Il deputato PLR: "Mi chiedo come sia stato possibile lasciare in giro un personaggio del genere. La gente fa bene ad essere arrabbiata"
LOSANNA/GIUBIASCO - Nel corso della sua carriera da poliziotto ha indagato anche sul caso di Michel Peiry, "il sadico di Romont". Romont, comune del Canton Friborgo, stesse zone teatro in queste ore dell'omicidio di Marie e della sconvolgente vicenda del suo assassino, Claude Dubois.
Ancora oggi Giorgio Galusero, svestita la divisa da poliziotto e indossata quella di Gran Consigliere, viene intervistato quando in qualche parte della Svizzera o del Mondo si racconta la storia di Peiry. Il serial killer più tristemente noto della nostra storia giudiziaria è sepolto in una prigione vallesana. A lui i giudici non hanno mai concesso la libertà vigilata, nonostante le numerose richieste inoltrate dall'assassino. Peiry è stato condannato per quattro omicidi commessi nel nostro Paese ma si ritiene che le vittime siano in totale una decina. Le sue vittime erano autostoppisti che venivano rapiti e seviziati prima di essere uccisi.
Naturalmente sarebbe eccessivo e fuorviante paragonare la vicenda di Peiry a quella di Dubois. Ma anche la storia del killer di Mary mette i brividi e soprattutto ha già scatenato un vespaio di polemiche. L’uomo, 36enne, stava scontando agli arresti domiciliari la fine della pena per rapimento, stupro e assassinio. Nel 2000 fu intatti condannato per avere, nel gennaio del 1998 aveva sequestrato, stuprato e ucciso con diversi colpi d’arma da fuoco la sua ex fidanzata di 31 anni. Indossava un braccialetto elettronico che però non era dotato di un GPS. E Dubois ha avuto vita facile a sbarazzarsene, senza far scattare l'allarme, e a mettere in atto il suo piano criminale.
Giorgio Galusero, come commenta la vicenda di Marie e del suo assassino?
"Guardi non so cosa dire…sono sconvolto anch'io. Premetto che non conosco il dossier ma da quel che leggo sui media mi chiedo come sia stato possibile lasciare in giro un personaggio del genere con un semplice braccialetto. Dubois rappresenta il classico caso limite…La gente fa bene ad essere arrabbiata. Non vorrei essere il papà della ragazza…".
Lei parla di casi limite: può spiegarci meglio?
"Sono casi che fanno rabbrividire e che non trovano nessuna soluzione nell'espiazione della pena. La probabilità di recidiva è altissima. D'altra parte quello di Dubois non è il primo caso di un assassino che viene rimesso in libertà e uccide di nuovo. Mi ricordo quando interrogavo Michel Peiry, era lucidissimo di mente. Mi diceva: "Io posso caricare un centinaio di autostoppisti e il 99% di loro arriva a casa sano e salvo. Ma se uno mi piace, mi scatta la pulsione sessuale e io devo, devo, ucciderlo". Ecco, per queste persone non esiste una pena carceraria che possa far immaginare un recupero".
Nel caso di Peiry lei si disse a favore della pena di morte. Lo farebbe anche per il caso di Dubois?
"Sì, per questi casi sono favorevole. Ripeto, la possibilità di recidiva è molto forte. E quando è evidente che la prigione non serve a nulla, io sono d'accordo con la pena di morte".
Un altro punto delicato della vicenda riguarda il braccialetto elettronico, senza GPS, e di cui Dubois si è sbarazzato con una facilità disarmante.
"Guardi, sinceramente io al braccialetto elettronico ci credo poco. Secondo me non è mai una bona soluzione. Per i casi meno gravi bisogna concedere la fiducia al detenuto che si mette in semi libertà. Per i casi come questi mettere un braccialetto non serve a proteggere la gente, come si è visto".
L'opinione pubblica sembra concentrare di più la sua rabbia verso l'autorità che ha messo in libertà Dubois, piuttosto che verso l'assassino. Concorda?
"Sì, ed è normale. Effettivamente qualcuno ha la responsabilità di quel che è successo, al di là dell'assassino. E porta sulla coscienza una grave colpa".
Senta Galusero, per concludere, al di à della sua opinione sulla pena di morte, nei casi gravi come quelli di Dubois a un certo punto qualcuno si trova davanti a una decisione. Scarcerare o no l'assassino alla fine della pena? Concedere o no i domiciliari? Se si tratta di una scelta autentica, come prevede la legge, ci sarà sempre qualcuno che resta dentro e qualcuno che esce. E soprattutto ci sarà sempre il rischio di un errore. Da questo punto non se ne esce, non trova?
"È evidente. E per di più si tratta di decisioni difficilissime e delicatissime. Ma vorrei mettere l'accento su un altro particolare: l'assenza di strutture adeguate, anche da un punto di vista delle cure, per detenuti che per la loro pericolosità devono restare in cella per sempre. Ne avremmo bisogno anche in Ticino. Consideri che da noi ci sono una decina di casi. Parlo di persone che hanno scontato la loro pena ma che sono troppo pericolosi per essere rimessi in libertà".