“Ero piccola, ma grande abbastanza per non avere più il diritto di essere piccola”. Quando i compagni di scuola chiedono alla giovane narratrice come era la sua casa in Kosovo, lei risponde che aveva gli elefanti in giardino. Animali fuori posto, come lo era lei nel freddo altopiano svizzero, arrivata a dieci anni come richiedente l’asilo. Fuori posto lo erano tutti, dal padre che fa le pulizie di notte e guida una Mercedes rossa a lungo sognata, alla madre che, non avendo mai portato il velo in patria, comincia a farlo proprio in Svizzera.
La narratrice si sente fuori posto anche quando, dopo la morte dell’amato baba, il padre, torna a Prizren con la speranza di ricostruire la vita della sua famiglia, di ritrovare i fili strappati tanti anni prima dalla guerra. Gli elefanti nel giardino di casa non ci sono, ma quella non è più casa sua, come non lo è l’appartamento di Bümpliz dove vive con il compagno.
La situazione della narratrice – di Meral Kureyshi – è simile a quella di tutti i migranti, sempre in bilico tra due luoghi che non possono chiamare veramente casa. È significativo anche il fatto che la lingua scelta dalla narratrice sia quella del paese di accoglienza, e non la lingua madre, in rottura con il passato. Come dirà la madre, ormai cieca, "Nessuno di voi mi capisce, e voi parlate una lingua diversa dalla mia. La Svizzera ci ha resi estranei".
Meral Kureyshi, "Elefanti in giardino"
Collana La Libellula, Prefazione di Cristina Foglia - Armando Dadò Editore 24 Fr.