L'attrice, che nel 2001 fu arrestata dopo un furto a Beverly Hills, racconta il suo dramma: "Il cinema mi ha salvata"
LOS ANGELES - Winona Ryder è stata una delle attrici di maggior talento a cavallo fra gli anni '80 e '90. Poi, nel 2001, il fattaccio e la carriera che si interrompe: l'attrice, che soffriva di cleptomania, venne fermata per taccheggio nei grandi magazzini di Beverly Hills Saks Fifth Avenue. Nella borsa le trovarono una serie di articoli d'abbigliamento per un totale di oltre 4mila dollari oltre a una grande quantità di analgesici come ossicodone, valium e vicodin. Venne successivamente processata e condannata a tre anni di libertà vigilata, al pagamento di quasi 10.000 dollari di multe, a 480 ore di volontariato e a sottoporsi obbligatoriamente a un trattamento di consulenza psichiatrica.
C'è voluto del tempo per tornare sulle scene. C'è voluto del tempo per guarire. Ma ora la Ryder sta bene e racconta apertamente il suo burrascoso recente passato. L'attrice si è confessata in una lunga intervista a "Ok Salute", il periodico del Corriere della Sera.
"Non sono una persona incline ai rimpianti - ha detto Winona Ryder - perché tutto ciò che uno fa, anche le cose spiacevoli e strane, hanno un loro senso e significato nella lunga gittata. Sono esperienze da cui impari, attraverso le quali cresci. Anche quelle che derivano da momenti di disagio psicologico ed emotivo. C’è stato un momento in cui tutto nella mia vita e nella mia carriera andava troppo veloce. Sono stata sopraffatta dalla velocità, che si è trasformata in forte nevrosi. Ho sentito quindi il bisogno di rallentare i ritmi. Lavoravo tantissimo e sentivo su di me pressioni enormi. Non avevo nemmeno 30 anni, ed è stato come se il controllo della mia vita stesse sfuggendo dalle mie stesse mani. Ammetto che c’è stato un momento in cui non capivo più niente. Mi sono affidata troppo facilmente ai medicinali, ho iniziato a prendere pillole calmanti e psicofarmaci, nell’illusione di rallentare artificialmente la corsa impazzita del treno della mia vita".
"Quaando è accaduto quell’episodio sfortunato del furto e dell’arresto - ha raccontato ancora l'attrice - non ero del tutto in grado di intendere e di volere. Non mi stavo rendendo conto di quello che facevo. L’hanno definita “cleptomania”. Io dico “stato confusionale”. E non sto qui a giustificarmi. La mia posizione privilegiata, di persona con una certa reputazione, mi ha consentito di trovare cure adeguate e relativa redenzione. Non tutti gli psicotici hanno la mia fortuna. Sono cosciente del fatto che molte persone perdono per un momento la bussola e non ricevono lo stesso trattamento che ho ricevuto io come paziente. Sono stata condannata a molteplici ore di servizio comunitario ma ho avuto la fortuna di non finire in prigione e di poter tornare a casa. Casa nel senso di venire accolta e sostenuta da una famiglia solida e da un gruppo forte di amici veri. Sono tornata a vivere a San Francisco, dov’ero cresciuta, lontana da Hollywood".
"Ho avuto anche la fortuna di trovare nel cinema stesso una forma di guarigione. La recitazione, che amo tantissimo e che è l’unico lavoro che io abbia mai fatto nella vita, mi ha consentito di trovare sfoghi terapeutici. Ovvero essere in grado non solo di svolgere la mia professione, pur nella situazione precaria in cui mi sono trovata dopo il fattaccio, ma anche di proiettare sui miei personaggi i simulacri dei miei incubi", ha concluso la Ryder.