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Salute e Sanità
21.03.2016 - 13:140
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Suicidio assistito, l'oncologo Cavalli replica al geriatra Fontana: "Discorsi da ancien regime. Non ha nessun senso tirare in ballo Codice penale e Giuramento di Ippocrate"

"Ecco perché bisogna autorizzarlo in ospedali e case per anziani"

BELLINZONA - Il professor Franco Cavalli ha chiesto di replicare all’opinione del dottor Pio Fontana che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi (leggi qui). Il tema è delicato: autorizzare o no il suicidio assistito negli ospedali e nelle case per anziani? Un tema che sarà al centro del dibattito parlamentare di oggi.

“Secondo me quello del dottor Fontana è un modo di pensare fondamentalista – dice Cavalli -. Mettere in dubbio che le persone abbiano il diritto al suicidio, come fa lui, è un discorso da ancien regime”.

Cavalli è indispettito per il fatto che il suo collega abbia tirato in ballo il Codice penale. “Il Codice dice che l’aiuto al suicidio è punibile se fatto a scopi egoistici, ma intendendo casi come quello di un figlio che accelera la morte del padre per ottenere un’eredità. Non si riferisce sicuramente al fatto che le associazioni che si occupano di suicidio assistito, come Exit, chiedano un contributo finanziario”.

Si può contestare, aggiunge l’oncologo, “che 3'000 franchi siano troppi, ma organizzare un suicidio assistito non è come andare alla Migros a prendere il latte. Comporta una serie di pratiche burocratiche, due o tre colloqui con la persona che lo chiede. Occorrono in media 30 o 40 ore di lavoro, per cui non mi pare si possa parlare di un guadagno speculativo, ma semmai di una copertura delle spese relativamente ragionevole. Inoltre bisogna avvisare la polizia, che investe poi il Procuratore pubblico per le verifiche di ogni singolo caso. Io credo che se le cose vengono fatte alla luce del sole è molto più facile controllarle evitando abusi”. 

In ogni caso, il problema economico non ci sarebbe, spiega Cavalli, “se come auspico da anni si permettesse ai medici, solo a quelli che non hanno obiezioni di coscienza, sia chiaro, di garantire l’assistenza al suicidio. Il fatto che si debba pagare per porre fine alla propria vita è dovuto al divieto di praticare il suicidio assistito negli ospedali e nelle case per anziani, nonostante questa pratica non sia penalmente punibile”.

L’oncologo fa poi il paragone con l’aborto: “Siccome lo si può praticare negli ospedali non esiste un ‘exit dell’aborto’. Il dottor Fontana cita anche un passo del Giuramento di Ippocrate: ‘Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio’.
Ma il Giuramento risale a 2’600 anni fa, quando le persone vivevamo in media 30 anni e le malattie croniche praticamente non esistevano. Non possiamo risolvere i problemi medici di oggi con ricette di 2’600 anni fa. Dobbiamo confrontarci con il fatto che la maggior parte della gente oggi muore di malattie croniche che spesso durano anni, e ha il tempo di pensare su come e quando morire”.

Cavalli affronta infine il tema delle cure palliative, sollevato dal dottor Fontana: “Non deve darmi lezioni su cure palliative perché sono stato il primo a introdurle in Ticino, ma il collega sa benissimo che ci sono comunque dei pazienti ai quali con tali cure non possiamo garantire una sufficiente qualità di vita. Dimentica inoltre nel suo ragionamento che il Codice penale non distingue l’ammalato da chi intende porre fine alla propria vita per altre ragioni e va da un medico a  chiedere una ‘soluzione dolce’. Questo è il quadro, e se al dottor Fontana e ad altri fondamentalisti non piace, lancino un’iniziativa popolare per cambiare le legge. Nonostante il codice lo permetta, e questo vuole cambiare l’iniziativa dei Verdi che il Gran Consiglio si appresta a discutere, in Ticino non si permette ai medici di praticare il suicidio assistito nelle strutture sanitarie. Quindi, chi non ha più una casa o non può più andare a casa non può beneficiare di questa pratica perfettamente legale”.

emmebi

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