POLITICA E POTERE
"Bisogna difendere il DNA della Svizzera", il giorno dopo di Sergio Morisoli
Qualcuno gli chiede cosa succederà adesso, lui: "È il core business il nostro vantaggio e il valore aggiunto nei confronti dell’UE, ma ce lo vogliono togliere dall’esterno e lo stiamo rinnegando dall’interno"

BELLINZONA - E ora? Se lo chiedono in tanti, dopo il voto di ieri riguardante in particolare l'iniziativa UDC. Come sarà il rapporto tra Svizzera e UE? Gobbi ha parlato di "una decisione di farci stritolare dall'UE, il risultato è questo. Dovremo abbassare le barriere, con un impoverimento del nostro Paese".

Sergio Morisoli non ha dubbi: "Bisogna difendere il DNA della Svizzera".

"Il piano non può che essere solo uno: mettere in salvo, cioè difendere ciò che rende la Svizzera diversa dall’UE e insegnare perché. Il primo muro di cinta oggi è caduto. Non c’è tempo per erigerne un altro. Occorre difendere il nucleo del villaggio, il DNA della Svizzera", è la sua idea.

"Ma per farlo occorre intraprendere da una parte lo sbarramento di difesa totale su democrazia diretta, sussidiarietà e federalismo con tutto ciò che ne fa parte; e dall’altra riprendere l’educazione di giovani e di adulti. Su cosa? Identità, cultura, democrazia, antistatalismo e libertà di mercato svizzeri".

Ecco la sua ricetta: "Difendere il core business elvetico, resistere fino a che la generazione millenial sia educata e preparata a continuare la difesa del core business. È il core business il nostro vantaggio e il valore aggiunto nei confronti dell’UE, ma ce lo vogliono togliere dall’esterno e lo stiamo rinnegando dall’interno. Ciò che non è core business, è negoziabile perché il mondo va avanti con o senza noi. Il problema è solo uno, enorme: gli adulti sono ormai cinici e rassegnati e i giovani smarriti e sfiduciati".

Ma è pessimista. "Non dico che ci vorrebbe una dose di cavallo di fede, speranza e carità, ma quasi. Dobbiamo essere lucidissimi nel distinguere ciò che può cambiare da ciò che non deve cambiare. Sia in politica interna che in politica estera. Si chiama “real liberalconservatorism”.

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