POLITICA E POTERE
Politici (e non solo) in burnout. Tre domande a Marco Noi
Il deputato dei Verdi e psicoterapeuta su un fenomeno sempre più diffuso: "I sintomi più comuni sono..."
TIPRESS/GOLAY

Domenica scorsa la consigliera nazionale zurighese e copresidente del PS Mattea Meyer, 38 anni, ha pubblicato sul suo profilo Instagram un post nel quale afferma di sentirsi “molto stanca” e che per lei è giunto il momento di “tirare il freno d’emergenza”. Burnout, insomma. È solo l’ultimo di una serie di casi, che hanno toccato anche politici ticinesi.

Marco Noi, lei che è deputato in Gran Consiglio e psicoterapeuta, come legge questo fenomeno legato alla politica?
"La sindrome da burnout, definita sindrome da stress lavoro-correlato con sintomi a livello psichico e somatico, tocca oramai tutti gli ambiti lavorativi e la politica non fa certo eccezione. La cronaca ha evidenziato come nell’ambito sanitario, scolastico-educativo e delle forze dell’ordine vi siano maggiori rischi di burnout. Tuttavia vi sono altri ambiti dei quali si parla meno, dove si è esposti a un alto rischio, come il mondo agricolo, le amministrazioni pubbliche e diversi settori del mondo economico.
La politica non è certo immune da questa problematica, specialmente in momenti di tensione come quelli attuali. Alla difficoltà di combinare l’attività politica con l’attività professionale e la famiglia (qui gioca un ruolo determinante anche tutta la questione dei carichi di cura di figli/e e familiari anziani e/o ammalati, che gravano ancora molto sulle donne), si aggiunge l’esposizione mediatica e la mole di lavoro che la politica deve processare.
Il problema di base rimane però l’esasperazione di performance, produttività e aspettative economiche che non si cura dell’“effetto che fa” sulle persone. Come in altri ambiti di lavoro, ci si aspetta che anche la politica riesca a processare, elaborare e risolvere ogni tipo di problema, peraltro in aumento, con sempre meno risorse. Si porta insomma al limite il sistema, senza lasciargli il tempo di rigenerarsi. Esattamente come si fa con l’ambiente. La logica conseguenza è il prosciugamento delle risorse e l’accumulo di tossine che inducono il sistema, o sue parti, a logorarsi fino all’esaurimento".

Ritiene che la pressione derivante dai social network e dai media orientati a una sempre maggiore tempestività possa essere un fattore determinante?
"È evidente che social network e media possono contribuire ad amplificare e accelerare i sovraccarichi e le “intossicazioni”. Non è un caso che Marshall McLuhan, pioniere delle scienze della comunicazione, nel suo “Gli strumenti del comunicare”, accanto al potere “in-formativo” dei media, sottolinei come essi abbiano anche un potere “de-formativo” che logora individui e società, citando proprio Hans Selye, il padre della teoria dello stress.
Farsi risucchiare dai social e dai media in generale mette dunque sotto stress perché ci si espone alle continue e crescenti sollecitazioni “just in time” di svariati portatori di interesse e del proprio elettorato. Invece di governare la comunicazione, si è così governati da essa, si perde il controllo e si funziona in maniera prevalentemente reattiva.
Questa “cultura” sta purtroppo impregnando anche la politica. Si fa sempre più fatica a essere proattivi e sempre più frequentemente si è inclini a essere reattivi, con una notevole perdita di controllo e relativo stress".

Età, sesso, professione… al di fuori dell’ambito politico, c’è un identikit delle persone più a rischio di burnout? E quali sono i sintomi da considerare per fermarsi in tempo?
"Le statistiche dell’Osservatorio svizzero della salute sulla spossatezza emotiva - principale indicatore del burnout -
(https://ind.obsan.admin.ch/it/indicator/monam/spossatezza-emotiva-eta-16-65) mostrano che questo fenomeno tocca le persone attive professionalmente, soprattutto tra i 16 e i 35 anni, età nella quale bisogna profondere più energia per radicarsi nel mercato del lavoro.
Come già visto, una maggiore incidenza del fenomeno la si riscontra nelle donne e nelle professioni legate alla cura, all’insegnamento/educazione e alla gestione delle emergenze. Vi sono certamente elementi personali (inadeguate strategie di coping), ma ci sono anche elementi strutturali legati al tipo di organizzazione, di conduzione aziendale e soprattutto alla pressione della produttività.
I sintomi più comuni sono la spossatezza mentale e/o fisica, un sentimento di distanza emotiva o addirittura repulsione verso il lavoro con relativa fatica a svolgerlo, aumentata suscettibilità e insonnia".

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