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08.11.2018 - 16:140
Aggiornamento: 14.11.2018 - 23:59

Mauro Dell'Ambrogio: "Dai contadini ai politici dei giorni nostri: breve storia dei conflitti d'interesse"

"La vita politica sta diventando sempre più anche da noi, per influenza dall’estero, terreno di sospetti e invidie, e sempre meno questione di efficacia collettiva grazie all’impegno (anche gratuito) dei più idonei"

di Mauro Dell'Ambrogio*

I consoli e gli altri eletti nella comunità che gestivano i patriziati, le bogge d’alpeggio, o altrimenti, nei secoli, gli interessi collettivi, potevano trovarsi in conflitto d’interessi? Certamente! Per organizzare le giornate di lavoro gratuito per riparare la mulattiera, o requisire vacche e sacchi d’avena pretesi da un esercito di passaggio, mica si poteva indire l’assemblea per decidere su ogni dettaglio. Qualcuno, a questo scopo eletto, doveva decidere, ed era esposto sia alla tentazione di favorire familiari e amici, sia al sospetto di averlo fatto. E doveva di ciò poi rendere conto. Non era pensabile, per evitare il rischio, affidare la carica a qualcuno che non avesse né famiglia né campi né vacche: e mantenerlo. Il conflitto d’interessi non si preveniva con la sterilità dei decisori, ma eleggendo persone degne di fiducia e capaci di imparzialità, anzitutto rispetto agli interessi propri.

Nella migliore tradizione repubblicana, la carica pubblica è un servizio che si rende gratuitamente. Perciò un onere, che si accetta per dovere, compensato appena dall’onore di meritare la fiducia di chi ti elegge. All’opposto si trova storicamente, nelle non-repubbliche, la carica pubblica come rango sociale o mestiere a tempo indeterminato, dell’investito di un feudo o del funzionario retribuito, per nascita o per merito.

La moderna democrazia, abbinata a questa seconda concezione, ha meglio legittimato gli eletti, ma non ha per nulla favorito l’ideale repubblicano. Lasciamo pur stare gli eccessi vergognosi in Paesi vicini, dove l’elezione ad una carica pubblica assicura laute retribuzioni a vita. Anche da noi si è diffusa la tendenza a ritenere che si debbano retribuire adeguatamente parlamentari e municipali. Forse per evitar loro la tentazione di abusare della carica per mantenersi, che è quel che succede dove i politici e funzionari a tempo pieno sono pagati troppo poco. Ma v’è da chiedersi, per i politici, se davvero è il maggior tempo necessario per svolgere la funzione che giustifica la retribuzione, o invece la retribuzione proporzionata al tempo da dedicare che spiega l’aumento di quest’ultimo.

Su Il Caffè in data 21 ottobre è apparso un articolo di Mauro Spignesi “Conflitto d’interesse il morbo della politica”, pieno di (cattivi) esempi ticinesi. Veri o meno, l’articolo vuol essere in sostanza un’accusa contro la politica di milizia. Quasi che dove della politica si fa una professione le cose vanno meglio. Da anni si moltiplicano in Ticino proposte e misure giustificate anche come preventive dei conflitti di interessi: niente funzionari cantonali nei municipi, niente parlamentari negli organi delle aziende pubbliche eccetera.

In verità basterebbero pochi principi: la dichiarazione degli interessi, l’astensione, la trasparenza, il rendere conto. Il conflitto d’interessi non è una patologia, come scrive lo Spignesi. Non è un male insito in un sistema politico più che in un altro. È una situazione normalissima: a cominciare dal cittadino che vota e che si trova in conflitto tra l’interesse suo e quello generale. Perché mai un impiegato dovrebbe votare contro una legge che prolunga le vacanze pagate? Per i titolari di una carica pubblica, parlamentari o funzionari, il problema sta nel riconoscere il conflitto, tra un interesse privato proprio o di persone vicine e l’interesse pubblico, e nel comportarsi di conseguenza: farlo sapere, astenersi, sollecitare prima o dopo il controllo altrui. Chi non ha interessi in una materia non ha, probabilmente, nemmeno conoscenza di essa. Affidando la gestione del patriziato o della boggia a un non-contadino o a uno non del posto, i nostri antenati avrebbero incontrato verosimilmente molti più danni che affidandola a turno a qualcuno tra loro meritevole di fiducia.

Ma si sa, la vita politica sta diventando sempre più anche da noi, per influenza dall’estero, terreno di sospetti e invidie, e sempre meno questione di efficacia collettiva grazie all’impegno (anche gratuito) dei più idonei. Meglio dare potere agli inetti, purché supposti a priori “non legati ad interessi”: come se fosse più facile, da inetti, riconoscere gli interessi, che da interessati restare imparziali.

*Articolo apparso sull'ultimo numero di Opinione Liberale

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