POLITICA E POTERE
Daniel Ritzer in difesa di Xhaka: "Con lui siamo un po' ipocriti"
Il direttore della Regione si schiera con il capitano della nazionale, dopo la pioggia di critiche per i gestacci nella partita con la Serbia

BELLINZONA - Daniel Ritzer si schiera dalla parte di Granit Xhaka. Con un editoriale pubblicato stamane sulla Regione, il direttore del quotidiano prende le difese del capitano della Nazionale, dopo la pioggia di critiche ricevute dal numero 10 a causa di alcuni comportamenti provocatori tenuti durante la partita con la Serbia. 

“Che porti la maglia numero 10 oppure la 26- esordisce Ritzer nel suo commento - Xhaka è uno solo. Piedi, testa e cuore. L’anima della squadra. Qualcuno, seduto al calduccio in uno studio televisivo a Comano, gli rimprovera i gestacci durante la partita della Svizzera contro la Serbia (mano attaccata ai genitali di fronte alla panchina rivale, come Vlahovic prima di lui), gli insulti (pronunciati, dopo quelli ricevuti), la provocazione di aver indossato a fine partita la maglietta del compagno Jashari, omonimo di Adem uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo. Dalle colonne del Mattino addirittura si alza l’asticella e si chiede alla Federazione di togliergli la fascia da capitano, dopo una partita “che si è trasformata in un ring politico”. Reazioni politiche in effetti ci sono state, nei Balcani”.

“In verità - prosegue il direttore della Regione - lo sapevamo tutti, per il ragazzo dalle origini kosovare quella contro la Serbia non è mai una partita qualsiasi: identificato con la causa dell’indipendenza, figlio di un attivista politico, Granit aveva già fatto capire quattro anni fa, con le famose aquile ai Mondiali in Russia, cosa gli suscita la sfida contro gli uomini di Belgrado. Cosa pretendevamo? Che il ragazzo conducesse la Svizzera verso gli ottavi di finale, senza però farci fare una “brutta figura”. Un po’ ipocriti siamo”. 

“Grazie al suo granitico capitano - argomenta ancora Ritzer tornando al match di venerdì scorso - la Svizzera non verrà mai messa veramente in difficoltà dalla tosta squadra serba. Xhaka si fa trovare sempre al posto giusto: per contenere l’avanzata dei serbi, per impostare le ripartenze rossocrociate, per dare indicazioni ai compagni, per attirare su di sé la rabbia degli avversari e portarli, sul piano psicologico, fuori dalla partita".

"E poi - termina il direttore della Regione - l’esultanza finale, con addosso la maglietta del compagno Jashari, un gesto provocatorio ma pure studiato: “Niente di politico – dirà Granit nella conferenza stampa post partita –, semplicemente un modo di rendere partecipe il giovane Ardon, un ragazzo che mi sta molto a cuore”. Quindi no, Xhaka non ha perso la testa. È vero: ha reagito in modo incomprensibile per molti, sicuramente condizionato dalla dignità ferita del suo popolo, quello kosovaro, che ancora oggi lotta per vedere riconosciuta la propria indipendenza dalla Serbia. Dunque, una tensione extra sportiva che gli ha permesso di interpretare la gara con quella carica emotiva addizionale – discutibile, per carità – che in un Mondiale sa essere determinante. Alcuni anni fa il ticinese Valon Behrami, pure lui di origine kosovara, aveva dichiarato che con il calcio cercava “di ridare alla Svizzera qualcosa di tutto quello che il Paese ha fatto per me e per la mia famiglia”. Xhaka, a modo suo, fa esattamente la stessa cosa”.

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