POLITICA E POTERE
Scuola, l'appello di Bertoli al Parlamento: "Non svendiamo la nostra identità in nome del mercato"
Il ministro interviene sulla proposta di liberalizzare l’insegnamento in diverse lingue oltre all’italiano negli istituti privati
TiPress/Samuel Golay

BELLINZONA - “Da presidente del Forum per l’italiano in Svizzera ho difeso, con altri, l’italianità in tutto il Paese, ma non credevo di dover arrivare al punto di doverla difendere anche in Ticino”. Il direttore del Dipartimento educazione, Manuele Bertoli, scende in campo contro due temi in agenda nella seduta parlamentare odierna.

“Il primo – spiega in un’opinione pubblicata dal Corriere del Ticino - riguarda il momento in cui iniziare l’insegnamento del tedesco, in II media come ora, oppure in I media”, come propone la maggioranza della Commissione formazione e cultura.

Il secondo tema, meno noto, riguarda la libertà per le scuole private di insegnare in diverse lingue oltre all’italiano: in tedesco, francese o inglese.

Secondo Bertoli i due temi sono profondamente diversi tra loro e “la decisione della Commissione competente di volerli trattare assieme è già un bel pasticcio”. Ed è proprio sul secondo tema che pone l’accento.

“Oggi – scrive - una scuola privata dell’obbligo che vuole offrire un percorso bilingue, quindi con materie insegnate in altra lingua rispetto all’italiano, deve chiedere un’autorizzazione speciale e lo Stato esegue dei controlli su questo insegnamento, allo scopo di garantire ad allievi e genitori la qualità minima richiesta. Inoltre, l’insegnamento bilingue autorizzato comincia con una proporzione bassa e man mano si alza a dipendenza del tipo di scuola (dell’infanzia, elementare, media)”.

Se oggi il Gran Consiglio dovesse approvare il testo elaborato autonomamente dalla Commissione formazione e cultura, prosegue il ministro, questa autorizzazione speciale cadrebbe e “si darebbe avvio al «mercato» delle formazioni, soprattutto in inglese, in scuole dell’obbligo non parificate, quindi piuttosto estranee al sistema educativo cantonale. Scuole che non di rado puntano ai figli di genitori abbienti, o presunti tali, quindi con rette importanti, che non sempre hanno una corrispondenza precisa con la qualità dell’insegnamento offerto”.

In questo modo, secondo Bertoli, si butterebbe alle ortiche un elemento che fa del Ticino una particolarità svizzera, ovvero l’italianità. “Oltretutto in nome di una commercializzazione della scuola, perché non si vedono all’orizzonte soggetti senza scopo di lucro interessati particolarmente ad offrire questi curricoli”.

Bertoli invita quindi il Parlamento a fermare questa operazione, almeno rinviandola alla prossima legislatura: “L’identità e la storia di un territorio non meritano di essere buttati via in nome del mercato”.

 

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