*Di Stefano Lappe
Questo venerdì milioni di giovani sciopereranno ancora una volta per il clima, scendendo in piazza per chiedere misure efficaci contro il riscaldamento globale. Da alcuni mesi la Svizzera e l’Europa intera si trovano confrontati con una serie di scioperi sul clima organizzati da studenti: in poche settimane sono state organizzate – principalmente tramite WhatsApp – le più grandi manifestazioni giovanili dagli anni ottanta. In barba ai media e alle (molte) persone che la descrivono assopita, apatica e sempre assorta negli smartphone, la gioventù svizzera si è dimostrata pronta a scendere in strada e a dimostrare la propria rabbia per protestare contro l’apparente passività della popolazione adulta e delle generazioni che l’hanno preceduta nell’affrontare la più grande crisi che la nostra civiltà è chiamata a risolvere.
In gennaio, nonostante le temperature non propriamente caraibiche, in Svizzera interna e in Romandia gli studenti sono riusciti a portare in piazza decine di migliaia di persone e anche in Ticino, a Bellinzona, a inizio febbraio è stato organizzato il primo sciopero sul clima che ha raccolto numerosi partecipanti. A differenza del resto della Svizzera il Ticino si è però rivelato precursore per quanto riguarda l’organizzazione del movimento, che si è dotato di un coordinamento cantonale. Un passo doveroso e necessario: è infatti di fondamentale importanza che i ragazzi sviluppino un’organizzazione che permetta al movimento di strutturarsi e di non cadere nel dimenticatoio nel giro di pochi mesi. Il 25 febbraio a Berna si è tenuto il primo incontro nazionale dello sciopero del clima, durante il quale 250 ragazze e ragazzi si sono divisi in gruppi di lavoro, hanno elaborato le loro idee su come affrontare i cambiamenti climatici e le hanno poi presentate in plenum, creando consenso attorno ai loro progetti. Un incontro che lascia ben presagire nell’ottica di una crescita del movimento e più in generale di un suo rafforzamento, in modo tale da poter rimanere alla larga da qualsiasi logica partitica.
La questione ambientale è infatti troppo importante per essere strumentalizzata da una singola forza politica e va ormai oltre qualsiasi divisione ideologica. In questo senso, la funzione assunta dal movimento non può limitarsi a quella di partito nel senso tradizionale del termine, ma deve piuttosto ergersi a un livello superiore, mirando a risvegliare dal torpore la politica e la società civile in toto. L’auspicio è quello che l’ondata di scioperi e di fervore giovanile per il tema del clima si tramuti in un nuovo approccio istituzionale al riscaldamento globale, molto più proattivo e coraggioso di quanto lo sia stato in passato. Da questa prospettiva, le immagini che giungono dai Klimastreik fanno ben sperare: i giovani, questa volta, non sembrano più disposti a stare a guardare, e lo stanno dimostrando al mondo intero.
*candidato PLR al Gran Consiglio