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Quarto Potere
14.11.2017 - 00:080
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"La No Billag, la RSI e Teleticino: vi dico tutto". Matteo Pelli: "Se passasse l'iniziativa a Melide non si chiuderebbe (anche se con molta fatica). Naturale per noi preparare un piano b (ma facciamo il tifo per quello a). Questa campagna si può vincere s

Intervista esclusiva al direttore di Teleticino che rompe il silenzio sul voto del 4 marzo (e su molte altre cose...). "Iniziativa troppo estrema: non è ragionevole abolire il canone. Ma il nostro mandato è quello di portare avanti un’azienda, senza dire al pubblico come deve votare. I telespettatori sono grandi abbastanza per decidere da soli e ci giudicheranno in base a quello che mandiamo in onda”

di Andrea Leoni


MELIDE - “È l’intervista più impacciata che ho fatto nella mia vita…”. Non è vero, anzi e all’incontrario, e i lettori se ne accorgeranno tra poche righe. Ma è del tutto normale che Matteo Pelli abbia questa percezione, quando ci salutiamo al termine di una lunga chiacchierata sul tema che sta infiammando il dibattito in Ticino e nel resto della Svizzera: l’iniziativa No Billag.

 

È normale perché il direttore di Teleticino e Radio3i non è abituato a rilasciare interviste politiche, anche se in senso lato, come nella fattispecie. In effetti, fino ad ora, non ne aveva ancora concessa nessuna. Ed è possibile, se non addirittura probabile, che questa sarà anche la sua ultima uscita a tutto campo sulla questione.

 

D’altra parte la sua scena è sempre stata un’altra: quella artistica. L’arena politica - seppure, come in questa occasione, il confronto tocca direttamente il suo mestiere e il Gruppo per il quale lavora - non fa per lui. Proprio per nulla. È infatti questo l’unico palcoscenico al mondo dove prova sincero disagio a salire e ad esibirsi. Ma, come leggeremo, a questo disagio, si somma anche la convinzione che sulla No Billag serve un altro tipo di campagna da parte dei contrari per spuntarla. “Sì può vincere sorridendo e sussurrando”, questo in sintesi il manifesto del Pelli-pensiero sul punto.

 


Matteo, uno degli argomenti forti dei contrari alla No Billag che sta attualmente dominando il dibattito, è quello secondo il quale se l’iniziativa venisse approvata dal popolo, la RSI inevitabilmente chiuderebbe. La stessa sorte certa toccherebbe anche a Teleticino, che beneficia di una quota del canone?
“Indubbiamente Teleticino farebbe molta fatica, ma la nostra idea è comunque quella di non chiudere. È chiaro che essendoci l’ipotesi - che non mi auguro assolutamente si verifichi - che l’iniziativa venga approvata, è necessario muoversi per tempo per andare a reperire sul mercato quei milioni che potrebbero venirti a mancare dal canone. Il “piano b” lo devi sempre avere, come lo ha qualsiasi imprenditore. Io non voglio essere schiavo del pensiero che se passa l’iniziativa, il giorno dopo si chiude. Voglio pensare invece che staremmo in piedi in modo diverso. Certo, ribadisco,con qualche difficoltà”.

 


Quindi - a livello dirigenziale - state già preparando il piano b?


“Il b, il c, il d, l’e….ma trovo che questo sia assolutamente naturale per qualsiasi azienda che deve confrontarsi con un voto popolare. Anche se noi tutti ci auguriamo che a prevalere sia il piano “a”: cioè il mantenimento dell’attuale sistema di finanziamento per le radio e le televisioni pubbliche e private”.

 

Pensi che anche la RSI dovrebbe pensare a un “piano b”, oppure per loro non esiste davvero un’alternativa essendo molto più vincolati al canone e per una cifra ben superiore alla vostra, ovvero 250 milioni?

“È già difficile pensare alle nostre strategie, figuriamoci se penso a quelle di casa d’altri. Certo, a livello generale, posso dirti che sarebbe molto più complicato, al limite dell’impossibile, trovare 250 milioni. Poi, continuando a ragionare in astratto, dipende sempre da quanti dipendenti hai e che livello di qualità e di ampiezza di offerta vuoi offrire”.

 

Qual è per te l’argomento principale che ti convince ad opporti a questa iniziativa?

“In realtà è molto semplice. Non mi sembra ragionevole mettere a repentaglio la qualità e la solidità di un sistema unico al mondo come quello radiotelevisivo svizzero. Un sistema che finanzia sia media pubblici che privati, garantendo un pluralismo e un arricchimento nell’offerta che altrove se la sognano. Ma lo dico pensando anche a quelli che parlano male della RSI o di noi sempre e comunque. Persone che a prescindere dicono “a quel dibattito volevo andare io” o “quella trasmissione fa schifo”. Hai presente, no? Ecco: se non ci fossimo più di cosa si parlerebbe? Detto questo, una buona domanda da farsi potrebbe essere: perché siamo arrivati a questo punto?”.

 

E la tua risposta qual è?

“Ci ho pensato nel weekend sfogliando alcune vecchie foto di quando lavoravo a Comano. Io ho cominciato alla fine degli anni novanta e mi ricordo che allora, chi lavorava in televisione, era molto apprezzato, amato, quasi coccolato dal pubblico. Venivi percepito come qualcuno di molto fortunato ma che faceva qualcosa di positivo per la gente e il territorio. Non c’era per nulla questo ambiente incattivito che si respira oggi intorno all’azienda. Perché c’è stata una tale frattura? Io non ho risposte certe, solo qualche ipotesi. Forse una volta si stava tutti meglio e i conti si facevano con un po’ meno rigore. Forse si relativizzava di più quello che andava in onda e di conseguenza si accettavano meglio eventuali errori. Su questo punto bisogna ricordarsi che in quel periodo non c’erano i social network, che stanno davvero rompendo le scatole un po’ a tutti. O forse, infine, la RSI nel recente passato non è stata condotta bene. Anche questa ipotesi esiste”.

 

E quindi?


“Il risultato di tutte queste supposizioni è che la simpatia di cui la RSI ha sempre goduto a piene mani nel passato, oggi non c’è più in una parte del Paese. Non dimentichiamo che cosa ha significato la radiotelevisione pubblica per il Ticino e neppure il legame affettivo che aveva con il suo pubblico. Potrei citarti una sfilza di eventi e personaggi che hanno fatto la storia. Dai grandi concerti dei cantautori italiani a personalità come i Bigio Biagi, i Fazioli, i Sofia, i Leo Manfrini…e mi fermo qui solo per una questione di sintesi. Cosa è successo? Io sono andato via quando non ho avuto più stimoli. E dal mio punto di vista ho fatto bene. Però davvero, tornando al canone, io mi auguro che le cose rimangano come stanno. Lo dico pensando a noi ma anche alla RSI”.

 

Un’altra ipotesi che può aver inciso sulla disaffezione di una parte del pubblico riguarda l’intrusione della politica che, soprattutto in passato, è stata dominante all’interno della RSI. Che ne pensi?


“Sul piano politico preferisco non entrare dettagliatamente nel discorso. Mi limito a dire che ritengo assurdo che la politica abbia un peso così rilevante nel campo dei programmi. I creativi dovrebbero essere liberi di creare, i giornalisti di fare i giornalisti, e così via. Le varie nomine di stampo politico non dovrebbero intaccare l’operatività dell’azienda. A prevalere dovrebbero essere sempre le capacità di chi lavora e non il bilancino grazie al quale se c’è un PPD, poi ci deve essere un liberale, un leghista o un socialista.… E te lo dice uno che si chiama Pelli. Io di politica mi interesso da cittadino per quanto attiene il bene del mio Paese, ma non la farò mai”. 



Un ulteriore ipotesi, anzi una certezza, sulla disaffezione di una parte del pubblico, sta nel fatto che si sono moltiplicati i canali e i mezzi di fruizione, rispetto ai tempi in cui tu lavoravi a Comano.
“Assolutamente sì. Oggi è complicatissimo fare televisione. Una volta nei dati di ascolto c’era la linea “delle altre”, cioè dei canali tematici o “minori”. Questa linea faceva il 10-12%. Oggi spesso vince la serata. Perché lì c’è di tutto e la gente trova sempre qualcosa di più personalizzato rispetto ai suoi interessi. Questo escludendo dal discorso il web. Sì, far televisione oggi è decisamente molto più difficile rispetto al passato”.

 

Vorrei fare un piccolo passo indietro. Prima tra le ipotesi citavi la possibilità che forse la RSI non è stata condotta al meglio. Puoi essere più preciso?
“Magari un po’ più di simpatia nel proporsi non avrebbe guastato. E anche dire qualche volta in più “è vero, ci siamo sbagliati”. Alla gente piace chi ammetti gli errori, perché tutti ne commettiamo. Farlo ti rende più umano. Poi c’è un discorso legato alla prossimità rispetto al pubblico. Ma non te lo puoi inventare di punto in bianco. Perché è come essere simpatici: o lo sei o non lo sei, non puoi diventarlo improvvisamente. Questa rincorsa a un certo tipo di contatto con il pubblico, rischia quindi di apparire un po’ stucchevole e innaturale. Dopodiché condurre una televisione del genere è davvero complicato”.

 

Ma, a tuo avviso, avendo lavorato sia a Comano che a Melide, è possibile avere un servizio pubblico di qualità senza spendere 250 milioni all’anno?
“Sì, senza alcun dubbio. Però accanto a questa critica, che è corretta, bisogna metterci l’altra parte del discorso. Ovvero sia che la RSI produce contenuti di qualità altissima, che spesso sono ai vertici delle classifiche di settore a livello europeo. Poi, come sempre accade nella vita, se ti troverai con meno, farai con meno”.

 


Veniamo a Teleticino. Tre mesi di lavoro da direttore e un palinsesto ampiamente rivisitato: qual è il primo bilancio?

“Sono soddisfatto e ogni giorno è un grande stimolo. Abbiamo fatto tante cose, riempiendo le tre ore e mezzo di palinsesto sulle quali si giudica una televisione piccola come la nostra. Quando i mezzi sono limitati, come nel caso di Teleticino, sei obbligato a far ricorso alla creatività e penso che in generale ci siamo riusciti. Sono soprattutto soddisfatto della mia squadra. Hanno tanta voglia e tanta fame. C’è un grande spirito e un grande senso di appartenenza. E questo mi riempie di orgoglio”.

 


Quando avete acquistato i derby di hockey è scoppiata una certa tensione tra voi e Comano, inutile negarlo. Una tensione che è sfociata anche in battibecchi sui social network. Una polemica che oggi, dopo che è passato un po’ di tempo, come valuti?

“L’ho trovata un po’ ridicola e anche un po’ patetica. Noi abbiamo fatto un’offerta per i derby e l’abbiamo spuntata. Non ci credevamo nemmeno noi di poterci arrivare. Credo che un po’ di signorilità da parte della RSI avrebbe potuto evitare queste tensioni. Anche in ragione della comune battaglia contro l’iniziativa. Avrebbero potuto dire: il canone serve a tutti, siamo sulla stessa barca, la prossima volta cercheremo di riprenderli noi. Punto e basta. Invece si è innescata questa polemica e non ti nascondo che la cosa mi ha un po’ toccato. I social sono diventati una rovina da questo punto di vista. Una volta aprivi Facebook e ti spuntava un sorriso, oggi trovi solo negatività. Infatti preferisco Instagram, perché ci sono meno haters, meno gente incazzata con il mondo….”.

 

Ma qui non parliamo di haters o di gente incazzata con il mondo, ma di colleghi che, da una parte e dall’altra, se le sono dette di santa ragione. E un po’ quest’onda lunga continua a sentirsi ancora oggi….
“Sì, colleghi che magari scrivono “il derby lo ascolto alla radio” e poi, quasi simultaneamente, ti chiedono di condividere le iniziative contro la No Billag…. Forse a livello aziendale servirebbe, da subito, un regolamento per evitare queste polemiche. A mio modesto parere, infatti, non è compito dei dipendenti prendere posizione pubblicamente su questioni che concernono l’azienda, soprattutto nell’ottica di una votazione. I dipendenti devono lavorare. E lavorare trasmettendo entusiasmo e professionalità. Tutta questo attivismo sui social non credo aiuti a rendersi più simpatici”.

 


Però l’accusa, neppure troppo velata, che arriva sotto traccia da Comano, è quella che voi a Melide non vi state impegnando in questa campagna. Dovreste essere a fianco della RSI e invece siete silenti. Come rispondi?
“A Melide abbiamo un nostro modo ben preciso di vedere e di interpretare questa campagna. Per stare sui social e fare cinque o sei post al giorno, devi avere anche il tempo di farlo…qui questo tempo non lo abbiamo, al di là del fatto che lo giudico controproducente di per se. Tutti vogliamo che la No Billag venga bocciata. Ma da parte nostra abbiamo altresì l’idea di dimostrare con i fatti i motivi per i quali bisogna votare “no”. Noi faremo una campagna sussurrata e con il sorriso. Il nostro mandato è quello di portare avanti un’azienda, senza dire al pubblico come deve votare. I telespettatori sono grandi abbastanza per decidere da soli e ci giudicheranno in base a quello che mandiamo in onda”.

 

Invece trovi qualche argomento valido tra quelli di chi sostiene l’iniziativa?

“Il problema è che la No Billag è troppo estrema. Non si può dire “qui c’è un problema, allora aboliamo il canone”. Ho l’impressione che alcuni tra quelli che vogliono votare di pancia, siano un po’ come il tipo che molla la fidanzata di cui però è ancora innamorato in fondo in fondo, almeno un pochino. E poi quando la rivede al ristorante con un altro un paio di mesi dopo, gli girano a elica. Per questo invito a votare con il cuore e non con la pancia. E secondo me alla fine i ticinesi faranno così. Anche se ti confesso che tutta questa storia mi ha già un po’ stufato. Si è partiti come se si dovesse fare la corsa dei 100 metri, quando in realtà questa è una maratona. Per fortuna di mezzo ci sarà il Natale per parlare anche di altri argomenti, sennò con tutta questa isteria che c’è in giro….”

 

Non aiuta quella eh?

“Assolutamente no. È del tutto controproducente. Se posso permettermi di dare un piccolo consiglio dal basso, invito veramente tutti alla moderazione. Oggi non puoi aprire Facebook che, ogni due post, te ne ritrovi uno sulla No Billag. Sta diventando tutto un po’ esagerato e pesante. E si vota il 4 di marzo…piuttosto che proseguire con questo andazzo sarebbe interessante sapere come cambierà la RSI, al di là dell’esito del voto, sfruttando quindi in chiave positiva tutta questa discussione”.

 

Cambierà?

“Se non cambiasse nulla sarebbe un pochino allarmante. Credo che una presa di coscienza sia inevitabile. Che ci sia qualcosa che non gira mi pare assodato ascoltando questo dibattito”.

 

E Teleticino cambierà? Come?

“Vivo questo mio primo anno da direttore come un grande momento di sperimentazione. Per capire quale strada intraprendere, infatti, bisogna prima provare varie opzioni, senza farsi prendere troppo dal panico rispetto ai risultati. La gente deve imparare a sapere che ci sei. Ma non che ci sei come quello che poi non viene invitato alla festa. Noi vogliamo essere sulla lista degli invitati. Diciamo che ci stiamo preparando all’appuntamento. La mia fortuna è stata quella di aver potuto fare prima l’esperienza alla direzione di Radio 3i. Lì ho capito che ci vuole un po’ di tempo prima che le cose comincino a girare. Bisogna avere pazienza e continuare a proporre, limare, aggiustare, finché non trovi la quadratura del cerchio.Non mi sono fatto grandi aspettative per quest’anno, anche se i risultati sono buoni e siamo in crescita. Mi è stato chiesto di fare una televisione un po’ più moderna e penso che questo obbiettivo lo abbiamo già raggiunto”.

 

Cosa rispondi a quelli che magari fanno fatica ad arrivare a fine mese, e preferirebbero risparmiar, o investire altrimenti i soldi del canone, piuttosto che guardare Teleticino o la RSI?

“Che li capisco e li rispetto in pieno. Il canone è un’imposta che può farsi sentire. E in un Cantone che ha visto ridimensionarsi praticamente tutto, è comprensibile che ci sia questo sentimento. Però invito a riflettere su un punto: è complicato rinunciare a tutta l’offerta dalla a alla z. Se uno non vuol pagare il canone, non è che poi quella volta che c’è Federer guarda il match. O quell’altra volta che scoppia un caso politico, allora segue il dibattito di Piazza del Corriere. O quando è in giro in macchina ascolta la radio. Bisogna essere consapevoli e coerenti se si vuol fare fino in fondo questo discorso”.

 

Il canone sarà abbassato dal 2019. Ma rispetto a questa mossa alcuni obbiettano: allora è vero che prima ci facevate pagare molto più del necessario.

“Come dici tu è stata una mossa. E come tutte le mosse, se le giudichiamo dal tempismo, potremmo fare un’altra intervista sulle relative interpretazione. Ma, in generale, certe mosse possono essere lette anche come segnali di paura. E la paura fa fare scelte sbagliate. Anche questa insistenza martellante sui posti di lavoro e sull’indotto che produce il canone, mi lascia un po’ perplesso. Sono informazioni corrette, sicuramente da diffondere, ma non si può basare una campagna solo su questo. È un altro segnale di paura”.

 

Infine: torneresti alla RSI?

“No. Il mio cuore oggi è qui a Melide”.

 


Quindi per te la regola del “mai dire mai” non vale?

“Può valere. Ma è un’ipotesi talmente lontana da me che vale di più la risposta precedente”.

 

 

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