di Andrea Leoni
E così la Lega per rianimarsi dall’appiattimento istituzionale e filo governativo, indicato come una delle principali causa delle ultime sconfitte elettorali, sceglie come guida un Consigliere di Stato. E per sfuggire alla cannibalizzazione da parte dell’UDC, vero spauracchio esistenziale per i leghisti romantici ancora in circolazione, affida il timone a un tesserato democentrista.
Due paradossi che fanno una nomina, quella di Norman Gobbi alla guida del Movimento di via Monte Boglia. Terzo capo ufficialmente intronato dopo il regno del fondatore Giuliano Bignasca e quello del fratello Attilio. Non si parlasse di Lega ci chiederemmo se stiamo assistendo a una commedia di fantascienza, ma il leghismo ha nel suo dna bizzarrie contraddittorie e nella sua cifra stilistica colpi di teatro, anche dell’assurdo, che spesso hanno spiazzato tutti con successo.
In realtà la scelta di Gobbi, dal punto di vista della salute del Movimento, è più che comprensibile e oggi probabilmente non solo corretta ma necessaria. Serviva una svolta, serviva un capo, ma più di tutto c’era l’urgenza di tenere unita la truppa con il carisma di un leader considerato garante dalle varie anime, in parte in conflitto fra loro e in parte disorientate e forse anche tentate dal nuovo carro vincente della destra. Una sola persona rispondeva a questi tre criteri ed è quella che è stata scelta.
L’abolizione del Consiglio Esecutivo, altra decisione saliente dell’assemblea di domenica, è la fotografia della battaglia interna in corso da anni. Chi aveva fatto fuori i Colonnelli dopo le Cantonali del 2019, si è visto cancellare il Consiglio dalla controparte. Attacco e contrattacco pesante ma senza spargimenti di sangue, ovvero addii e dimissioni, in perfetto codice belligerante leghista.
Siamo quindi davanti a quella che è a tutti gli effetti una nomina emergenziale e al contempo conservativa. Un medico, un pompiere, un pacificatore, se vogliamo. Il che ci restituisce la misura della profondità della crisi. Il primo obbiettivo è chiaro: silenziare se non spegnere le divergenze, le polemiche e le ostilità fino a dopo le Comunali, tentando di passare la nottata e d’impostare un progetto di rilancio. Poi si vedrà….
Una scelta comprensibile, dunque, ma come momento di transizione e di passaggio. La doppia carica di ministro e capo partito, seppur già sperimentata nel passato (ma era un altro mondo…), presenta delle evidenti criticità che, prima o poi, potrebbero tramutarsi in contraddizioni insostenibili e dannose, sia per la Lega, che per Gobbi, che per il Governo stesso. È stato lo stesso direttore del DI ad evidenziarlo con onestà.
Non fosse l’uomo dotato di un’astuzia raffinata, di una capacità notevole di intercettare gli umori del Paese e di una spiccata abilità nel saper galleggiare nel mare della politica e tra sagre e Palazzo, si sarebbe autorizzati a pensare a un’operazione kamikaze. Non sarà così, ma occorre non giocare troppo con quelle istituzioni delle quali si è garanti in quanto ministro direttamente responsabile. Soprattutto in un momento di forte tensione politica e sociale e di aperto conflitto tra una parte del Paese e l’Esecutivo a causa dei sacrifici finanziari di oggi e di domani.
Si è scelto un coordinatore, è stato spiegato, non solo per dare un punto di riferimento all’interno e all’esterno del Movimento, ma anche per avere un leader capace di fare una sintesi e di dare una linea politica. Di conseguenza le scelte che farà la Lega da oggi in avanti sui temi cruciali saranno ricondotte al Consigliere di Stato, soprattutto quando saranno divergenti da quelle del Consiglio di Stato. A quel punto, in un dibattito con i suoi colleghi presidenti, Gobbi difenderà la posizione dell’Esecutivo o del partito? E con i suoi colleghi di Governo?
Mettiamo che fra due mesi si votasse sull’iniziativa sul canone a 200 franchi, quale posizione pubblica potrebbe prendere il presidente della Lega e ministro? O, più concretamente, quando a giugno (ricorso permettendo) si voterà sulla cassa pensioni dei dipendenti dello Stato, il membro del Collegio che ha promosso le misure sottoposte a referendum, si schiererà con il partito che si è battuto per portare i cittadini al voto o con il Governo?
Per uscire da questi impicci potrà mandare qualche volta in tv il capogruppo, un deputato o il portavoce, ma allora la storia del coordinatore come punto di riferimento verso l’esterno che fine fa?
È vero anche il contrario. Ogni scelta “anti leghista” che assumerà il Governo verrà in qualche modo sottoposta al suo coordinatore: come ha votato? Così come il capo della Lega verrà riconosciuto co-responsabile di ogni scivolata governativa. E se fino a ieri la politica dei radar, solo per fare un esempio, si poteva imputare al ministro cattivone - dilapidando già una sfracca di voti - da oggi quella politica sarà in capo al coordinatore della Lega. Sarà impossibile a quel punto dissociarsi.
Presto tutti guarderanno Norman Gobbi con occhi diversi e si chiederanno se parla - in Gran Consiglio, in conferenza stampa o in televisione - come Consigliere di Stato o come presidente della Lega. Se le decisioni che assume all’interno del suo Dipartimento sono prese da Direttore del DI o dal coordinatore leghista. Se è ancora il ministro di tutti i cittadini o di una sola parte politica. Per restare sempre aggiornati con le notizie principali di Liberatv.ch, iscriviti gratuitamente al canale Whatsapp (clicca qui)