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18.05.2018 - 11:510

Giornale del Popolo: non si può morire così! Le responsabilità del vescovo-editore di Lugano Valerio Lazzeri: da lui neppure una parola di scuse

Bisogna dire le cose come stanno, senza celarsi dietro l’ipocrisia con cui di solito si accompagnano in Ticino le gesta del capo della curia. Se qualsiasi altro imprenditore avesse operato nello stesso modo, si sarebbe strillato alla vergogna, all’irresponsabilità, alla macelleria sociale. Come ad esempio avvenuto di recente con i proprietari di Darwin

di Andrea Leoni

 

Nella vicenda della chiusura del Giornale del Popolo ci sono più elementi che lasciano sgomenti. Il principale è la repentina interruzione dell'uscita del quotidiano. Una serrata “scioccante”, per usare le parole della direttrice Alessandra Zumthor, che il vescovo-editore Valerio Lazzeri ha comunicato solo ieri mattina alla redazione. Così, di punto in bianco, con i bilanci già nelle mani del Pretore. Risultato: trenta persone in disoccupazione da un giorno all’altro, senza uno straccio di piano sociale.

 

Bisogna dire le cose come stanno, senza celarsi dietro l’ipocrisia con cui di solito si accompagnano in Ticino le gesta del capo della curia. Se qualsiasi altro imprenditore avesse operato nello stesso modo, si sarebbe strillato alla vergogna, all’irresponsabilità, alla macelleria sociale. Come ad esempio avvenuto di recente con i proprietari di Darwin.

 

Il modo con cui è stato gestito questo fallimento ricorda i metodi utilizzati dai peggiori manager o dai troppi filibustieri che operano sul nostro territorio. Espressione incarnata di una cultura iper-liberista -insensibile al lavoratore e alla persona e genuflessa con cinismo a guardia di un interesse - che la Chiesa combatte apertamente. Almeno a parole.

 

Da Monsignor Lazzeri non è stata pronunciata una sola parola di scuse. Solo una retorica inconsistente sull’amarezza, il dolore, la storia del giornale, il peso di una decisione che, ha ripetuto, non è dipesa da lui ma dalla legge, che gli imponeva di portare i libri in Tribunale. Tutta colpa del fallimento di Publicitas, insomma. E buonanotte ai suonatori.

 

Ma se è innegabile che il crollo dell’ex gigante della raccolta pubblicitaria, è l’elemento che ha innescato la precipitosa chiusura del GdP, in molti si chiedono come sia stato possibile che in questi mesi non vi sia stata una reazione.

 

Perché in queste settimane che hanno portato rapidamente al fondo del precipizio, non è stato lanciato pubblicamente un allarme, una richiesta di aiuto? Perché non si è intervenuti sul piano editoriale per almeno tentare una disperata inversione di rotta o per rendere meno rovinosa la caduta? Perché i collaboratori sono stati tenuti all’oscuro rispetto alla gravità della situazione, così come hanno raccontato? A guardarla dall’esterno si ha l’impressione che si sia atteso, come in uno stato di confusi tentennamenti (o forse no?), che la nave andasse a sbattere contro l’iceberg.

 

Dal vescovo è giusto pretendere parole di verità e una piena assunzione di responsabilità. In qualunque azienda, se la ditta fallisce, il primo responsabile è il capo. E Monsignor Lazzeri è il capo. Un leader che non sembra essere stato all’altezza del compito che gli è stato affidato dal suo magistero. Di questo dato di fatto deve farsi carico pienamente, con tutte le conseguenze del caso, come gli hanno fatto notare anche i sindacati, compreso quello cattolico, con una severa presa di posizione. L’onore e l’onere della mitria non possono mettere al riparo solo la sua testa.

 

Parole di verità necessarie anche per illustrare la reale situazione finanziaria del giornale. Non è vero che il fatto di aver portato i libri in Pretura, gli impedisce di dire come stanno le cose, almeno sui punti fondamentali. Il continuo richiamarsi alle valutazioni che spettano al giudice, infatti, pare più un atto pilatesco per sottrarsi alla burrasca, piuttosto che un rispettoso ossequio alla separazione tra le leggi di Dio e quelle di Cesare.

 

Va fatta chiarezza sulla situazione finanziaria del giornale, anche alla luce della scelta di abbandonare la lunga collaborazione con il Corriere del Ticino, per tentare l’avventura in solitaria. Molti di noi del mestiere avevano guardato come a un azzardo quella decisione. Ma sembrava una scommessa talmente rischiosa, da farci pensare che dovevano pur esserci delle garanzie a copertura di una puntata così impegnativa. Che qualcuno avesse deciso di coprire le spalle al Giornale del Popolo, almeno per un annetto o giù di lì.

 

E invece no. A quanto pare si è creduto davvero che Publicitas potesse essere l’albero maestro con cui sfidare il mare turbolento del mercato editoriale ticinese. Un errore di valutazione grave anche perché molto semplice da intravvedere: le voci correvano da tempo.… Possibile che il Vescovo non l’abbia intuito? Possibile che nessuno dei suoi consiglieri lo abbia messo in guardia? Possibile che nel piano editoriale, che immaginiamo sia stato concordato con la direzione, questo evidente pericolo non sia stato ponderato prima di mollare le cime? Per quale motivo non si è scelto, da subito, di affrontare il mare con maggiore prudenza e con un veliero più snello e meno costoso, considerate le avvisaglie? Il tempo c’era…

 

A questo proposito, ascoltando le dichiarazioni di Alessandra Zumthor, vi è da chiedersi quanto la direzione fosse al corrente di un fallimento ormai vicinissimo e inevitabile. Non è normale che editore e direzione non marcino compatti, nella massima condivisione delle informazioni, nella buona come nella cattiva sorte. Delle due l’una: o la notizia è stata effettivamente scioccante, dunque del tutto imprevista nella tempistica, oppure anche la testa del giornale ha sottovaluto negli ultimi tempi l’imminenza di questa prospettiva. Questo cortocircuito va chiarito.

 

L’impressione nuda e cruda, in ogni caso, è che il pastore abbia abbandonato le pecorelle al loro triste destino. Il che pone anche dei problemi dal punto di vista strettamente teologico, considerato il ruolo che il Vangelo affida ad ogni vescovo: quello, per l’appunto, di essere a capo del suo gregge. Ma in questa brutta storia sembrano esserci riflessi molto poco evangelici e decisamente troppo curiali. Bisognerebbe infatti comprendere quanto gli amministratori della curia, cioè le braccia operative di Monsignor Lazzeri, abbiano pesato nel processo decisionale.

 

Si può morire ma non così. Improvvisamente. Senza combattere fino all’ultimo respiro. Non c’è dignità in una fine così ingloriosa. Questo al netto delle difficoltà in cui da molto tempo il Giornale del Popolo si dibatte (come molti altri media), dell’indebolimento della voce cattolica, nella società prima ancora che sulla stampa, degli errori editoriali ed imprenditoriali che sono stati compiuti.

 

Ma non si muore così, da un giorno all’altro, senza prima aver coinvolto il Paese nel tentativo di un salvataggio.

 

Non si muore così…a meno che non lo si voglia.

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