di Andrea Leoni
Franco Denti, come giudica la decisione del Governo italiano di isolare la Lombardia, e alcune province del nord, dal resto del Paese e del mondo?
“È una decisione saggia ed è stata la stessa Lombardia ad auspicarla. D’altra parte il settore sanitario lombardo è prossimo al collasso e i contagi continuano ad aumentare in modo spaventoso. Questa misura è stata presa anche per evitare che il focolaio si estenda nel sud Italia, dove la sanità non è la stessa, e anche verso nord. In questo senso, come svizzeri e ticinesi, dobbiamo essere grati al Governo italiano”.
La grande incertezza in questo momento è legata ai frontalieri. Secondo il Governatore della Lombardia Attilio Fontana, le nuove restrizioni non sarebbero applicate a questi lavoratori. Le istituzioni svizzere e ticinesi aspettano chiarimenti da Roma. Lei che ne pensa?
“Che la decisione, ora, spetta solo alla Svizzera. L’Italia ha fatto la sua scelta trasformando tutta la Lombardia in zona rossa, ora tocca a noi prenderne atto e decidere come comportarci. Aspettare indicazioni da Roma è fuorviante”
Lei cosa farebbe con i frontalieri?
“Partiamo da un dato di fatto: per un principio minimo di tutela della salute pubblica è impensabile che la Confederazione conceda il via libera a transitare sul proprio territorio a cittadini esteri residenti in una zona rossa. Così come spero che finalmente inviti i propri cittadini a non recarsi oltre frontiera, se non per motivi gravissimi. Quando due settimane fa proposi un giro di vite al confine, fui deriso e contestato. Mi si disse che era una misura inutile dal profilo sanitario e impraticabile da quello economico perché il nostro sistema non poteva fare a meno dei frontalieri. Allora risposi che era un problema mal posto, perché presto o tardi sarebbe potuto succedere che a chiudere la frontiera sarebbe stata la Lombardia, e che per questo bisognava cominciare a prepararsi. Purtroppo abbiamo sottovalutato questo pericolo e non ci siamo attrezzati per tempo. Ora tocca fare dei compromessi”.
Quali?
“Occorre una deroga emergenziale per il sistema sociosanitario. Libero accesso ai frontalieri di questo settore che non presentano sintomi, ma a patto che restino nel nostro Cantone, senza più fare rientro a domicilio fino a quando la Lombardia non sarà più zona rossa. Con la casa per anziani della quale mi occupo, questa mattina ci siamo già organizzati in tal senso. Per quanto, invece, riguarda l’edilizia, anticiperei le ferie per questi lavoratori. Mentre tutti gli altri frontalieri non devono poter entrare in Svizzera. Altrimenti il sacrificio che sta facendo oggi la Lombardia, rischia di essere completamente vano”.
Ma il nostro Cantone rischia la paralisi, conseguenze economiche devastanti?
“Purtroppo questo virus ci sta mostrando i limiti della nostra economia, costruita su un modello dipendente da uno Stato estero. Tuttavia, mi preme ricordare che negli anni passati abbiamo affrontato altre crisi economiche di portata internazionale e, seppure con dei danni, ci siamo sempre rialzati. Come accaduto in precedenza, anche questa volta, interverranno le istituzioni nazionali e internazionali a sostegno delle imprese. All’economia, quindi, penseremo in un secondo momento, ora la priorità è la salute pubblica”
Dall’ultima intervista che abbiamo fatto, una settimana fa, siamo passati da 2 a 45 contagi. Il Consiglio di Stato, venerdì scorso, ha preso delle nuove misure restrittive. Sono sufficienti?
“Purtroppo no. Spero che la decisione della Lombardia porti finalmente le istituzioni di questo Cantone a fare un esame di realtà sulla gravità della situazione che stiamo affrontando e sulle pesantissime conseguenze a cui andiamo incontro se non reagiamo adeguatamente. Mi permetta di fare un appello accorato: scongiuro il nostro Consiglio di Stato di chiudere immediatamente tutte le scuole in Ticino. Dobbiamo, subito, mettere in campo ogni sforzo per evitare che il Ticino diventi la Lombardia della Svizzera”.
La misura della chiusura delle scuole è controversa e dibattuta. Ci spiega perché dal suo punto di vista è utile?
“È molto semplice, in questo momento dobbiamo fare in modo che circoli in giro meno gente possibile e che si eviti in ogni modo di chiudere in strutture chiuse centinaia di persone. I bambini e i ragazzi, fortunatamente, non sono i soggetti più a rischio, ma proprio per questo diventano dei veicoli privilegiati del virus, portandolo a casa e spargendolo nei luoghi che frequentano”.
Ma l’obiezione è: tanto i ragazzi si ritroverebbero lo stesso in altri luoghi e se i genitori lavorano chi se ne occupa?
“Prima di tutto mi lasci dire che questa misura non deve riguardare solo i bambini e i giovanissimi, ma anche i ragazzi del post obbligatorio e delle scuole universitarie. Questi ultimi, in particolare, vanno sensibilizzati e responsabilizzati sui comportamenti da tenere. Quanto al fatto che i ragazzi si ritroverebbero in altri luoghi, è molto semplice la risposta: sarebbero comunque molti meno rispetto ad una scuola. Qui si tratta di abbassare la percentuale di rischio. E quanto ai genitori che lavorano mi rendo contro dei problemi. È una situazione emergenziale per tutti. E tutti devono fare uno sforzo: Stato, datori di lavoro e cittadini”.
E a chi dice che chiudere le scuole sarebbe un pericolo perché gli allievi verrebbero affidati ai nonni?
“Affidare un giovane ad un anziano è sconsigliato. Come ha ben detto il medico cantonale, in questo momento è meglio scrivere una lettera ai nonni”
Quale altre misure sono a suo avviso indispensabili in Ticino?
“La chiusura immediata di tutti i cinema, i teatri, le palestre, le piscine, le spa, le discoteche. E anche il divieto di visita nelle case per anziani. Va inoltre portato a 50 il limite di persone per riunirsi negli spazi chiusi e aperti, in modo privato o pubblico, ovviamente fatto salvo che negli spazi interni si possa mantenere la distanza di sicurezza. Altrimenti vanno chiusi”.
Quindi stop anche al Gran Consiglio?
“Assolutamente sì”
Perché la soglia di 150 decisa dal Governo non va bene?
“Non serve a nulla e non ha alcuna base matematica in ambito di salute pubblica. È fondamentale che il Consiglio di Stato prenda finalmente delle decisioni forti e chiare, anche per aumentare la consapevolezza del pericolo nella popolazione. Il messaggio importante è uno soltanto in questo momento: per almeno 15 giorni non uscite di casa, salvo che per lavoro e per i bisogni necessari. Lo ripeto per la millesima volta: l'unica arma che abbiamo per fronteggiare l'emergenza Coronavirus, è spezzare la catena del contagio per diluire l'epidemia e poter curare le persone, salvaguardaando il sistema sanitario”
Insomma, dottor Denti, lei propone sacrifici enormi alla popolazione?
“Non sono d’accordo. Cerchiamo di essere realisti e consapevoli. Se per un paio di settimane applicassimo finalmente queste misure, non sarebbe affatto un dramma. Il vero dramma sarebbe se il Ticino si ritrovasse nella stessa situazione della Lombardia, con gli ospedali ormai quasi costretti a dover scegliere quali pazienti curare in base all’aspettativa di vita, e con il rischio di essere isolati dal resto della Svizzera”.