POLITICA E POTERE
La Svizzera, Trump e l'UE. Tre domande a Paolo Pamini
Il Consigliere Nazionale UDC: "Non sono mai stato un “trumpista di ferro”. Trump non è un liberale e non l’ho mai sostenuto incondizionatamente"
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 Un sondaggio pubblicato dal Blick indica che Trump, con le sue politiche commerciali contro la Svizzera, sta spingendo l'opinione pubblica del nostro Paese tra le braccia dell'Unione Europea. Ci sarebbe infatti una larga fetta di elettori favorevole ai così detti Bilaterali III. Voi UDC siete in prima linea nella battaglia contro questo nuovo accordo istituzionale con l'UE: temete anche voi un effetto Trump?
"No. Non c’è alcun “effetto Trump” che possa giustificare un Accordo di sottomissione all’UE. Non sono veri accordi bilaterali: significherebbero riprendere in modo dinamico diritto e regolamentazione europea, con nuove ordinanze in Svizzera che non passerebbero né dal Parlamento né dal popolo. Si chiede da anni di ridurre la burocrazia e con l’Accordo di sottomissione ci buttiamo nelle braccia del maggior produttore di norme assurde, l’Unione europea. Il Consiglio federale non ha nemmeno stimato i costi diretti e indiretti di questa sottomissione.
L’UE va presa con le pinze e non è nuova a sanzioni unilaterali nei nostri confronti. Si pensi solo all’espulsione della Svizzera dai programmi di scambio accademico Erasmus e al non riconoscimento dell’equivalenza borsistica, avvenuti pochi anni fa. L’UE in questo momento è calma verso la Svizzera perché sa che qualsiasi cosa dica potrebbe giocare a sfavore dell’Accordo di sottomissione, attualmente in consultazione.
Per noi dell’UDC è chiaro: non si baratta la sovranità democratica svizzera con la paura di un dazio temporaneo".

 
Lei è un trumpista di ferro e della prima ora. Dopo che The Donald ha applicato un dazio del 39% alla Svizzera, si è ricreduto, come i suoi colleghi Marchesi e Chiesa, sulla bontà del ritorno alla Casa Bianca del tycoon?
"Non sono mai stato un “trumpista di ferro”. Trump non è un liberale e non l’ho mai sostenuto incondizionatamente. Ho sempre semplicemente detto che sarebbe stato meno peggio di Kamala Harris, e lo penso ancora oggi. Si pensi alle mosse della sua amministrazione in materia di politica energetica, o alla presa di distanza dall’Organizzazione mondiale della sanità perché ormai troppo politicizzata.
Non si dimentichi che Trump deve fare i conti con finanze pubbliche americane prossime al collasso, e questo lo porta a usare anche lo strumento dei dazi. È una misura di aumento del prelievo fiscale sulla popolazione senza palesemente aumentare le imposte interne.
Ad ogni modo e che ci piaccia o no, per ulteriori tre anni è lui il presidente democraticamente eletto ed è con lui che si gioca la partita. Non dimentichiamo che gli USA hanno un governo di gabinetto, dove decide il Presidente una volta sentiti i ministri. È una cultura totalmente diversa dagli esecutivi collegiali che abbiamo in Svizzera nei 26 Consigli di Stato e nel Consiglio federale. Al più tardi dopo queste vicende ne abbiamo preso tutti chiaramente coscienza. Ma ribadisco: il nostro giudizio sull’Accordo di sottomissione all’UE non cambia per effetto di ciò che decide un presidente americano".

A suo avviso come può fare la Svizzera a convincere Trump a ridurre i dazi contro il nostro Paese? E o, ponendosi dall'altra parte della barricata, le politiche economiche di Trump stanno portando benefici all'economia USA?
"La Svizzera deve difendere i propri interessi con fermezza, costruire alternative attraverso accordi di libero scambio e puntare su relazioni economiche bilaterali pragmatiche. La Svizzera lo sta facendo molto bene e in modo coerente da anni, pensiamo solo a quanti accordi di libero scambio il Consigliere federale Guy Parmelin sta firmando. Significano portare i dazi a zero con il paese controparte: Mercosur, India, Thailandia, Vietnam, Indonesia, ecc. Siamo stati il primo paese europeo a concluderne uno con la Cina, in vigore dal 2014.
Con gli Stati Uniti i legami sono profondi, e non solo commerciali. Siamo una delle giurisdizioni europee principali per le sedi europee di multinazionali americane, anche in Ticino. Questo riguarda imprese dei servizi (Big Tech a Zurigo), dei beni di consumo (polo della moda in Ticino), industriali e finanziarie.
Quanto all’economia USA, le politiche di Trump hanno rafforzato un clima interno di crescita e occupazione, ma non possiamo accettare che questi benefici vengano finanziati penalizzando partner corretti come la Svizzera. Per l’UDC la linea è chiara: sì al libero scambio, no alla sottomissione a Bruxelles".

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