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Coronavirus
17.03.2020 - 11:010
Aggiornamento: 24.03.2020 - 11:32

Tampone di massa anche in Ticino? Un'ipotesi da valutare. Lo studio di Vo' Euganeo, il modello Corea del Sud e il parere favorevole di alcuni specialisti

Il Veneto ha già detto che intraprenderà questa strada con 25'000 test al giorno. E anche nel mondo scientifico italiano diversi esponenti di spicco si schierano: "Essenziale isolare gli asintomatici". E sull'immunità di gregge....

di Andrea Leoni

LUGANO - Tamponi di massa anche in Ticino? È giusto che i nostri esperti valutino l’ipotesi, in base alle ultime notizie che arrivano dall’Italia. In premessa va detto che l’Istituto nazionale di sanità italiano non segue al momento questo approccio, scegliendo come noi di “strisciare” solo persone che presentano determinati sintomi o che lavorano nella trincea sanitaria. Però, anche nella vicina Penisola, a a livello internazionale, cresce il "partito" dell’indagine a tappeto.

Questa emergenza ci ha insegnato che osservare attentamente quanto avviene oltre confine, è decisivo per avere successo nella battaglia contro il Coronavirus. Così come ci ha insegnato che non possiamo attendere Berna, che finora ci ha fatto solo perdere tempo. Occorre, dove possibile, anche un po’ di fantasia nel valutare gli scenari e i relativi piani d’azione. 

Il Veneto, come vi abbiamo riferito ieri, è pronto a lanciare l’operazione: "«Andremo col camper a fare il tampone a tutti - ha spiegato il Governatore Luca Zaia - . Noi siamo in grado di fare 20-25 mila tamponi al giorno e avere il risultato in quattro ore. Le persone positive asintomatiche devono essere individuate perché se vanno in giro contagiano altre persone anche senza saperlo. Quindi dobbiamo isolarle". Anche l’infettivologo Massimo Galli, dell’ospedale Sacco di Milano, tra gli specialisti più ascoltati in questa crisi, spinge affinché la Lombardia segua l’esempio della Regione guidata da Luca Zaia. 

Lo studio di Vo’ Euganeo

Ne è convinto anche Sergio Romagnani, Professore di immunologia all’Università di Firenze, che ha scritto una lettera alla Regione Toscana, chiedendo ai governanti di seguire questa via.

Romagnani fonda le sue convinzioni sulla base di uno studio epidemiologico effettuato a Vo’ Euganeo, uno dei primi focolai italiani messi in quarantena e realizzato da Andrea Crisanti, Direttore della Cattedra dell’Unità Diagnostica di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova.

Ebbene, scrive il Professore, in questo Paese “è stato eseguito il tampone per la ricerca del Covid-19 a tutti gli abitanti ed è stato dimostrato che la grande maggioranza delle persone che si infetta, tra il 50 e il 75%, è completamente asintomatica, ma rappresenta comunque una formidabile fonte di contagio”.

“A Vo’ infatti - prosegue Romagnani - con l’isolamento dei soggetti infettati il numero totale dei malati è scesa da 88 a 7 (almeno 10 volte meno) nel giro di 7-10 giorni. Quello che è anche più interessante e in parte sorprendente, è stata anche la dimostrazione che l’isolamento dei contagiati (sintomatici o non sintomatici) non solo risultava capace di proteggere dal contagio altre persone, ma appariva in grado di proteggere anche dalla evoluzione grave della malattia nei soggetti contagiati perché il tasso di guarigione nei pazienti infettati, se isolati, era nel 60% dei casi pari a soli 8 giorni”. 

“Essenziale isolare gli asintomatici"

Da questi dati il Professor Romagnani, trae alcune conclusioni importanti:

1. La percentuale delle persone infette, anche se asintomatiche, nella popolazione è altissima;

2. L’isolamento degli asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del virus e la gravità della malattia. Alla luce di questi dati straordinari, è evidente che le attuali politiche di contenimento del virus devono essere riviste. Risulta infatti assolutamente fondamentale per bloccare la diffusione del virus identificare il più alto numero possibile di soggetti asintomatici che sono fonte importante della malattia e di identificarli il più precocemente possibile.

3. In molte regioni, sia italiane che internazionali, si sta decidendo di non fare più il tampone ai medici e agli infermieri a meno che non sviluppino sintomi. Ma alla luce dei risultati dello studio di Vo’, questa decisione può essere estremamente pericolosa; gli ospedali rischiano di diventare zone ad alta prevalenza di infettati in cui nessun affetto è isolato. Il rischio di contagio per i pazienti e tra colleghi rischia di diventare altissimo ed esiste anche il rischio di creare delle comunità ad alta densità virale che sono quelle che, secondo lo studio di Vo’, favoriscono anche la gravità del decorso della malattia.

4. È quindi assolutamente essenziale estendere i tamponi alla maggior parte della popolazione, in particolare alle categorie a rischio (cioè esposti a contatti multipli), e quindi isolare i soggetti positivi al virus e i loro contatti, anche se asintomatici, quanto più precocemente possibile. In particolare, è assolutamente necessario fare i tamponi a tutti coloro che hanno una elevata probabilità di trasmettere il virus, specialmente se vivono in comunità chiuse e con contatti molteplici e ravvicinati. Infine, è importantissimo che tutti i soggetti a rischio indossino le mascherine, non tanto per proteggere se stessi dall’infezione, ma piuttosto per proteggere gli altri, anche quando non presentano sintomi.

5. Si potrebbe obiettare che i costi di un numero elevato di tamponi, nonché le difficoltà di ordine tecnico che ne derivano) siano state le motivazioni addotte per sconsigliare finora questa strategia a livello di politica sanitaria nazionale e quindi anche della mia regione (Toscana), scegliendo quella di effettuare il tampone solo alle persone fortemente sospette a causa della loro sintomatologia. Ma i costi, valutati in termini di vite salvate, di numeri molto inferiori di soggetti che richiedono i costi e i rischi di una terapia intensiva, e anche in termini economici, sarebbero alla fine enormemente inferiori a quelli legati alla esecuzione di un numero di tamponi molto maggiore di quello attualmente effettuato”.

Il modello Corea del Sud


Quando sta avvenendo in Veneto, come ricorda anche il Professor Romagnani, è frutto dell’esperienza fatta in Corea del Sud. Un modello basato sui test a tappeto e sull’utilizzo dei Big Data, che sta dando risultati confortanti. Un approccio che Seul ebbe modo di testare già con l’emergenza Zika.

La Corea, ad oggi, è il Paese che ha fatto più tamponi al mondo rispetto al totale della popolazione: 240 mila in un mese e mezzo. Funziona così: il test viene effettuato in apposite stazioni mobili, nelle abitazioni e agli automobilisti, con punti di controllo lungo le strade. Servono appena dieci minuti e il sistema riduce al minimo l’esposizione agli operatori sanitari e agli altri pazienti.

Accanto allo “striscio di massa” vi è la sorveglianza attraverso la tecnologia. Sono state create delle app che permettono di localizzare aree o edifici dove si trovano persone contagiate. Inoltre il ministero della salute fornisce una tabella aggiornata, dove viene fornita una mappatura capillare dei contagiati: sesso, nazionalità, anno di nascita del soggetto, modalità di contagio (ad esempio: “visita a Wuhan”), data di conferma dell’infezione, luogo di ricovero e numero di persone che il paziente avrebbe incontrato dopo il contagio.

Non va sottaciuto che questo approccio mette molto sotto stress il concetto di privacy. Ma il Governo di Seul ha fatto la sua scelta: prima la salute, poi la tutela della sfera privata. La Corea ha puntato tutto sull’organizzazione, proponendo un modello alternativo a quello cinese, fondato sostanzialmente sul coprifuoco. Attenzione: come hanno fatto i cinesi, anche i coreani hanno preso le misure basilari che sono state adottate ieri anche dalla Svizzera (chiusura delle scuole, divieto di manifestazioni, etc), ma senza arrivare al pugno di ferro. Inoltre il Governo ha reso obbligatorio l’uso della mascherina per tutti i cittadini. 

È bene sottolineare come la Corea del Sud non abbia ancora risolto l’emergenza, ma certamente è riuscita a tenerla sotto controllo. Di tanto in tanto riemergono dei focolai, ma l’infezioni di massa sembra ormai essere stata fermata.

Il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, ha espresso ottimismo sulla situazione. “A meno di sviluppi inaspettati, ci aspettiamo che questo trend guadagni slancio. La nostra fiducia nel superare il Covid-19 cresce”.

Immunità di gregge

La linea dell’immunità di gregge per contrastare il Coronavirus, è stata ormai abbandonata da tutti i Paesi europei, salvo la Gran Bretagna. La Francia, con le decisioni assunte ieri dal Presidente Macron, con restrizioni all’italiana, ha fatto cadere anche l’approccio della diffusione controllata della malattia.

Alcuni osservatori ritengono che la strategia dell’immunità di gregge, sia stata considerata e poi scartata da molti Paesi - compreso il nostro dove era sta evocata sia da Daniel Koch che da Giorgio Merlani - per ragioni etiche. L’opinione pubblica non avrebbe mai accettato i morti e i malati necessari per far diffondere la malattia al punto giusto.

In realtà anche dal profilo scientifico, una parte degli specialisti avanza forti dubbi su questo tipo di approccio scientifico. Tra questi anche il Professor Roberto Burioni, che ha illustrato le sue perplessità in questo video pubblicato su Medical Facts.



Non meno critico anche il Professor Massimo Galli, intervistato dal giornale: “L'immunità di gregge significa avere un numero sufficiente di persone della popolazione che ha sviluppato una difesa immunitaria contro un virus e lo può combattere con una risposta secondaria. In pratica io ho incontrato il virus una volta, l'ho combattuto, l'ho vinto e la seconda volta il mio sistema immunitario si ricorda di lui e gli impedisce di entrare. Ma non è detto, però, che la mia memoria sia permanente o che il virus non si possa modificare. È possibile che ci vogliano generazioni.



Secondo gli specialisti inglesi per raggiungere l’obiettivo dell’immunità di gregge, il Coronavirus dovrebbe infettare il 60 per cento della popolazione: “È un'affermazione a dir poco avventurosa - replica Galli - Come possono dire una cosa simile visto che la percentuale delle persone immunizzate necessarie a fare da barriera cambia da malattia a malattia e sfido chiunque a fissare con sicurezza quanto basterà per questa, che è del tutto nuova? Mi sembra un atteggiamento di chi si preoccupa più degli aspetti economici che della salute dei cittadini e cerca un'assoluzione a priori per una decisione sciagurata”.

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