Lo storico: "Chi invoca la resa degli ucraini è come se sputasse contro la resistenza partigiana ai nazifascisti"
BELLINZONA - “Chi invoca l’equidistanza nella cruenta contesa in corso, si rende colpevolmente complice”. Andrea Ghiringhelli, in un articolo apparso stamane sulla Regione, fa barba e capelli ai “né-né”, coloro che non si schierano né con Putin né con l’Ucraina e la Nato. Lo storico, come leggeremo, critica anche i pacifisti ad ogni costo, quelli che ad esempio sono contrari all’invio di armi all’esercito di Kiev.
“Un po’ ovunque, in Occidente e altrove - scrive Ghiringhelli - si moltiplicano le manifestazioni contro l’aggressione: condivido e sono fra i fautori della protesta forte e instancabile. Ma mi disturba uno slogan ricorrente: leggo su qualche striscione "No a Putin No alla Nato". Mi ricorda un altro slogan ricorrente, anni Settanta dello scorso secolo, quando le Brigate rosse e la Rote Armee Fraktion ammazzavano e sequestravano: "Né con lo Stato né con le Brigate rosse". Era un invito a chiamarsi fuori, a non schierarsi, a non essere partigiani. Perché i terroristi – si sosteneva – uccidevano e sequestravano ma lo Stato opprimeva: due tipi di violenza, entrambi deprecabili. Oggi i pacifisti fino in fondo ci dicono che non esistono guerre giuste perché tutte sono sbagliate. Capisco, ma la storia mi insegna che esistono guerre un po’ più giuste di altre. Esiste, per esempio, il diritto di resistenza, il diritto di un popolo di opporsi alla brutale aggressione di un invasore: con la parola e la diplomazia fin che si può, con le armi quando ogni altro strumento è negato. In Ucraina la follia criminale di Putin, narcisista perverso – che all’autoreferenzialità esclusiva aggiunge una dose massiccia di aggressività e sadismo – non mi pare offrire alternative”.
“L’aggressione dell’Ucraina - prosegue Ghiringhelli su La Regione - in realtà significa l’aggressione a un popolo ma allo stesso tempo è il cozzo fra due sistemi politici incompatibili, il nostro e quello proposto da Putin: da una parte le democrazie liberali e dall’altra le cosiddette democrazie illiberali. Putin ne è il teorico e supremo artefice. (…) Chi invoca l’equidistanza nella cruenta contesa in corso, chi rifiuta la scelta partigiana e la motiva con mille distinguo – io non ho dubbi – si rende colpevolmente complice. Quindi gli ucraini debbono essere difesi perché la democrazia liberale (con i suo valori) deve essere difesa con i denti e con le unghie contro le aggressioni liberticide”.
“Chi invoca la resa incondizionata degli ucraini - argomenta ancora lo storico - perché "armare i civili serve solo a prolungare la carneficina e tanto l’esercito russo vincerà ed è meglio farla finita", è come se sputasse su coloro che aiutavano i moti risorgimentali in Italia contro il dominio austriaco, è come se sputasse contro coloro (parecchi i ticinesi) che andavano a combattere per i repubblicani contro lo strapotere franchista, è come se rinnegasse le guerriglie partigiane contro il nazifascismo, è come se ripudiasse tutte le guerre di liberazione passate e future. Quindi privilegiamo la diplomazia ma aiutiamo in ogni modo gli ucraini a resistere. (…) Facciamo pure tutte le distinzioni del caso, ma intanto prendiamo posizione ed evitiamo la pusillanimità di chi invoca la pace subito, costi quel che costi, anche a prezzo dell’annientamento rapido di un popolo che vuole resistere e reclama la sua sovranità. Non dimentichiamo che oggi ad essere trucidati e martoriati non sono solo le vite e i diritti degli ucraini: le bombe di Putin vogliono distruggere i fondamenti stessi su cui si regge il nostro sistema politico”.