A Roma scoppia il caso delle adoloscenti che si prostituiscono con i compagni di classe in cambio di ricariche telefoniche, oggetti e denaro. Un docente denuncia: "Casi anche nel nostro Cantone". Ma gli esperti frenano
di IIary Bucci
ROMA/TICINO – Le chiamano “ragazze doccia”, perché “come ci si fa la doccia tutti i giorni, loro quotidianamente fanno sesso”. Sono spesso di ‘buona famiglia’, frequentano istituti privati, hanno fra i 14 e 16 anni e si prostituiscono con i coetanei nei bagni della scuola in cambio di ricariche telefoniche, oggetti e denaro. Durante le ore di lezione, sui telefonini è un pullulare di messaggini e contrattazioni: si fissano prestazioni, compensi e appuntamenti per la pausa successiva. È il nuovo scandalo, dopo quello delle baby squillo dei Parioli, che sta scuotendo l’opinione pubblica italiana. A denunciare il fenomeno è stato il direttore del reparto di Pediatria dell’ospedale Fatebenefratelli Luca Bernardo nel corso di una video-inchiesta, pubblicata su Corriere.it il 7 novembre scorso. Sempre Bernardo ipotizzava poi che i casi potessero esser molti più degli otto individuati e che ad aver usufruito delle loro prestazioni potessero esser stati anche degli adulti.
Francesco Doninelli: "Io cose così non le ho mai viste"
Questa, la situazione nella vicina Penisola. E in Ticino invece? Si sono verificati casi simili? Per Francesco Doninelli, docente alle scuole medie di Bedigliora, è un problema che sembra non toccarci: “Noi abbiamo avuto qualche problema con l’utilizzo del telefonino, ma riguardava episodi più o meno soft di bullismo filmati durante le pause. Cose dal punto di vista sessuale, avrò forse avuto le fette di salame sugli occhi, io personalmente non le ho mai viste né sentite. Purtroppo queste cose partono prima dai grandi centri e poi arrivano anche nelle ‘periferie’. Ma in ogni caso credo che in Ticino siamo abbastanza corazzati , grazie alla sensibilizzazione e alla prevenzione, per impedire che accada. Inizialmente, all’arrivo di questi nuovi telefonini in grado di fare ‘tutto’, la scuola era rimasta forse un po’ spiazzata. Ma adesso sta reagendo e rispondendo da un lato sensibilizzando i ragazzi e dall’altro vietando di potare questi dispositivi a scuola o obbligando i ragazzi a spegnerlo. Trovo sia comunque una forma di prevenzione che possa evitare che accadano fatti come quelli avvenuti in Italia. Ciò non esclude che possa succedere fuori dall’orario scolastico. Il problema di questi ragazzi è spesso la noia, che gioca loro brutti scherzi. Potenzialmente avrebbero un milione di stimoli e invece… si annoiano. E di solito, a quell’età, non si trovano certo attività intelligenti con cui riempire il proprio tempo”.
La testimonianza anonima di un docente: "Succede anche in Ticino"
Diversa la testimonianza di un altro docente dell’insegnamento medio, che, interrogato sull’argomento, racconta: “Da quella che è la mia esperienza e da quanto appreso dai colleghi, posso dire che ci sono da anni casi sporadici anche in Ticino. Ed è successo con ragazze pure più giovani di 14 anni. Ancora più rari certo, ma alcuni casi si sono presentati già in prima media. La differenza fondamentale con le notizie che ci giungono dall’Italia è la dimensione del fenomeno e, soprattutto, il fatto che avviene unicamente fra coetanei compagni di scuola. Si tratta di casi locali, che rimangono circoscritti a livello di sede.
"All’interno dell’istituto in cui avviene di solito - prosegue il docente - in breve tempo un po’ tutti ne sono a conoscenza. Si sparge la voce, la ‘fama’ della ragazzina aumenta, si sa che lei è ‘quella facile’ e nei bagni durante la pausa o alla fermata del bus dopo la scuola avvengono gli incontri. Quando cose del genere saltano fuori, si cerca di trattare il tutto con cautela, per non peggiorare la situazione della ragazzina. La sede comincia con l’indagare sul caso per capire cosa è successo e da quanto va avanti. Ma non è sempre facile perché le ragazze coinvolte inizialmente non parlano. Ai ‘fruitori’ di solito spettano delle misure disciplinari, perché anche loro devono capire che non sono cose da fare, mentre con la ragazzina in questione si cerca di andare verso un percorso di recupero e riflessione, e in accordo con la famiglia si può decidere anche per un consulto psicologico. Anche perché in genere queste ragazzine non si rendono nemmeno conto di quanto stanno facendo. All’inizio infatti o non parlano o quando cominciano a farlo è per sostenere che non è nulla di che. Ricordo un caso che mi è capitato direttamente, questa ragazza inizialmente continuava a dirmi: “Ma è normale. Tutti pensano che sono una zoccola, ma io invece sono veramente così”. E invece poi scopri che la loro situazione a casa è un disastro e non sanno cosa stanno facendo".
"Ecco - conclude il docente - altra grande differenza rispetto alla componente ‘finanziaria’ che ruota attorno ai casi italiani, è che spesso la causa principale non è tanto l’aspetto economico, i soldi, quando ci sono, sono solo un pretesto. Sono piuttosto casi di ragazze con situazioni sociali e familiari disastrose che per attirare l’attenzione dei compagni si mettono a fare cose più grandi di loro. In Ticino, da quella che è la mia esperienza, mi sembra quindi un fenomeno, raro, legato a un disadattamento dei ragazzi che poi salta fuori in questo modo”.
Marco Galli: "Al nostro ufficio nessuna segnalazione"
Dagli organi che dovrebbero occuparsi di queste ragazze però non arriva nessuna conferma: al servizio medico psicologico come al consultorio delle donne di Lugano “non risultano casi simili”. Così pure all’Ufficio per le famiglie e i giovani: “Non ho mai ricevuto segnalazioni a riguardo – spiega il capoufficio Marco Galli –. Certamente, quello che si nota è un cambiamento generale nel vissuto della sessualità: una ‘maschilizzazione’ diciamo, con una fruizione del rapporto sessuale più ripetitivo anche nelle ragazze, rispetto al passato dove era più una prerogativa maschile”.
Barbara Bonetti: "La prevezione sessuale nelle scuole si fa a monte"
Anche Barbara Bonetti, responsabile del Forum per la promozione della salute nella scuola, racconta di non aver ricevuto segnalazioni a riguardo: “Non abbiamo un costante contatto diretto con i ragazzi, ma nessun docente ci ha mai parlato di casi simili. Il gruppo di lavoro per la formazione sessuale nella scuola lavora a monte, organizzando attività e corsi per il docente. La nostra è certamente una forma di prevenzione: ci occupiamo di educazione sessuale nella scuola perché è importante accompagnarli nello sviluppo della sessualità in modo costruttivo. L’educazione sessuale, così come è pensata nelle scuole in Ticino, è volta ad aiutare i ragazzi a vivere la loro sessualità, soprattutto con tutta l’informazione contraddittoria che gira in internet e alla televisione, in maniera positiva e critica, in un discorso non solo prettamente anatomico, ma che coinvolga pure l’affettività”.
Fabia Ferrari: "Noi agiamo in un contesto di nicchia"
Nessun caso noto anche ad associazioni come Radix e Passi (Percorsi Affettivi Secondo una Sessualità Integrata) che si occupa proprio di educazione alla sessualità e all’affettività. “Noi però – spiega la responsabile Fabia Ferrari –, agiamo in un contesto molto più di nicchia. Per le ragazze in quella fascia di età abbiamo dei corsi mamma-figlia, chi viene da noi perciò è il genitore che vuole avere un ruolo attivo nell’educazione affettiva e sessuale della figlia, una madre decisamente presente e attenta. Difficile quindi che queste ragazze, che così imparano che di questi argomenti si può parlare con tutte le emozioni del caso e a vedere nel genitore un punto di riferimento anche in questa sfera, vivano in maniera sbagliata la loro sessualità”.
Francesco Vanetta: "Due o tre casi in dieci anni: sono ragazze disperate"
Unica voce a supporto della testimonianza del docente, è quella di Francesco Vanetta, capufficio dell’insegnamento medio che però chiarisce subito: “Si tratta di situazioni che definire iper eccezionali è poco. Quantificando, posso dire che negli ultimi dieci anni ci saranno stati due o tre casi, ma si trattava di allieve il cui quadro complessivo era davvero drammatico. Il loro comportamento era quindi la manifestazione di un disagio generale, causato spesso da gravi problemi familiari. Ragazze completamente disadattate per cui bisogna prendere misure di intervento incisive, come l’allontanamento dalla famiglia”.
“Un caso con cui mi sono confrontato direttamente – aggiunge –, e questo sì ricordo che mi ha impressionato, era quello di una ragazza che abbiamo poi scoperto vivere da sola. La famiglia non c’era più, erano letteralmente scomparsi. Oppure ricordo di un direttore che mi raccontava che se non andavano personalmente a prenderla a casa, la ragazza non veniva nemmeno più a scuola. La sede chiamava preoccupata per l’ennesima assenza e solo allora la madre andava a controllare e si accorgeva che ‘sì, effettivamente è qui che dorme’”.
“Capisce? Sono situazioni dove il disagio è generale e spesso casi così gravi dipendono dalla famiglia. Quadri complessivi tragici in cui comportamenti simili sono solo la manifestazione di problemi molto più gravi, radicati e generali. Quindi sì, possiamo dire che qualche caso avviene anche qui, ma non è assolutamente nulla che possa esser paragonato alla situazione italiana. Inoltre, per le storie di cui sono a conoscenza, gli incontri avvenivano sempre fuori dalla scuola. La sede interveniva perché la voce girava e si veniva a sapere e dato le situazioni che spesso ci sono a monte, era già in allerta per la ragazza che solitamente manifestava anche altri sintomi di disagio”.