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"A strèpp e bucún" di Carlo Donadini: "Il dialetto come memoria viva"
L'ex sindacalista, deputato e sindaco di Camorino racconta il libro che ha appena pubblicato per Armando Dadò Editore

CAMORINO – È un libro che non si limita a raccogliere vocaboli, modi di dire e proverbi: è un atto d’amore verso una comunità e il suo modo di esprimersi. A strèpp e bucún, pubblicato da Armando Dadò Editore e firmato da Carlo Donadini, restituisce voce e dignità al dialetto di Camorino, ricostruendone la ricchezza linguistica e il valore umano con precisione e sensibilità.

Donadini, nato nel 1948, ha dedicato la vita al servizio della collettività ticinese: sindacalista, sindaco di Camorino, già presidente del Gran Consiglio, animatore di realtà culturali e musicali, è da oltre cinquant’anni organista e maestro corale. È presidente dell’Associazione Sempreverdi e degli Amici del Conservatorio della Svizzera italiana, dove siede anche nel Consiglio di fondazione. Una figura che ha fatto della partecipazione e del legame sociale la cifra del proprio percorso pubblico e personale.

Il valore del dialetto: “Una ricchezza che rischia di scomparire”
Durante la presentazione del volume, tenutasi il 9 novembre a Camorino, Donadini ha parlato con grande partecipazione del significato profondo di questo lavoro. «Credo sia fondamentale ricordare quanto è prezioso il patrimonio culturale che ci è stato affidato», ha esordito. Con il passare degli anni – ha spiegato – si comprende di essere diventati custodi di qualcosa che può andare perduto per sempre.

«C’è una grande differenza tra dimenticare e perdere: ciò che si dimentica si può ritrovare, ciò che si smarrisce non tornerà mai più. Ecco perché il nostro dialetto ha un valore così grande», ha proseguito. Non una semplice forma di parlata, ma un legame vivo con la storia, con le persone che ci hanno preceduto, con il loro modo di comunicare e di percepire il mondo.

Le voci del passato e l’autenticità della memoria
Ripercorrendo i documenti storici del paese, Donadini ha raccontato come spesso gli capiti di soffermarsi a immaginare i volti, gli sguardi e i gesti delle generazioni che vissero a Camorino tra Ottocento e Novecento. «Di molte donne e uomini vedo ancora le espressioni e perfino i tratti del carattere», ha spiegato. Una memoria che non è fantasia sterile, ma un modo per intuire quella parte autentica della storia che non è stata scritta, e che proprio il dialetto contribuisce a preservare.

Secondo l’autore, ciò che ci è stato tramandato rappresenta «una ricchezza immensa, fatta di semplicità e di umanità, che per secoli ha tenuto vive le nostre comunità». La tradizione orale, strettamente legata al dialetto, era «la voce della memoria»: insegnava, univa, dava senso al vivere insieme.

Un gesto culturale per il presente
Nel mondo di oggi, ha osservato Donadini, tutto tende ad uniformarsi: «Rischiamo di scivolare nella banalità». Recuperare il dialetto diventa allora un gesto controcorrente, che permette di confrontare «la vivacità e la profondità di una lingua piena di vita» con la povertà di un linguaggio sociale sempre più standardizzato.

Proteggere la diversità linguistica significa anche preservare il legame con le radici e dare valore a quelle voci che hanno plasmato la nostra identità. «Solo così – ha detto – potremo accogliere con serenità e umanità le differenze etniche e linguistiche della nostra società».

“In ogni parola c’è una storia”
Il suo invito al pubblico è stato semplice e intenso: lasciarsi prendere dalla curiosità e riscoprire il dialetto. «Non lo ascolteremo più come un tempo, ma possiamo ancora comprenderne il significato profondo», ha affermato. In ogni parola c’è una storia, una memoria, «l’anima della nostra Comunità».

Al termine della serata, Donadini ha ringraziato ospiti e partecipanti per l’attenzione e la passione dimostrate: «È grazie a momenti di condivisione come questo che possiamo custodire e valorizzare uno dei patrimoni più autentici della nostra cultura». Per lui, il dialetto non è soltanto un modo di parlare, ma un modo di appartenere: «È la voce delle nostre radici, che continua a parlarci se solo abbiamo il cuore di ascoltarla».

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