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26.02.2019 - 17:260
Aggiornamento: 11.03.2019 - 05:28

Veleni nel piatto, Marco Jermini: "Ecco i rischi e come evitarli". Carne cruda? Sì, ma... Comunque la luganighetta no! Intanto in Ticino raddoppiano le 'multe alimentari'

Pollo, pesce, ostriche, la Coldiretti italiana stila un bollettino di guerra. Il direttore del Laboratorio cantonale rassicura ma dice: "Chi sgarra può subire conseguenze penali"

La morte nel piatto. Potrebbe essere il titolo di un romanzo ‘noir’, se non fosse che è accaduto davvero: nei giorni scorsi una donna di 46 anni è morta dopo aver mangiato una pietanza a base di spugnole in un ristorante stellato di Valencia, in Spagna. Di per sé, le spugnole non sono funghi potenzialmente letali, ma se non sono ben cotte sono tossiche. La tragedia è stata quindi probabilmente determinata da una concausa di fattori. E non è che adesso bisogna bandire le spugnole dal proprio menu o farsi prendere da psicosi collettive…

 

Però non si deve mai abbassare la guardia sul fronte alimentare: in negozio, a casa e al ristorante.

 

In questi giorni la Coldiretti, la principale associazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana, ha diffuso un bollettino di guerra: nel 2018 sono stati segnalati ben 398 allarmi alimentari, 70 dei quali riguardavano prodotti italiani, 194 prodotti europei e 134 prodotti extra europei. Insomma, 4 cibi potenzialmente pericolosi su 5 provenivano da fuori dei confini italiani.

 

Al primo posto nella black list c’è il pesce della Spagna per l’alto contenuto di mercurio e l’infestazione del verme Anisakis, al secondo le ostriche francesi per il Norovirus, al terzo il pollo proveniente dalla Polonia a causa della contaminazione da salmonella enterica, al quarto ancora il pesce, ma francese, sempre a causa dell’Anisakis.

 

A metà classifica troviamo le nocciole della Turchia caratterizzate dall’alta presenza di tossine, al sesto le cozze spagnole per l’infezione del batterio Escherichia Coli, al settimo le arachidi egiziane con aflatossine cancerogene, all’ottavo il manzo e il pollo del Brasile, ancora per l’Escherichia, mentre l’ultimo posto è occupato dalle nocciole dell’Azerbaijan per aflatossine.

 

Effetto della globalizzazione, si dirà. Però anche questi dati vanno presi con le pinze.

 

“Al di là dei dati, che non sta a me contestare, bisogna sempre essere scettici quando a pubblicare queste liste sono istituzioni o enti che hanno un interesse diretto a promuovere i propri prodotti, nazionali o di settore”, commenta Marco Jermini, direttore del Laboratorio cantonale. Che indica anche la fonte degli allarmi alimentari: un sito che ognuno può liberamente consultare, il RASFF Portal, raccoglie tutte le segnalazioni a livello europeo.

 

“Queste liste di alimenti a rischio – spiega – servono alle autorità di controllo, come anche noi siamo, a determinare le strategie di intervento. È chiaro che se vediamo che la frutta e la verdura provenienti dall’Estremo Oriente sono spesso bloccate alle frontiere per alto contenuto di pesticidi, intensificheremo i controlli su quel fronte. Le priorità sono basate sui rischi e queste tabelle sono appunto uno strumento per definire i rischi”.

 

Più in generale, prosegue Jermini, sappiamo che i pesci possono contenere l’Anisakis o metalli pesanti. In quest’ultimo caso, aggiunge, “il rischio è più elevato nei pesci di grande taglia, che vivono in mare molti anni arrivando ad assumere sostanze tossiche superiori ai valori di legge. Parlo di tonni o pesce spada giganti, che stanno al vertice della piramide alimentare e che per lungo tempo si sono nutriti di pesce contaminato. Per esempio, una forma di autocontrollo per chi lavora nel settore ittico è quello di evitare di importare in Svizzera tonni o spada di tre metri, optando per taglie di dimensioni inferiori”.

 

I temi sollevati dalla Coldiretti sono reali, dice il direttore del Laboratorio cantonale. Ma ci sono alcune semplici precauzioni che possono scongiurare o limitare i rischi. “Se il pesce è cotto, per esempio, gli eventuali parassiti muoiono. Se lo si mangia crudo bisogna invece assicurarsi che sia stato ‘abbattuto’, vale a dire che sia rimasto in congelatore a – 20 gradi per almeno 24 ore”.

 

Un altro alimento a rischio è il pollo: “Diciamo che quello proveniente dall’estero è una costante fonte di preoccupazione. L’anno scorso per esempio, e qui torno ad uno dei temi sollevati dalla Coldiretti, diversi polli provenienti dalla Polonia erano contaminati da salmonella enterica”.

 

Ma il pollo crudo è di per sé un rischio dal profilo batterico: va maneggiato con cura, lavandosi bene le mani dopo averlo toccato quando lo si prepara. E mai, ma proprio mai, usare come piatto di portata lo stesso in cui si è messa la carne cruda quando si preparano fondue chinoise o grigliate.

 

“La ‘strategia dei due piatti’ sembra banale e scontata, eppure c’è chi non la adotta: infatti i picchi di salmonellosi e di campylobacter, battere che è pure spesso presente nel pollo, vengono registrare sotto Natale e in estate. Quindi le regole d’oro sono: non mescolare carne cotte e crude e cuocere bene il pollo”.

 

In genere tutta la carne non presenta rischi a livello alimentare se è cotta bene. “Il che non significa – spiega Jermini – che si debbano bandire dalla tavola roast beef, carpacci o tartare… Bisogna solo assicurarsi che la carne provenga da macellerie professionali e che sia stata trattata a temperature corrette e lavorata in buone condizioni igieniche. Certo, bisogna fidarsi del proprio macellaio, ma quando al ristorante ordino una tartare mi faccio prima portare la parte di polpa che viene utilizzata”.

 

Attenzione invece alla carne cruda di maiale, che può contenere vermi, coma la tenia, altri parassiti oppure microbi che fanno star male, per esempio la Listeria, originata dalle condizioni di igiene in macellazione e sezionamento: prudenza (per non dire di più) quindi quando si mangia la luganighetta cruda, tipica usanza ticinese.

 

E chi sgarra, viene sanzionato con multe salate: tra l’anno scorso e i primi due mesi di quest’anno il Laboratorio cantonale ne ha intimate una novantina, per un ammontare complessivo di circa 90'000 franchi. Quasi il doppio dell’anno precedente, il che desta qualche preoccupazione. I soggetti sanzionati sono per lo più ristoranti, ma anche produttori artigianali (come macellerie e panetterie) e – in misura minore - aziende alimentari.

 

Ma, aggiunge Jermini, “anche persone o ditte che vendevano derrate alimentari senza averci notificato l’attività. E in questo novero ci sono anche persone che vendevano torte fatte in casa sui social. Nella ristorazione, invece, settore che comunque dimostra in generale un buon livello di professionalità, stiamo notando un peggioramento della situazione, che mettiamo strettamente in relazione alla crisi”.

 

Se il numero di elementi di non conformità alla legge che emergono in seguito a un controllo supera un certo livello, da amministrativa la sanzione può anche sfociare nel penale, e quindi in una denuncia al Ministero pubblico (in caso di messa in pericolo della salute) oppure in un decreto d’accusa (contravvenzione) emesso dal Chimico cantonale.

 

L’anno scorso, per esempio, il Laboratorio ha accertato quattro casi di istaminosi, con clienti di un ristorante finiti in ospedale per aver mangiato del tonno conservato in pessime condizioni: il tutto è sfociato in una denuncia al Ministero pubblico.

 

In generale, conclude Jermini, le multe riguardano la scarsa igiene o il mancato autocontrollo, come nel caso di produttori o ristoratori che non fanno sufficienti verifiche sugli allergeni o che non garantisco la tracciabilità delle derrate. In aumento anche i casi di contravvenzione per inganno: sono sempre di più coloro che cercano di vendere prodotti che non hanno le caratteristiche vantate. Per esempio, prosciutto crudo qualsiasi invece che “di Parma”, aroma di tartufo invece che vero tartufo, grattugiato qualsiasi invece che Parmigiano, Hamburger di fassona del contadino laddove invece si tratta di un burger industriale congelato, eccetera.

 

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