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28.03.2022 - 16:530
Aggiornamento: 17:28

Sanzioni a mezza bocca

Diciamo la verità: le ritorsioni occidentali non vogliono colpire solo il Cremlino e gli oligarchi, ma anche la popolazione russa

di Andrea Leoni

C’è un non detto sulle sanzioni economiche emanate dall’Occidente nei confronti della Russia. Sanzioni sacrosante, val la pena ripeterlo, di fronte all’abominevole guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Ebbene, in Occidente si motiva ad alta voce solo una parte degli effetti che si intendono perseguire con i provvedimenti contro il Cremlino: colpire banche e aziende in modo che la guerra diventi sempre più costosa per la Russia. 

Poi si colpiscono gli oligarchi, che stanno sulle balle a molti, per la loro amicizia con il presidente e per i generosi finanziamenti con cui sostengono la sua politica. In questo caso, oltre all’obiettivo citato poc’anzi, vi è la speranza, forse illusoria, di creare una crepa nell’establishment russo. 

Ma la vera ritorsione che potrebbe incidere nell’immediato sulle saccocce della macchina bellica di Putin, ovvero la rinuncia al gas russo, l’Europa non se la può permettere: parliamo di un miliardo di Euro al giorno che dall’UE transita verso Mosca. Se si chiudessero i rubinetti troppi Paesi importanti salterebbero per aria, economicamente parlando. In primis la Germania che di fatti si è arroccata su un “nein” di roccia teutonica: inscalfibile. Kiev non vale questa messa. 

Fin qui quel che si dice, più o meno apertamente, nel nostro emisfero. Poi c’è l’altra parte della verità, che si sussurra appena per pudore, in quanto il discorso non è popolare come il sequestro di uno yacht ad un oligarca. È abbastanza evidente che con le nostre sanzioni desideriamo colpire anche l’economia russa, nel senso della popolazione. E nel modo più duro possibile. Questo per un motivo molto semplice: creare un malcontento, se non una disperazione, che possa spingere una parte consistente dei russi a schierarsi contro il loro governo o a impietosirlo. Ciò, nella migliore delle ipotesi - ma siamo quasi in una dimensione onirica - affinichè si realizzi un cambio di regime, via Putin e dentro un altro (nella speranza che “l’altro” sia meglio del defenestrato: mica detto, tra l’altro…). Più realisticamente si spera che il presidente russo scenda a più miti consigli, di fronte agli effetti negativi delle sanzioni sulla sua gente o davanti a un dissenso crescente dell’opinione pubblica (sì, anche i regimi devono fare i conti con un’opinione pubblica, benché silenziata). 

Non neghiamolo. In Occidente sarebbero in molti ad esultare se dalla Russia arrivassero delle immagini di corse agli sportelli dei bancomat o assalti ai supermercati. Non parliamo poi di una manifestazione di piazza. Perciò diciamolo ad alta voce e senza ipocrisia: impoverire la popolazione russa e aizzarla contro il Governo è uno degli strumenti che stiamo utilizzando per fermare il tiranno. 

Lo stiamo facendo non solo attraverso le sanzioni degli Stati, ma anche colpendo le abitudini occidentali dei russi, almeno quelli delle grandi città (chiusura di Netflix, Spotify e altri servizi e prodotti di largo consumo), ma soprattutto provando a creare disoccupazione con la serrata di negozi e stabilimenti di grandi  marchi e multinazionali.  

Nessuno è in grado di dire oggi se questo tentativo di strangolamento economico, stia funzionando o meno. Se occorra più tempo per vedere i risultati oppure se in ogni caso le sanzioni si riveleranno petardi bagnati. I pareri degli esperti si sprecano e quasi sempre divergono. Limitiamoci ai fatti acclarati: per ora nulla di concreto da segnalare, né in un senso né nell’altro. Al netto del fatto che la Russia, e ancora più il Cremlino, si confermano impenetrabili agli occhi dell’Occidente, anche a causa della pesante censura adottata da Mosca nei confronti dei media locali e dalla smobilitazione (ora parzialmente rientrata) dei network occidentali dalla Russia.   

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