Importante scoperta che potrebbe cambiare il modo di affrontare le tematiche dell'invecchiamento e del sistema immunitario, aprendo nuove possibili vie per i casi di cancro alla prostata
BELLINZONA – I ricercatori dell'Istituto oncologico di ricerca (IOR, affiliato a USI e membro di Bios+), in collaborazione con i ricercatori dell'Università di Padova, hanno fatto un'importante scoperta che potrebbe cambiare il modo di affrontare le tematiche dell'invecchiamento e del sistema immunitario, aprendo così anche nuove possibili vie terapeutiche per i casi di cancro alla prostata. Lo studio è pubblicato sulla prestigiosa rivista Cancer Cell.
Il contesto
I neutrofili rappresentano il 50-70% dei globuli bianchi circolanti nel sangue umano e sono principalmente coinvolti nell'immunità innata contro gli agenti patogeni. Grazie alla produzione di sostanze specifiche i tumori sono generalmente in grado di attirare un tipo particolare di neutrofili detti “immunosuppressivi”, in quanto in grado di bloccare il nostro sistema di difesa favorendo la crescita tumorale e la resistenza ai trattamenti farmacologici.
Questo meccanismo era già stato dimostrato, in buona parte dagli stessi ricercatori dello IOR, nei tumori della prostata in fase avanzata, dove l’aumento dei neutrofili circolanti è correlato ad una minore sensibilità alle terapie convenzionali e quindi ad una sopravvivenza più corta dei pazienti. Per questa ragione molti gruppi di ricerca stanno esplorando nuove vie terapeutiche volte a bloccare il reclutamento di queste cellule immunosuppressive da parte del tumore.
È proprio con questo intento che i ricercatori dello IOR, sotto la guida del Prof. Andrea Alimonti, MD, e di Arianna Calcinotto, PhD hanno identificato, in collaborazione con l'Università di Padova, un nuovo meccanismo di resistenza alla terapia che coinvolge i neutrofili.
La scoperta
Normalmente i neutrofili hanno una vita molto breve. Grazie a questo studio i ricercatori hanno identificato invece un sottogruppo di neutrofili che può persistere a lungo nel microambiente tumorale e che è in grado di bloccare in modo ancora più importante il nostro sistema naturale di difesa antitumorale rispetto a quanto fatto dal resto dei neutrofili immunosuppressivi. Questi neutrofili invecchiati sono quindi in grado di potenziare lo sviluppo del tumore e di aumentare la resistenza alle terapie.
Questi risultati rivelano quindi un nuovo meccanismo che permette al tumore di sottrarsi alle difese immunitarie del nostro organismo e fanno intravvedere la possibilità di sviluppare nuove terapie antitumorali basate su farmaci senolitici che colpirebbero i neutrofili senescenti.
Prospettive
"I nostri risultati rappresentano una scoperta significativa, che fa luce su come le cellule tumorali interagiscano con il sistema immunitario a livello molecolare", ha dichiarato Nicolò Bancaro, primo autore della pubblicazione. "Prendendo di mira specifici meccanismi di invecchiamento del sistema immunitario con gli immuno-senolitici, potrebbe essere possibile prevenire o ritardare le malattie legate all'età come l'Alzheimer, il Parkinson e il cancro". Ha anticipato il Prof. Andrea Alimonti.