CRONACA
Armando Dadò "riscrive" la storia della RSI, dalla nomina di Canetta ai licenziamenti, all'assunzione di Savoia. E ne ha per tutti, anche per i leghisti che hanno abbandonato la CORSI
Ecco una sintesi dell'opinione di fuoco che l'editore firma sul secondo numero della rivista "Il Ceresio"

LOCARNO - L’editore Armando Dadò entra in “takle” sulla RSI. Lo fa con un’opinione di fuoco sulla sua rivista, “Il Ceresio”, il cui secondo numero è uscito in questi giorni. È una sorta di rilettura, dal suo punto di vista, della recente storia dell’azienda radiotelevisiva.

Dadò ne ha per tutti: per il direttore della RSI, Maurizio Canetta, per l’ex coordinatore dei Verdi, Sergio Savoia, e per i rappresentanti leghisti che hanno abbandonato il Comitato della CORSI, in particolare Paolo Sanvido e Michele Foletti.

Con la vis polemica che lo ha sempre contraddistinto, fin da quando sedeva in Gran Consiglio, Armandò Dadò parte da lontano, dalla nomina di Canetta, ricordando gli elogi che giunsero al nuovo direttore dagli ambienti leghisti: “La nomina – scrive - piacque anche, e la cosa sorprese non poco, ai tre rappresentanti della Lega nella CORSI, che ne tessero gli elogi sul loro settimanale, parlando fra altro di “grande attenzione ai bisogni delle persone, capacità di coinvolgere e motivare i collaboratori, rigore gestionale e forte senso dell’equità”.

“Non passò molto tempo – prosegue Dadò - che all’interno della Radiotelevisione, in un’atmosfera fortemente turbata, vennero a galla contrasti e conflitti mai emersi apertamente in precedenza e si manifestarono tensioni mai conosciute prima. Se parlare di caos è esagerato, non è un eufemismo dire che la situazione stava diventando caotica. Trovatisi confrontati con un orizzonte avviato all’oscuramento, i rappresentanti della Lega nella CORSI preferirono defilarsi, rassegnando le dimissioni”.

Poco dopo, scrive, si resero necessarie le riduzioni di personale che hanno suscitato le polemiche che tutti sappiamo: “Ciò che lasciò soprattutto di stucco è il modo con il quale si provvide ai licenziamenti (…). Vennero risuscitati “metodi di brutalità”, usati dai peggiori padroni delle ferriere in altri tempi e si procedette ad accompagnamenti alla porta secondo criteri operativi che si pensavano definitivamente superati”.

In seguito vi fu l’assunzione di Sergio Savoia, che secondo Dadò contribuì “a creare un’atmosfera di beffa o di sfida, a seconda dei punti di vista”. Nessuno contesta che Savoia sia un abile parlatore – continua l’editore, “capace di destreggiarsi con spigliatezza e spregiudicatezza su diverse scacchiere”.

Chiusa l’esperienza politica nei Verdi, “fra la sorpresa generale, in un momento in cui alcuni dipendenti venivano messi alla porta, è stato ripreso e inserito nell’organico dell’amico Canetta, con il compito, sembra, di migliorare l’immagine della RSI”.

“La Radiotelevisione della Svizzera italiana è per il Paese una realtà di primaria importanza, e in questi tempi è purtroppo più che mai confrontata con rischi e insidie pericolose  - conclude Dadò -. È quindi indispensabile che la conduzione sia irreprensibile. 
Insomma, occorre che la direzione della RSI sia un punto di riferimento all’interno dell’azienda ma anche nel Paese. È solo con queste premesse che l’ente radiotelevisivo potrà riconquistare quella credibile e solida immagine auspicata dal presidente Luigi Pedrazzini, indispensabile per affrontare con successo le sfide del presente e le incognite del futuro”.

Red

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