUGANO - E sono tre: per la terza volta, dopo le elezioni cantonali del 2019 e quelle federali dello stesso anno, Tamara Merlo di Più Donne si prepara ad avviare una campagna elettorale con... un ricorso. Questa volta, una delle sue candidate desidera comparire sulla lista con il cognome da sposata (ormai divorziata) e quello da nubile ma parrebbe non potere.
Sulla carta d'identità (e sul casellario giudiziale) la donna ha entrambi i cognomi, mentre in Comune è registrata col solo cognome da sposata. "Questa volta si tratta di una questione fondamentale: il diritto di comparire con il proprio nome e cognome sulla scheda di voto. Sembra normale, no? E invece può rivelarsi una corsa ad ostacoli, come minimo. La questione riguarda in massima parte le donne: alla radice del problema c'è consuetudine secolare di prendere il cognome del marito", spiega Merlo.
"Tra cognomi da nubile, da sposata, da divorziata... c'è di che soffrire di crisi d'identità. O forse no, almeno non fino a quando non si cerca di candidarsi, e magari di essere elette, utilizzando il nome e cognome che si usa comunemente nella vita di tutti giorni. Non uno inventato, non uno 'che ci piace di più', ma proprio quello che si trova sul casellario giudiziale (che bisogna consegnare per candidarsi al Municipio) e - udite, udite - sulla carta d'identità! Tra l'altro, lo stesso cognome che si trovava sulle schede di voto per le elezioni cantonali e federali del 2019. Ma che (fino a questo momento) viene negato, tagliandolo a metà, sulle schede per le comunali. Inaccettabile".
Dunque, è ricorso. La deputata è fiduciosa di vincerlo ma resta comunque la questione di fondo su cui riflettere: "quella dei cognomi: dei coniugi, degli ex coniugi e, soprattutto, della prole. Una riflessione da fare a livello federale, è chiaro, ma con il contributo dell'opinione pubblica. La questione della parità, della pari dignità, dei pari diritti passa anche dal nome, proprio e dei propri figli, è ovvio. Ma affrontiamo un problema alla volta: per ora mi accontenterei di trovare in lista le candidate con il nome e cognome con cui sono conosciute, che usano comunemente e che hanno sui documenti d'identità".