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Cantonali 2023
27.02.2023 - 09:090
Aggiornamento: 01.03.2023 - 10:06

Ferrara: "Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio". Nel senso del Marco...

La deputata PLR torna sul recente scontro televisivo con il presidente UDC a Detto tra noi su TeleTicino. E va all'attacco...

di Natalia Ferrara*

A volte il tempo ci mette poco ad essere galantuomo. Qualche settimana fa ho avuto l’occasione di dibattere televisivamente con il presidente nazionale dell’UDC, il senatore ticinese Marco Chiesa (per rivedere la trasmissione clicca qui). Oltre a seguire sostanzialmente la narrazione “pacifista” del presidente Putin (ascoltare per credere!) e avermi ripetutamente interrotta, schernita e accusata di essere anti svizzera, mi ha rimproverato  di avere idee matte sulla guerra in Ucraina, particolarmente sulla famosa riesportazione di armi svizzere. Un argomento delicato, lo riconosco, dove ogni opinione ha buone ragioni. Senza, però, i toni e i modi di Chiesa; e dire che, tradizionalmente, gli uomini di destra si fanno vanto di essere cortesi.

Nel frattempo, a livello nazionale, l’idea della riesportazione continua a farsi strada all’interno di PLR, PS, Centro e Verdi, e i matti cominciano dunque ad essere parecchi. L’UDC, in primis Blocher, continua a ritenerla un peccato mortale, eppure un eretico (sarà folle anche lui?) è spuntato persino nel partito democentrista. Non uno qualsiasi, bensì il presidente della commissione della politica di sicurezza degli Stati, il senatore argoviese UDC Werner Salzmann, che si è espresso pubblicamente per la riesportazione di armi svizzere in Ucraina. Mal gliene incolse e, prontamente richiamato all’ordine dal suo partito, pare aver cambiato idea, mentre rimane il grande imbarazzo per Chiesa e i suoi.

Cosa voglio dire? Che a essere troppo frettolosi si fanno anche in politica i gattini ciechi. Ma, soprattutto, che da anni l’UDC ci ha abituati a un dibattito politico dove non si confrontano argomenti e progetti, dove non si scambiano idee ed opinioni, dove, di fatto, non si riesce a parlare (di nuovo: andate a recuperare il dibattito, rimarrete esterrefatti). La narrazione UDC pretende di monopolizzare il giusto, perché le sue sono idee e le altre follie. Solo gli UDC sono veri svizzeri, chi non la pensa come loro è anti svizzero. E, infatti, quando dibatti con uno di loro quasi mai puoi farlo sugli argomenti: la strategia è sempre quella del capro espiatorio. Uno stile che accomuna l’UDC con una certa sinistra che divide i politici in buoni e cattivi, migliori e peggiori, a seconda che condividano o meno le sue idee.

Se penso che la storia, quella vera, quella studiata, ci insegna che la Svizzera è frutto di continui compromessi e il suo successo figlio della capacità di ascolto e mediazione, mi domando, pensando all’UDC, di che patrioti parliamo. La radicalizzazione continua del discorso politico, oltre a renderlo sempre più aggressivo – guarda caso in particolare verso le donne – nuoce alla possibilità di riformare e migliorare. Certo, questo modo di fare permette di farsi notare, ed è adatta allo scenario mediatico attuale. Ma serve alla Svizzera e al Ticino?

Faccio un esempio tra i molti: decenni di invettiva contro l’evoluzione del frontalierato in Ticino ma nessuna modifica del fenomeno né alcun miglioramento. Né a Bellinzona né a Berna l’UDC ha proposto soluzioni praticabili. Slogan sì, d’effetto anche, come “prima i nostri” ma con impatto concreto a favore del nostro Cantone pari a zero.

La questione del mercato del lavoro, e appunto anche del frontalierato, in Ticino è molto seria. Due ambiti nei quali intervenire sono sicuramente l’aumento dei salari e della conciliabilità, così da poter impiegare “prima le nostre” (in Ticino la metà delle madri non lavora fuori casa perché non vi è un’offerta strutturale accessibile anche dal punto di vista finanziario per farlo). Peccato che l’UDC non si muova mai in questa direzione, né in altre, basti pensare all’ambito fiscale, preferendo gridare “abbasso i bilaterali” invece di votare soluzioni concrete (e davvero praticabili) a favore dei residenti.

Per me, essere svizzera significa analizzare i problemi, studiare soluzioni compatibili con il diritto superiore, ascoltare, procedere con pragmatismo e concretezza. Chiesa e i suoi hanno evidentemente un altro metodo.

*deputata PLR in Gran Consiglio

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