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Politica e Potere
21.10.2021 - 17:260

Se il Gran Consiglio è come una bacheca di Facebook

Tutti parlano, nessuno ascolta, in pochi coltivano dubbi sulle proprie ricette e su quelle altrui

di Andrea Leoni

Non amiamo la politica fatta con la sfera di cristallo, quella che fissa scadenze perentorie a capocchia e propone ricette tanto dogmatiche quanto aleatorie per lanciare segnali (a sé stessa, bah…). Non amiamo neppure la politica delle road map che conducono chi le imbocca sempre e soltanto nello stesso luogo: quello dove non si conclude nulla.  A noi piace il pragmatismo: se c’è un problema lo si analizza e lo si affronta concretamente, in tempi ragionevoli e senza preconcetti. E si fa tutto quello che è necessario per trovare, con fatica e pazienza, delle soluzioni.

Per questo motivo, se fossimo stati in Gran Consiglio, non avremmo votato l’iniziativa UDC, degli abilissimi Morisoli e Pamini, e neppure l’emendamento del PLR, che mette un po’ di zucchero sulla pillola ma non ne cambia il gusto. Parliamo di risanamento finanziario: la proposta avallata dal Parlamento prevede il pareggio di bilancio entro la fine del 2025, agendo sulla spesa ma senza toccare le imposte (neanche al ribasso come chiedono i liberali radicali con la proposta di sgravare i ricchi?).

Piccola parentesi sul PLR. In molti si sono sorpresi per il riposizionamento del partito nell’area di centrodestra. Ma il presidente Speziali lo aveva annunciato candidandosi al timone della nave: non saremo un ponte tra destra e sinistra ma guarderemo all’area borghese. I delegati lo hanno eletto e ora non si può certo rimproverargli di fare ciò che aveva detto. Chiusa parentesi.

Tornaniamo al punto. Va specificato al lettore che il Cantone dispone già di un meccanismo costituzionale che impone determinate regole di bilancio, il così detto freno al disavanzo: più di tanto negli anni non si può sbracare. Non vi era dunque ragione per aggiungere un altro vincolo d’indirizzo a livello legislativo, se non per rilanciare la palla in tribuna, al Consiglio di Stato, che a sua volta l’aveva lanciata sul campo del Parlamento.

In fondo l’inghippo nasce qui. Dopo l’acceso dibattito sul Consuntivo, dove è nata l’iniziativa Morisoli, il Governo ha presentato un preventivo con 135 milioni di disavanzo senza alcuna misura ma con un forte monito, condito da accenti emergenziali, che è stata la scintilla di tutta la bagarre degli ultimi giorni: “Per poter ritrovare una solidità delle finanze pubbliche cantonali, occorrerà un intervento attivo della politica per riportare le finanze su un binario di equilibrio”. Detto che anche il Consiglio di Stato fa parte della politica, e quindi avrebbe potuto attivarsi rivolgendo a sé stesso il proprio monito, va sottolineato come un mancato intervento nel penultimo anno di legislatura significa che il quadriennio andrà a spegnersi con le mani conserte. Se ne riparlerà dopo le elezioni.

Va detto, a parziale giustificazione, che l’Esecutivo ha fatto i suoi calcoli, piuttosto ragionevoli. Era difficile pensare di portare a casa un preventivo incisivo, mentre ancora ci troviamo in pandemia e in Gran Consiglio si stanno affilando le armi in vista delle Cantonali. D’altro canto anche il Parlamento ha scelto la via del proclama, l’iniziativa Morisoli, quando avrebbe potuto agire concretamente sul prossimo preventivo. Le maggiorante non ci sono e nessuno vuol fare regali a buon mercato agli avversari.

Per questo tutto quanto sta avvenendo in questi giorni è sostanzialmente un esercizio alibi, una polemica da portineria, che produrrà soltanto una radicalizzazione delle posizioni, veti incrociati sempre più solidi e un blocco dell’azione politica in ambito finanziario. Il debito continuerà ad aumentare fintanto che non arriveremo sull’orlo del burrone, suonerà il campanello di fine ricreazione e sarà il momento delle scelte obbligate. E allora non è difficile prevedere che, salvo sorprese economiche o “tersoretti” di varia natura, la ricetta per uscirne sarà quella di sempre: simmetria dei sacrifici, meno uscite e qualche entrata in più.

Quel che spiace annotare è l’assoluta incomunicabilità che, come una coltre di neve, ammanta il Gran Consiglio. Tutti parlano, nessuno ascolta, in pochi coltivano dubbi sulle proprie ricette e su quelle altrui. Si procede a botte di slogan, caricature, accuse di statalismo e di ultra liberismo, quando non di essere a libro paga di quello o di essere mantenuto grazie a mamma Stato. Talvolta sembra di leggere una bacheca di Facebook anziché di ascoltare un dibattito parlamentare. Eppure entrambe le parti hanno ragioni solide che andrebbero approfondite e sulle quali bisognerebbe essere capaci di mettersi in discussione, verificando le proprie convinzioni di partenza.

Due esempi su tutti. Non possono esserci dubbi sul fatto che il tema dell’ampliamento delle disuguaglianze economiche e sociali, è il tema che deve interrogare noi ticinesi, come sta avvenendo in tutto il Mondo, e che impone allo Stato di essere sempre più forte e presente. D’altro canto non si può neppure negare che le spese dello Stato aumentano e basta, inesorabilmente, anno dopo anno, anche laddove questo incremento non è motivato, necessario o prioritario. E questo non è né giusto né sostenibile nel breve periodo, e rappresenta una profonda ingiustizia a danno delle future generazioni.

Ecco, basterebbe partire da qui, guardandosi negli occhi senza pregiudizi e con onestà intellettuale, ragionando con un po’ di buon senso. Ma forse, di questi tempi, è chiedere troppo

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