Il direttore del La Stampa dopo l'assalto di un gruppo Pro Pal alla redazione: "Ragazzi guidati da una rabbia ideologica, manipolata e manipolabile che mette a rischio tutti"

Estratto dell'editoriale di Andrea Malaguti, direttore de La Stampa
"È tutto per aria. I libri, giornali, le sedie. E i muri sono pieni di scritte. “Fanculo Stampa”. “Liberate l’Imam”. L’irruzione violenta, vigliacca e stupida come tutte le aggressioni, è avvenuta in un raro giorno di sciopero nazionale, quando la redazione era praticamente deserta.
Un centinaio di teppisti invasati, antagonisti fuoriusciti da un corteo pro-Palestina, hanno scorrazzato come bufali nella nostra redazione centrale dopo avere riempito di letame le scale di ingresso, divelto la porta del bar, terrorizzato chi era nei locali intonando cori feroci: «Giornalista, sei il primo della lista».
«Giornalista, ti uccido». Slogan da Brigate Rosse, chissà se lo sanno. Suppongo di no. Un’eredità inconscia che fa venire i brividi. Ora c’è puzza di fumo ovunque. Un quarto d’ora di follia, registrato minuto per minuto da telecamere che restituiscono occhi, gesti e voci di ragazze e ragazzi giovanissimi, direi ventenni, appena usciti dal liceo, forse poco più, guidati da una rabbia ideologica e senza senso, manipolata e manipolabile in un gioco più grande di loro che mette a rischio tutti.
Ragazzi ai quali, nel giornale di Carlo Casalegno, uno vorrebbe ricordare il delirio omicida e fuori controllo degli Anni Settanta: lo sapete a che cosa portano certe derive? Conoscete la fortuna, straordinaria, di vivere in un’epoca ammaccata e in ritirata, dove però potete tutto – manifestare, arrabbiarvi, chiedere, rivendicare - ma questo no.
Questo non è concesso. Questo non ha ragione, motivo, legittimità. È solo sporcizia controproducente. Utile a deprimere qualsiasi causa, a umiliarla fino a farla sparire. Mentre voi avreste (dovreste avere) l’energia e la forza per pulire, non per sporcare. Se no non siete la soluzione siete parte del disastro. E chi vi sta di fianco dovrebbe passare le giornate a dirvelo. A prendere le distanze. A impedirvi di muovervi in modo così cretino e pericoloso.
Chiedete la libertà di parola per un Imam che rivendica la legittimità dell’orrore inumano del 7 ottobre, ma pretendete che noi non ne parliamo? Vale la sua libertà di pensiero ma la nostra no? Avete idea di che cos’è un giornale? Di che cosa rappresenta? Del valore della libertà di informazione? Sapete chi siamo? Del dibattito ininterrotto sul massacro compiuto a Gaza? Domande retoriche. Non sapete nulla. Sarebbe interessante sedersi ad un tavolo comune, guardarsi negli occhi, parlare civilmente, provare a ragionare. Venite, se volete. Non avete bisogno di spaccare nulla. Siamo un luogo abituato ad aprire le porte, non a chiuderle.
Invece siamo nell’era dell’istinto animalesco da social, da chiamata alle armi emotiva. Estrapoli un pezzo di un giornale, non lo capisci, lo strumentalizzi e ne fai un selvaggio grido di battaglia. Mi domando se questi teppisti, che minacciano le nostre giovani professioniste colpevoli di fare bene il proprio mestiere, abbiano mai letto un giornale dall’inizio alla fine.
Ragazzi incattiviti, ai quali viene voglia di dire, col cuore pieno di amarezza: dai, tornate a casa, guardatevi allo specchio, vergognatevi e rimettetevi a studiare, perché la responsabilità del mondo è anche vostra, non solo di chi è venuto prima di voi. Bisognerebbe appendere nelle loro camere il motto del Mahatma Gandhi: «La nonviolenza e la verità sono inseparabili e si presuppongono a vicenda». Basterebbe questo come punto di partenza condiviso".