SALUTE E SANITà
Allo IOR identificano un approccio promettente per la terapia del cancro alla prostata
Ci sono delle proteine, prodotte dalle cellule tumorali, che reclutano i globuli bianchi immunosoppressori e che possono essere bloccate sfruttando la dipendenza da una proteina chiamata "phospho-elF4e"

BELLINZONA - Uno studio condotto dal Laboratorio di Oncologia Molecolare, diretto dal Prof. Andrea Alimonti all'Istituto oncologico di ricerca (IOR, affilliato all'USI e membro di Bios+), ha identificato un approccio che dovrebbe migliorare ulteriormente certe terapie del cancro alla prostata, già in corso di studio nell’uomo con risultati promettenti.

La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Nature Cancer, si concentra sul funzionamento dei neutrofili immunosoppressori, un tipo di cellule del sistema immunitario che le cellule tumorali sono state in grado di “reclutare” e “manipolare” a loro favore.

I neutrofili (o globuli bianchi) sono cellule del sistema immunitario che costituiscono una componente essenziale della risposta immunitaria innata del nostro organismo. Normalmente, quando si verifica un’infezione, i neutrofili vengono reclutati nel sito infetto, dove sono in grado di riconoscere e distruggere i microrganismi invasori. Nel caso di un tumore, invece, i neutrofili vengono “corrotti” da alcune cellule tumorali creando un ambiente favorevole alla crescita del tumore. In particolare, i neutrofili vengono reclutati dal tumore diventando immunosoppressori, ovvero in grado di impedire al sistema immunitario di riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Il laboratorio diretto dal Prof. Alimonti studia strategie terapeutiche per bloccare i neutrofili immunosoppressori, che quando presenti nel tumore peggiorano la prognosi della malattia.

Grazie agli studi condotti dal gruppo di ricerca di Alimonti, nuove terapie basate sull’utilizzo di farmaci chiamati antagonisti di CXCR2 che bloccano i neutrofili immunosoppressori sono in corso di studio nell’uomo, con risultati promettenti. Alcuni pazienti purtroppo però non rispondono alle terapie attualmente disponibili, comprese quelle sperimentali.

È proprio sui neutrofili immunosoppressori che si concentra la ricerca svolta dalla Dr.ssa Daniela Brina, con l’obiettivo di studiare nuove strategie terapeutiche per bloccare meglio i neutrofili immunosoppressori e migliorare la prognosi della malattia. Nello specifico, il progetto condotto dalla Dr.ssa Brina ha avuto come scopo quello di identificare quali sono le proteine che il tumore produce per reclutare i neutrofili immunosoppressori.

I risultati di questo studio dimostrano che le cellule tumorali producono grandi quantità di tre proteine, biglycan (Bgn), osteopontin (Spp1) e hepatocyte growth factor (Hgf), in grado di reclutare i neutrofili immunosoppressori. Si è scoperto anche che gli RNA messaggeri che portano l’informazione per produrre queste tre proteine, hanno come caratteristica comune di essere più legate a una proteina in particolare, chiamata “phospho-eIF4e”, sui ribosomi, che costituiscono la fabbrica di proteine della cellula. Gli RNA messaggeri non sono ugualmente sensibili alla presenza di phospho-eIF4e; infatti, specifici RNA messaggeri sono “preferiti” da phospho-eIF4e. Questa caratteristica comune ha consentito di poter utilizzare una sola arma per bloccare la produzione delle tre proteine Bgn, Spp1 e Hgf.

Studi nel modello animale di cancro alla prostata hanno dimostrato che l’inibitore di phospho-eIF4e è in grado di ridurre i livelli di Bgn, Spp1 e Hgf e impedire il reclutamento dei neutrofili immunosoppressori nel tumore, favorendo così l’azione dei linfociti buoni deputati all’uccisione delle cellule tumorali. Inoltre, l’inibitore di phospho-eIF4e migliora l’efficacia della terapia già esistente (antagonista di Cxcr2) inibendo più efficacemente la crescita delle cellule tumorali.

Questo studio è importante perché ha identificato nuove proteine prodotte dalle cellule tumorali della prostata e grazie alle quali vengono reclutate i neutrofili immunosoppressori. Queste proteine non possono essere bloccate con i farmaci convenzionali, ma possono essere inibite sfruttando la dipendenza da phospho-eIF4e per la loro produzione. Ciò consentirà di studiare nuove terapie basate sugli inibitori della traduzione in combinazione con gli antagonisti di CXCR2 per poter disporre di armi più efficaci per il trattamento del cancro alla prostata.

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