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25.01.2021 - 17:180
Aggiornamento: 09.02.2021 - 11:13

Il Covid, le frontiere e il limbo di Rubik

Si apre una fase cruciale, delicatissima, nella lotta alla pandemia. E all'orizzonte potrebbe presentarsi un rompicapo

di Andrea Leoni

È notizia di ieri che i principali partiti, compresi quelli di sinistra, hanno sottoscritto una lettera indirizzata al Consiglio Federale. Nella missiva si chiedono al Governo maggiori controlli alle frontiere e test regolari per chi viene dall’estero, compresi i frontalieri. L’Esecutivo potrebbe rispondere positivamente alla sollecitazione delle forze politiche già mercoledì.

Il dibattito elvetico si inserisce perfettamente nel trend internazionale. Israele ha sigillato i confini. Lo stesso si apprestano a fare gli Stati Uniti della nuova amministrazione Biden, che ha deciso di vietare l’ingresso nel Paese ai viaggiatori europei, del Brasile e del Sudafrica. E anche all’interno dell’Unione Europea si sta cercando una quadra per limitare il più possibile gli spostamenti di cittadini tra un paese e l’altro.

La spiegazione è semplice e razionale: oltre a scongiurare una terza ondata, i Governi vogliono impedire in ogni modo che le nuove varianti del Covid prendano piede o che la circolazione del virus tra nazioni ne porti di altre, magari ancora sconosciute, o ne produca di nuove, magari più virulente o, peggio ancora, resistenti ai vaccini. Ecco perché la questione della chiusura dei confini si ripropone con forza ora, perché proprio ora, in queste settimane, è partita la campagna di vaccinazione. È una fase cruciale, delicatissima, nella lotta alla pandemia. Ogni prudenza è lecita per non sbagliare, al di là delle visioni politiche.

I sacrifici che tra dicembre e gennaio, finalmente, anche la Svizzera si è convinta a fare, stanno portando risultati importanti e tangibili, sia a livello nazionale, sia Ticino. I numeri non mentono e smentiscono anche le più cocciute tesi politiche.

Non c’è da cantar vittoria, ma le cose vanno decisamente meglio e bisogna dirselo, con la stessa schiettezza con la quale nelle scorse settimane denunciavamo il disastro in cui ci eravamo cacciati. Se i dati fossero rimasti quelli che ci hanno accompagnato fino a ridosso del Natale, infatti, oggi in Ticino saremmo stati certamente costretti a trasferire i pazienti oltre Gottardo, nella migliore delle ipotesi, se non a far capo al tragico triage, nella peggiore. Dare avvio a una campagna vaccinale con il sistema sanitario in default, sarebbe stato più che problematico, un vero disastro. Pericolo scampato. Per ora.

Oggi gli ospedali respirano anche se oltre 200 ticinesi sono ricoverati in corsia, di cui 31 nei reparti di terapia intensiva. La speranza è che si possa continuare su questa strada, dimettendo sempre più pazienti: i dati sui contagi inducono alla fiducia e all’ottimismo. Ma dobbiamo essere consapevoli che, accanto alla soddisfazione di aver salvato gli ospedali e di conseguenza decine di vite, nelle prossime settimane potrebbe venirsi a creare un momento politicamente molto complicato da gestire. Una sorta di limbo di Rubik.

Se i dati sanitari dovessero continuare a migliorare, come tutti ci auguriamo, crescerà nel corso del mese di febbraio la legittima richiesta di riaprire a poco a poco la società, almeno in parte (le restrizioni attualmente in vigore scadano alla fine del mese prossimo). Il timore di alcuni esperti, però, è che se alle riaperture dovesse corrispondere una ripresa significativa dell’attività virale, ciò rappresenterebbe un grave pericolo per la campagna di vaccinazione.  Prima di tutto per le nuove varianti che potrebbero essere resistenti al siero (anche se è felice notizia di oggi che quella inglese e quella sudafricana, sembrano sconfitte da Pfizer e Moderna). In secondo luogo, soprattutto, perché si teme un mix esplosivo tra un piano di vaccinazione forzatamente parziale (poche persone) e un virus ancora circolante, che potrebbe innescare una selezione biologica, creando un nuovo ceppo resistente al medicamento. Un po’ come avviene con gli antibiotici.

Da qui la volontà di “vaccinare a manetta”, il prima possibile, fintanto che i numeri sono bassi. Una strategia che però potrà funzionare soltanto se gli approvvigionamenti promessi dalle case farmaceutiche, saranno effettivamente garantiti (e qui gli “incidenti” degli ultimi giorni creano qualche fondata preoccupazione).

Quindi, attenzione, perché il problema potrebbe porsi in maniera piuttosto seria. E questa volta sarà ancora più difficile trovare un punto d’incontro accettabile - risolvere il limbo di Rubik - tra gli interessi economici e della libertà personali e quelli sanitari legati alla vaccinazione. Conviene cominciare a rifletterci.

 

 

 

 

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