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Analisi
20.10.2017 - 13:110

Argo 1: a che punto è la partita sullo scacchiere della politica? Il PS incassa, la Lega sorniona, il PLR ancora in cerca di una posizione. E il PPD con le mani legate

L'ANALISI - Sul fronte mediatico, infine, prevale la linea fin qui portata avanti, seppur con accenti e modalità diverse, dalla Regione e dalla RSI. Con fiuto e bravura sono riusciti a dettare l’agenda alla politica. E se questo, per la politica, non è un complimento, lo è senza dubbio per quei giornalisti che attraverso il loro lavoro hanno saputo incidere sulle decisioni di Governo e Parlamento.

di Andrea Leoni


La partita che si gioca sulla scacchiera politica dello scandalo Argo 1 sarà ancora lunga e complessa. È più che verosimile che durerà fino alle elezioni cantonali del 2019. Ma la scadenza che si annuncia sin d’ora come la prossima tappa decisiva, cadrà sull’uscio dell’estate del prossimo anno, quando la Commissione d’inchiesta parlamentare, che con ogni probabilità il Gran Consiglio varerà in novembre, dovrebbe secondo i migliori auspici terminare i suoi lavori. Questo calendario, ovviamente, non tiene conto né dell’inchiesta penale (che non è possibile stimare quando giungerà a conclusione), né dell’inchiesta amministrativa affidata dal Consiglio di Stato al perito esterno Marco Bertoli. E il tutto salvo nuove sorprese.

 

Ma intanto si può già tirare una riga e fare un primo bilancio su come i partiti di governo stanno interpretando la partita. Escludiamo dall’analisi il PPD che, in questa storia, comunque si muova, sbaglia. Agli azzurri, in effetti, l’unica cosa che conviene è cercare il più possibile di stare fermi, senza subire troppo. Il loro unico obbiettivo possibile, infatti, non può che essere quello di limitare i danni. Comunque vada a finire è sicuro che dovranno pagare un prezzo alle prossime elezioni. Il punto non è se saranno chiamati alla cassa ma quanto sarà salata la fattura.

 

Chi fin qui si è mosso meglio, rispetto ai risultati ottenuti e alla sintonia con gli umori maggioritari del Paese, è il partito socialista. L’unica mezza cantonata presa dal PS è stata sulla richiesta di dimezzare Paolo Beltraminelli dalla guida del DSS. Una mossa troppo prematura: il classico passo più lungo della gamba. Se tuttavia dovessero emergere fatti nuovi ne avrebbero la primogenitura, e allora sarebbe un bell’incasso. I socialisti però - dopo una prima fase annacquata - hanno preso una linea chiara che li ha portati ad ottenere il bottino grosso: la Commissione parlamentare d’inchiesta, di cui sono stati i più ferventi promotori. È un risultato pesante, non scontato. Una soluzione che probabilmente i partiti maggiori non volevano, ma che sono stati costretti ad accettare obtorto collo a causa dell’incedere tambureggiante della vicenda: spiegare perché no davanti all’opinione pubblica, era assai più complicato e sconveniente che appoggiare il gremio inquirente. Certo, si tratta di un’arma a doppio taglio: tutto dipenderà dai risultati. Ma intanto, nonostante siano il quarto partito, sono riusciti a coagulare una maggioranza e a ritagliarsi un ruolo da protagonisti. Non è poco.

 

La Lega ha mantenuto un profilo sornione. Si è esposta - sparando qualche cannonata contro Beltraminelli, il DSS e il PPD - senza tuttavia scendere in trincea, come in passato aveva fatto per altri scandali. Partecipa alla guerra senza guidarla: da attore non protagonista. Nell’universo leghista sembra prevalere più un certo risentimento nei confronti del presidente del PPD Fiorenzo Dadò - in particolare per alcune sue uscite contro il Movimento e Norman Gobbi dopo aver assunto la presidenza - piuttosto che un’ostilità verso Paolo Beltraminelli. La sensazione è che i leghisti continueranno su questa linea ancora per un po’, per poi decidere nell’anno elettorale come, quando e contro chi affondare il colpo.

 

Il PLR, invece, sembra essere rimasto un po’ con il naso in mezzo alla faccia, dopo aver recitato il copione da protagonista per un certo lasso di tempo. La Commissione di Vigilanza coordinata dal capogruppo Alex Farinelli, non era uno strumento adeguato alle necessità e i risultati ne sono stati la diretta conseguenza. L’impressione è che i liberali radicali, salvo qualche rara eccezione, abbiano ancora una posizione con troppe sfumature. Con troppi distinguo che, fatalmente, non aiutano a collocarsi in una vicenda che è la classica battaglia di campo: chi sta nel mezzo, e non riesce a cucirsi addosso un vestito originale e riconoscibile, viene stritolato e rischia l'evanescenza. Non una bella prospettiva considerato che Argo 1 continuerà ad essere il tema dominante.

 

Sul fronte mediatico, infine, prevale la linea fin qui portata avanti, seppur con accenti e modalità diverse, dalla Regione e dalla RSI. Con fiuto e bravura sono riusciti a dettare l’agenda alla politica. E se questo, per la politica, non è un complimento, lo è senza dubbio per quelle testate che attraverso il loro lavoro hanno saputo incidere sulle decisioni di Governo e Parlamento. Questo dato ha un valore  assoluto per qualunque giornalista, a prescindere da come la si pensi nel merito.


Poi, come sempre, su tutto e per tutti, i conti si potranno fare soltanto alla fine.

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