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Cronaca
20.02.2019 - 11:220
Aggiornamento: 20:56

Stefano Artioli: "Vi dico tutto!". Il Ticino in ritardo di 30 anni. Il successo di Artisa. Lo sfitto che non c'è. Il dovere morale verso i giovani. La politica e la mentalità del 'non si può fare'...

L'imprenditore: "Il mio è uno sfogo amaro, ma anche un’esortazione ad una profonda riflessione". E spiega come rifarebbe il lungolago di Lugano: "Pronto a investire nel progetto"

Stefano Artioli è un personaggio vulcanico e dalle idee molto chiare: dotato di grande dinamismo e velocità di pensiero, ha la capacità di vedere avanti e di far calcoli senza pallottoliere. Per le sue qualità, potrebbe essere un ottimo politico. Ma lui, che ha iniziato a lavorare nella Genazzi & Artioli, fondata 50 anni fa a Preonzo da suo padre, ditta che realizzava capannoni industriali, dice che la politica non è tra le sue priorità.

 

"Per la fine di quest’anno o l’inizio del prossimo potremmo entrare in Borsa a Zurigo”

 

Nel 2008 ha creato la holding Artisa, un’azienda che in pochi anni ha realizzato un migliaio di appartamenti in Ticino. “Attualmente costruiamo a Lugano, Zurigo, Berna, Losanna, Ginevra e Basilea – racconta Artioli -. L’obiettivo è diventare entro cinque anni una delle maggiori società a livello svizzero. Oltre ad avere un parco immobiliare nelle principali città elvetiche, oggi Artisa è sulla strada per la quotazione in Borsa: per la fine di quest’anno o l’inizio del prossimo potremmo entrare in Borsa a Zurigo”.

 

Il forte e veloce sviluppo di Artisa, spiega, “è stato possibile grazie ad un’attenta analisi delle esigenze del mercato a livello svizzero e alla necessità delle casse pensioni e dei fondi di investimento di riuscire ad allocare ed impegnare in maniera proficua il proprio denaro, per il quale, se non stanziato, si dovrebbero pagare tassi negativi. Tra i nostri maggiori clienti in Svizzera ci sono UBS, CS, Swisscanto, SwissLife, Swiss Prime Site, CSS. Noi sviluppiamo progetti, loro investono”.

Tornando al Ticino, prosegue, “intravedo ancora un grosso potenziale di sviluppo e, se si sceglie di progettare il futuro non solo in termini di pura speculazione ma anche tenendo in considerazione aspetti etici e sociali, si potrebbero realizzare progetti molto interessanti. Attualmente, una parte del parco immobiliare ticinese è piuttosto vetusto e ci sono interi quartieri da riqualificare”.

 

“Il problema dello sfitto? Vi dico una cosa: su cento appartamenti in vendita o in affitto, nella metà non andreste a vivere”


In quest’ottica il tema dello sfitto, che a buon diritto preoccupa molti, se analizzato più da vicino, può essere affrontato con meno timore.

“In Ticino – spiega l’imprenditore - gran parte dello sfitto, attualmente al 2%, è generato dal settore del lusso, un mercato che va esaurendosi perché ci sono sempre meno stranieri che arrivano per affari. Vi dico una cosa: su cento appartamenti in vendita o in affitto, nella metà non andreste a vivere. Innanzitutto esiste un parco immobiliare che andrebbe demolito e ricostruito a nuovo; inoltre, quello che offre il mercato – stiamo parlando di 2 appartamenti su 100 – si concentra soprattutto tra Paradiso, Castagnola, Montagnola e si tratta essenzialmente di appartamenti di lusso realizzati da chi voleva investire capitale: appartamenti dal costo elevato, dai 2 ai 4 milioni, che non hanno più mercato e se li affitti devi chiedere almeno 5'000 franchi al mese. Questa percentuale non deve generare paura, perché sono stati costruiti col contante e quindi non hanno rischi ipotecari”.

Il problema, aggiunge Artioli, è che, soprattutto nel Luganese, non c’è un parco immobiliare moderno: “Appartamenti da due o tre locali con i servizi che oggi la gente si aspetta, e con un bel parco attorno al condominio, ad affitti sostenibili, tra i 1'200 e i 1'700 franchi al mese. Noi stiamo realizzando oggetti del genere, per dare la possibilità alle persone di vivere più vicino al centro e incentivarle ad utilizzare sempre più spesso i mezzi pubblici”.

 

“Nel nostro Cantone non è sempre facile lavorare e portare avanti dei progetti... Nei prossimi tre anni potrebbe salire la disoccupazione, perché non riusciamo e non sappiamo creare economia”

 

Ma le visioni future di Sfefano Artioli vanno da tempo oltre il Ticino: “Già nel 2011, con mio figlio Alain e i nostri imprenditori, ho intuito che per crescere bisognava uscire dai nostri confini e operare a livello svizzero. Nel nostro Cantone non è sempre facile lavorare e portare avanti dei progetti: i piani regolatori talvolta inutilmente restrittivi, una burocrazia lenta e farraginosa, autorizzazioni che tardano ad arrivare e che generano ritardi di cantieri, oltre alle innumerevoli opposizioni…”.

Così nel 2013 Artisa ha varcato il Gottardo. Racconta Artioli: “Avevo immaginato che dal 2018 in poi il mercato si sarebbe compresso, non per la questione degli sfitti ma per i problemi di pianificazione, e questo porterà nei prossimi anni a una riduzione delle imprese e del settore dell’edilizia: i grossi investitori non ci sono più perché mancano i grandi progetti di trasformazione di cui la società avrebbe assolutamente bisogno, ma che non sono stati pianificati. Questo ci fa capire che nei prossimi tre anni potrebbe salire la disoccupazione, perché non riusciamo e non sappiamo creare economia. Le grosse imprese con cui lavora Artisa sono già in fase di riduzione, e nei prossimi anni si ridimensioneranno. Una contrazione del settore immobiliare e una crisi della filiera porterebbero ad una significativa diminuzione del gettito fiscale con pesanti ricadute trasversali su tutto il Cantone. Questo nonostante in Ticino ci siano delle enormi potenzialità”.

 

“Sapete perché certi bandi di concorso finiscono malamente? Perché coloro che li preparano non sono mai stati imprenditori”

 

Artisa, che voleva assolutamente partecipare ai grandi progetti di Lugano, anche per un forte legame con il territorio, ha preferito rinunciare, nonostante avesse tutti i requisiti per prendervi parte…

“Innanzitutto – spiega l’imprenditore - molti progetti hanno subito una battuta d’arresto e quelli che – me lo auguro per il bene della Città – dovessero andare in porto – lo faranno tra molte peripezie e difficoltà. Tutto questo ha generato due progetti molto controversi come lo stadio di Cornaredo e il centro congressuale del Campo Marzio. Prendiamo per esempio il centro espositivo: sono anni che se ne parla ma per il momento e per molti anni ancora non si muoverà niente. Questi ritardi ci rendono molto meno competitivi, generano costi ma non ricchezza. Ricchezza che potrebbe trasformarsi in benessere per i cittadini”.

 

E aggiunge: “In Ticino – con Lugano in testa – siamo in ritardo di almeno 30 anni! Quando per esempio ho letto il bando di concorso del centro espositivo, mi sono detto: ‘Non si può fare un partenariato tra pubblico e privato a queste condizioni’. La Città chiede agli imprenditori di assumersi rischi e costi con una contropartita di ricavi incerti. E sapete perché certi bandi di concorso finiscono malamente? Perché coloro che li preparano non sono mai stati imprenditori. In politica, d’altronde, di imprenditori ce ne sono pochissimi”.

 

E sullo stadio dice: “Bisognava associare investitori locali e proporre un bando di concorso sostenibile, e sono certo che i capitali sarebbero venuti fuori. Se non metti il collante giusto, facendo in modo che l’imprenditore veda la sostenibilità del suo investimento e che l’affare stia in piedi e generi ricchezza, la cosa non funziona. Anche Angelo Renzetti, che pure in più occasioni si era detto interessato al progetto, all’ultimo ha deciso di defilarsi. E questo è un vero peccato. Allo scadere dei termini del concorso, solo due investitori hanno presentato la loro candidatura: un consorzio ticinese e una società immobiliare svizzero-tedesca. Corriamo il rischio che anche questa impresa venga realizzata da un appaltatore estero, mentre noi dobbiamo credere negli imprenditori locali. È giusto che ci sia concorrenza, ma quale concorrenza vogliamo? L’imprenditore locale è più vicino alle aziende del territorio, e cercherà di favorire l’economia, di creare indotto in Ticino”.

 

"Il LAC per l’80% è stato fatto da ditte italiane o straniere. Vogliamo questo? Sicuramente no.  Per questo la politica deve muoversi in maniera diversa e adeguarsi alla realtà”

 

“Temo si ripeta ciò che è già successo con il LAC, il più grande progetto pubblico della Città, affidato alla COMSA, un’impresa spagnola – prosegue Artioli -. Se continuiamo a cadere sempre nella stessa trappola, avremo i soliti sorpassi, e lavori appaltati fuori dal Ticino, mentre noi ci affanniamo a discutere se la LIA sia legittima o meno. Prima dovremmo concentrarci maggiormente su come creare lavoro in Ticino, poi potremo trattare delle regole che disciplinano mercato e concorrenza e, eventualmente, modificarle e migliorarle. Ma il problema è proprio questo: non siamo in grado di pensare a strategie o di creare sinergie che riescano a generare un sano sviluppo economico: chi opera a Lugano deve pagare le tasse a Lugano o in Ticino, e creare posti di lavoro qui e non altrove. Il LAC per l’80% è stato fatto da ditte italiane o straniere. Vogliamo questo? Sicuramente no.  Per questo la politica deve muoversi in maniera diversa e adeguarsi alla realtà”.

Tornando al progetto dello stadio Cornaredo, Artioli sottolinea: “Vi sono anche altri aspetti che non mi convincono completamente. Non puoi fare uno stadio in quella zona senza creare in parallelo un comparto residenziale. Invece sono stati previsti uffici con delle superfici che potrebbero ospitare dei colossi globali come Google o Microsoft. Erano davvero necessari? Sembra che il Comune voglia spostare lì gli uffici amministrativi, col doppio risultato di andare a pagare un affitto più caro e lasciare vuoti gli spazi in centro città. Sono valutazioni che mi lasciano molto perplesso e vorrei veramente conoscere meglio le riflessioni e i calcoli economici che hanno portato a tali scelte”.

 

"Abbiamo un dovere morale verso le future generazioni e non vedo segnali che si stia pensando a loro. Dobbiamo smettere di vedere le cose sempre in termini di litigio, di polemica..."

 

L’imprenditore sostiene che “dobbiamo impegnarci ad essere positivi, credere di più in noi, investire e rischiare di più. Dobbiamo avere il coraggio di entrare in competizione con il resto della Svizzera. Siamo in una posizione geografica e strategica interessantissima, con un buon clima, a pochi chilometri dalla Lombardia, che è sempre stato un polo a livello europeo di industria, capacità e intelligenza. Dobbiamo convincerci di essere vincenti, di essere quelli del fare e non appiattirci sul ‘non si può fare’ o ‘non va bene. Abbiamo un dovere morale verso le future generazioni e non vedo segnali che si stia pensando a loro”.

 

"I tempi di reazione della politica paragonati allo sviluppo della società sono anacronistici"

 

Significa, spiega Artioli, “che dobbiamo smettere di vedere le cose sempre in termini di litigio, di polemica, di blocco, ma soprattutto dobbiamo smettere di farci del male con le nostre mani. Per costruire qualcosa in Ticino – si tratti di una semplice passerella o della Galleria Vedeggio–Cassarate – ci vogliono tempi biblici. Oggi questo non è più possibile, i tempi di reazione della politica paragonati allo sviluppo della società sono anacronistici.  Lugano, i suoi poli li deve realizzare in 5 anni. Allora daremo un futuro alle prossime generazioni. Il mio è uno sfogo amaro ma anche un’esortazione ad una profonda riflessione. È un invito che rivolgo non solo alla politica ma all’intera società: dobbiamo metterci in discussione perché il tempo è scaduto. Abbiamo un ritardo di 30 anni che ci rende sempre meno concorrenziali. E a pagarne le conseguenze saranno i nostri figli”.

 

“Non amo il nepotismo ancora piuttosto diffuso, che vive di raccomandazioni e conoscenze, mortificando il merito e la capacità”

 

E parlando di politica, Artioli chiarisce: “Io in politica? Mai. Nasco imprenditore e gli imprenditori sono uomini d’azione e poco inclini ai compromessi. Ma se compromesso deve esserci, non deve scadere in un semplice scambio di favori, bensì in un’attenta analisi di quello che sarà la migliore soluzione per il cittadino. Dovrebbe essere sinonimo di dialogo, di un dibattito costruttivo che mi piacerebbe venisse innescato da queste mie considerazioni talvolta ruvide e troppo dirette. Ammetto, però, che qualcosa dell’attuale sistema politico non mi piace. Se si sceglie un politico perché lo abbiamo incrociato al supermercato, lo abbiamo visto ad un’inaugurazione, lo abbiamo incontrato in piazza mentre prendeva un aperitivo e alla fine lo votiamo perché lo conosciamo personalmente piuttosto che per il suo programma elettorale, il rischio di commettere degli errori di giudizio è grande e a pagarne le spese saremo proprio noi che lo abbiamo scelto”.

Vorrei una classe politica più eterogenea, aggiunge, “magari con meno avvocati. Mi piacerebbe che si potessero mettere delle quote e portare in politica contadini, imprenditori, artisti. La politica dev’essere lo specchio della società, non un sistema elitario e autoreferenziale. Non amo il nepotismo ancora piuttosto diffuso, che vive di raccomandazioni e conoscenze, mortificando il merito e la capacità. È un sistema clientelare che è destinato ad aumentare se la situazione economica dovesse peggiorare: di fronte alla difficoltà di trovare un impiego stabile, molti sono tentati di chiedere un favore ad un politico o ad un personaggio influente affinché ci aiuti a risolvere i nostri problemi”.

 

"Dobbiamo investire sui giovani, tenere qui le buone teste"

 

Poi Artioli lancia un appello: “I nostri giovani non hanno bisogno di spintarelle. Hanno bisogno di spazio e opportunità. Oggi preferirei avere un municipio di ventenni e trentenni. Perché pensiamo che uno che ha più esperienza faccia meglio di un giovane? Non è vero: io ho un’azienda in cui i miei collaboratori hanno 32 anni di media, sono bravissimi, sono più in gamba di me. Noi crediamo troppo poco nei giovani. E invece dobbiamo puntare su di loro per cambiare il sistema. Perché il sistema va cambiato.  A 58 anni mi rendo conto che quello che sta rovinando il paese è la mentalità del cittadino che non vuol vedere il futuro. Il mondo sta galoppando, dobbiamo essere attuali, competitivi, dobbiamo investire sui giovani, tenere qui le buone teste. Da sempre do dei buoni stipendi ai nostri collaboratori e così facendo cerco di fidelizzarli. Ma questo non basta: i giovani devono anche fare nuove esperienze ed è per questo che li mando a seguire sul posto i progetti che Artisa sviluppa nel resto della Svizzera”.

 

"Piazza della Riforma non è una vera piazza: sono pochi tavolini e qualche bar"

Sull’idea di una sorta di “Croisette”, un tocco di Costa Azzurra sul lungolago di Lugano, che ha tenuto banco nei primi giorni dell’anno, Artioli dice: “Un’idea bellissima, spettacolare, solo che l’intellettuale che l’ha lanciata ci ha messo la sabbia per provocazione e la gente si è scandalizzata. Però ha aperto un tema: Lugano non ha bisogno di una spiaggia, ma di una piazza. Perché Piazza Riforma non è una vera piazza: sono pochi tavolini e qualche bar. Lugano deve vendere immagine, deve avere un prodotto da vendere ai turisti stranieri. Il lungolago è l’emblema del paradosso ticinese: il cittadino per fare un gabbiotto a casa sua deve fare la domanda di costruzione, mentre lì sono anni che si va avanti a strutture precarie”.

 

"Così crei un lungolago largo 30/40 metri per la lunghezza di un chilometro. Sarei anche disposto a investire su un progetto del genere"

 

Il Lungolago va chiuso al traffico per almeno un chilometro, dal Parco Ciani al LAC, aggiunge.  “C’è una tipologia di palificazione sviluppata in Svizzera che consentirebbe di creare una corsia sotto il livello del lago e realizzarci sopra una piazza per tutta quella lunghezza. Così crei un lungolago largo 30/40 metri per la lunghezza di un chilometro. Sarei anche disposto a investire su un progetto del genere. Facciamo un fondo con tre o quattro imprenditori di quelli giusti e andiamo avanti. Io ci sono”.

 

Certo, ammette, c’è il rischio di ricorsi e opposizioni: “Bisogna gestirlo, creando consenso e dando dei posteggi sotterranei ai palazzi che si affacciano sul lungolago”.

 

“Basta dire che non ci sono i soldi. Lugano non ha osato: avrebbe dovuto investire in questi anni e non lo ha fatto”

Per quanto riguarda il debito pubblico di Lugano, Stefano Artioli dice: “Bisogna avere coraggio e smettere di dire che non ci sono i soldi. Va bene, c’è un debito pubblico di oltre 900 milioni. Si potrebbe valutare, con le dovute cautele, di mettere mano al patrimonio immobiliare della città, dismettendo tutti quegli immobili inutili, vetusti e vendendo terreni ad interesse per trasformarli in spazi e strutture utili alla comunità e che possano portare un valore aggiunto alla città. Vorrei però anche ricordare che stiamo parlando di una città di 64'000 abitanti, e se si fa il calcolo sul debito pro-capite, siamo in linea con altre realtà. Piuttosto di preoccuparci del debito, avremmo dovuto concentrarci sui tassi negativi allo 0,75% che hanno facilitato l’accesso al credito degli imprenditori.  Ma ciò nonostante Lugano non ha osato: avrebbe dovuto investire in questi anni e non lo ha fatto”.

 

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