CRONACA
Delitto di Aurigeno: “Non voleva uccidere”. Chiuse le arringhe, attesa la sentenza
Per l’imputato principale la difesa chiede la derubricazione a omicidio con dolo eventuale. Pena a vita domandata dalla procura. La decisione della Corte attesa venerdì
Archivio TiPress / Maria Linda Clericetti
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LUGANO - Si è chiusa con le arringhe difensive la fase pubblica del processo per il delitto di Aurigeno, dove nel maggio 2023 un 44enne locarnese ha ucciso a colpi di pistola il nuovo compagno della moglie. Secondo l’avvocato Fabio Bacchetta-Cattori, difensore dell’imputato principale, si è trattato di omicidio con dolo eventuale e non di un assassinio: “Voleva ferire, non uccidere”, ha sostenuto, sottolineando che il colpo sarebbe partito mentre l’uomo correva e senza che mirasse con precisione. Nessuna richiesta di pena precisa: “Ci rimettiamo al giudizio della Corte”, ha dichiarato il legale, “per rispetto dei familiari della vittima”.

L’imputato principale ha preso la parola per l’ultima volta prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio per dichiararsi “pentito con il cuore” e ha chiesto scusa ai familiari della vittima, ai figli e “a chi mi ha conosciuto com’ero prima”.

Secondo la difesa, il delitto è maturato in un contesto di crollo psichico già riconosciuto da medici e specialisti. “Non ha ideato né pianificato l’assassinio. È stato sopraffatto dalla disperazione”, ha affermato il legale, ricordando che quella mattina l’imputato aveva contattato il proprio psichiatra per un incontro urgente. “Se avesse voluto uccidere, non avrebbe fatto quella telefonata”. Il legale ha anche citato un diario personale, sequestrato dopo i fatti, in cui l’uomo scriveva del suo pentimento e del desiderio di rimediare. Secondo l’accusa, però, la perizia psichiatrica indica un alto rischio di recidiva e nessun reale segno di pentimento. Per questo, martedì scorso, il procuratore pubblico Roberto Ruggeri ha chiesto il carcere a vita.

Durante la giornata, hanno preso la parola anche i difensori degli altri due imputati. Per il 33enne accusato di aver venduto la pistola al killer, l’avvocato Gianluigi Della Santa ha parlato di “forzatura dell’accusa” e ha chiesto una pena non superiore ai 4 anni, contro i 10 domandati dalla procura. Il legale ha respinto anche numerosi altri capi d’imputazione legati al presunto traffico di permessi falsi.

Per la terza imputata, una 34enne accusata di aver fatto da tramite nella vendita dell’arma, l’avvocato Matteo Poretti ha chiesto il proscioglimento: “Non sapeva nulla delle intenzioni dell’imputato. È stata superficiale, non complice”, ha sostenuto. Per lei la procura ha chiesto una condanna a 7 anni di carcere.

Il verdetto è atteso venerdì pomeriggio alle 16.30, al termine della camera di consiglio presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.

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