IL FEDERALISTA
Il capitalismo della solitudine
Degrada la salute, accentua le disuguaglianze e alimenta un’economia digitale che prospera sull’isolamento trasferendone al contempo i costi indotti alla collettività

A cura della redazione de ilfederalista.ch

Il male del secolo XXI? Già un paio di anni fa, l'Organizzazione Mondiale della Sanità annunciava di aver individuato “la questione della solitudine come minaccia urgente per la salute”. L’OMS riecheggiava numerosi studi, tra i quali una ricerca Gallup condotta tra 2022 e 2023 in 142 paesi, che aveva portato alla luce come un quarto della popolazione mondiale (concentrata nel Nord del pianeta) si sentisse sola. Vi sono Governi che hanno varato iniziative per combattere l’ "epidemia della solitudine”. Tra gli altri, il Regno Unito ha istituito nel 2018 un “Ministero della solitudine"(sic), seguito dal Giappone nel 2021.

Due precisazioni. Qui non si sta parlando di quella provvidenziale risorsa di cui può disporre chi abbia una qualche vita interiore e che consiste nel ricercare il silenzio e il rapporto con il Mistero che è all’origine dell’essere.

Neppure ci riferiamo a forme di isolamento oggettivo quale può essere, ad esempio, la condizione di solitudine sperimentata dai grandi anziani (ne patisce in Svizzera circa il 37% degli over 85, come documentato da uno studio di Pro Senectute).

Parliamo qui di un sentimento di solitudine che più spesso è di natura soggettiva e che gli studiosi descrivono come una percezione “di disconnessione, di non appartenenza a un gruppo sociale, che ha implicazioni emotive e comportamentali, ed è collegata a una serie di risultati negativi dal punto di vista della salute mentale e fisica”.
 
Quel che c'è prima del digitale
Prima di affrontare quello che Paul Klotz in uno studio recente addita come fattore di avvitamento nei meandri della solitudine, ovvero lo sviluppo del “capitalismo digitale”, mettiamo in chiaro che l’epidemia di solitudine cui stiamo assistendo, in particolare nel nostro mondo occidentale, ha come causa determinante il crollo delle cosiddette “grandi strutture tradizionali”, a cominciare dalla famiglia, passando da chiese e ambiti di appartenenza religiosa, fino all’associazionismo dalle più svariate matrici e alle occasioni rituali di feste popolari e di convivialità spicciola (il citato ricercatore francese –Paul Klotz, della Fondazione Jean Jaurès- notava come il suo Paese contasse 200mila bistrot nel 1960 e oggi non più di 40mila).

Altri studi sulla solitudine come “male del secolo” mettono sotto accusa “l’individualismo come ‘glorificazione dell’io”, con riferimento al self-made man americano (le cui radici, a ben guardare, sono già nel Rinascimento italiano e nelle sue fonti greco-romane). Più convincente la lettura di Klotz, grande accusatore dei “fabbricanti di algoritmi”, in quanto mossi da “un interesse reale nello sviluppo della solitudine”.
 
Il business della solitudine
Scrive il ricercatore: “Il digitale ha rappresentato una grande rivoluzione che ha influenzato le nostre interazioni sociali. Poiché viviamo nell'era del capitalismo digitale, gran parte dei settori economici, tra i più redditizi, prospera (…) sul tempo che gli individui dedicano agli schermi, permettendo di estrarre dati e proporre servizi ultra-personalizzati. Questo tempo trascorso davanti allo schermo è un tempo socialmente povero, che rafforza l'isolamento sociale”.

Ecco dunque come funziona il “business della solitudine”. Le grandi piattaforme digitali hanno come leva fondamentale dei loro affari l’attenzione. Si tratta per loro di mantenere l’attenzione il più a lungo possibile. Come? “Organizzando la solitudine”, prolungando cioè l'isolamento dell’individuo per renderlo disponibile ai loro servizi. . Ecco allora le app di consegna, Uber Eats, Deliveroo, Divoora (per restare nel locale) martellare l’utente con notifiche che cercano di convincerlo a ordinare i pasti in casa piuttosto che condividerli. Saranno poi le piattaforme come Instagram o Tik Tok a offrirgli non solo svago ma anche una socializzazione fasulla tramite profili di altri utenti che sostituiscono incontri reali con persone reali. Per finire con Tinder che organizza relazioni più “serie” e esperienze più “profonde”.
 
Le conseguenze per la salute
Il tempo di questa solitudine organizzata è denaro per le piattaforme ma per gli utenti –assicura Klotz- sorgente, a lungo andare, di problemi di salute, mentale e fisica. E cita uno studio condotto in Olanda che documenta un aumento del 10% della spesa pubblica legata a problemi di salute mentale. La perdita del sonno, come qualità e lunghezza, è uno dei cavalli di battaglia dello studioso francese: rimanere per ore e ore murati in casa attaccati agli schermi dei dispositivi digitali è una delle cause che nelle ultime decadi hanno fatto perdere ai francesi un’ora e mezza di sonno.

La solitudine, insomma, costituisce un fatto sociale eminentemente contemporaneo e contribuisce a generare una “nuova condizione sociale”, poiché degrada la salute, accentua le disuguaglianze e alimenta un’economia digitale che prospera sull’isolamento trasferendone al contempo i costi indotti alla collettività (i famigerati costi della salute).

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