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04.10.2017 - 15:470
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Argo 1, dal Governo un passo e mezzo nella giusta direzione. Ma si può chiedere di osare di più per tagliare la testa al toro. Come si fece con l'inchiesta sul Fiscogate

Il passo pieno è quello di costituirsi come accusatore privato. Il mezzo passo invece è quello di nominare solo l’ex procuratore pubblico Marco Bertoli come perito esterno. Meglio sarebbe stata un'inchiesta amministrativa a tutto tondo

di Andrea Leoni


Sullo scandalo Argo 1 il Consiglio di Stato ha fatto un passo e mezzo nella giusta direzione. Costituirsi come accusatore privato, avendo in questo modo finalmente accesso agli atti dell’inchiesta penale, è la mossa più logica, corretta, concreta: il passo pieno punta alla chiarezza.

 

Il mezzo passo invece è quello di nominare solo l’ex procuratore pubblico Marco Bertoli come perito esterno per allargare, se ben abbiamo compreso, l’indagine sull’amministrazione in relazione allo scandalo.

 

Lo definiamo un passo a metà perché forse poteva essere più deciso. Il Governo, in effetti, avrebbe potuto scegliere la via di un’inchiesta amministrativa fatta e finita, nominando un altro paio di esperti esterni, per andare una volta e per tutte fino in fondo. Può darsi infatti che il lavoro dell’ex magistrato sarà sufficiente per diradare le nebbie e rispondere alle domande irrisolte. Ma il dubbio che una sola persona, seppur affiancata dal giurista del Consiglio di Stato Francesco Catenazzi, non basti a sbrogliare alla svelta la matassa - non è chiaro con quali poteri e con quali margini di manovra - resta.

 

A nostro avviso il metodo che nel 2006 l’allora Consiglio di Stato utilizzò per affrontare il Fiscogate, è quello che fornisce maggiori garanzie. Andiamo sull’onda della memoria, qualche imprecisione potrebbe dunque sfuggire, ma la sostanza fu questa.


Il Governo nominò con un mandato esterno gli ex giudici Sergio Bianchi, Emilio Catenazzi e Alessandro Soldini, affidandogli un’inchiesta amministrativa sulla vicenda (infinitamente più grande e scottante rispetto allo scandalo Argo 1). Il lavoro si concentrò su tre punti: la tassazione Monn, la fondazione Villalta e l’operatività della Divisione delle Contribuzioni. I tre ex magistrati poterono indagare senza nessun tipo di paletto o quasi (compreso il segreto d’ufficio e il segreto fiscale). Radiografarono documenti, analizzarono le procedure, interrogarono funzionari e politici. In pochissimo tempo, un paio di mesi neanche, presentarono un rapporto con conclusioni precise. Un lavoro con i fiocchi. Se non andiamo errati l’intera operazione costò circa 150’000 franchi (l’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta, quella sulla Logistica, 400’000 circa).

 

Quell’indagine venne definita dall’ex ministro PLR Gabriele Gendotti come “cristallina, lapidaria e premessa necessaria e sufficiente per prendere delle decisioni”. I dati raccolti furono talmente sensibili, e raffinati, e diversi, che si discusse a lungo su come anonimizzare i passaggi che se resi pubblici avrebbero violato le leggi a tutela della sfera privata e di quella d’ufficio. Fu trovato un compromesso ragionevole. I ministri, ovviamente, ne ebbero piena visione così come una delegazione della Gestione.

 


A seguito di quel rapporto si dimisero su due piedi il direttore e il vicedirettore del Fisco, dopo che il Governo gli prospettò il licenziamento. A Marina Masoni venne tolta la responsabilità della Divisione delle Contribuzioni, che nei mesi successivi fu ristrutturata. L’anno seguente perse il posto anche la ministra: gli elettori le preferirono Laura Sadis.

 

Tutto questo per dire che non è vero che la Commissione parlamentare d’inchiesta, sia l’unico organismo con gli strumenti adeguati per poter indagare con successo. Al contrario rischia di essere una macchina pachidermica, lenta, costosa e inadeguata per arrivare all’unico obbiettivo: la ricerca della verità.

 

Detto questo la Gestione ieri ha fatto un pasticcio: decidere di non decidere, prendere ancora tempo, era la peggiore delle opzioni possibili. Dopo troppi mesi di tentennamenti era necessario un sì o un no. E un perché. L’impressione è che alcuni partiti, che ritengono che la Commissione parlamentare d’inchiesta non sia la soluzione, non abbiano avuto la forza di spiegarlo all’opinione pubblica.

 

La decisione odierna del Governo toglie un po’ le castagne dal fuoco al Parlamento. Sarebbe infatti schizofrenico se si varasse un’altra inchiesta, prima che quella esterna avviata oggi dal'Esecutivo fornisca le sue conclusioni.


Per questo la nomina odierna di Marco Bertoli va nella giusta direzione. L’uomo ha esperienza di indagini, ha una solida esperienza sia in campo legale che economico, è esterno all’amministrazione, anche se qualcuno potrebbe eccepire sul suo ruolo attivo in politica, seppure a livello comunale. Ma il profilo ci sta tutto. Quello che la Gestione potrebbe invece chiedere al Governo, nel prossimo incontro in agenda, è che a questo punto si allarghi il campo e si strutturi una commissione d’inchiesta amministrativa come si deve. Senza mezze misure e con tutti gli strumenti necessari.

 

Solo al termine di questo lavoro si potranno trarre le conseguenze politiche e amministrative del caso. Ed assumersi le relative responsabilità.

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