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Quarto Potere
24.10.2017 - 11:250
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Il mio sì all'iniziativa No Billag". Boris Bignasca scende nell'arena: "Se il territorio ticinese non difenderà la RSI in questa battaglia sarà soltanto perché la RSI si è dimenticata per anni di difendere il suo territorio"

Il deputato e presidente dei giovani leghisti: "Non è colpa nostra se il Consiglio Nazionale non ha dato spazio a un controprogetto, con un canone fissato a 200 franchi all’anno, che sarebbe stato un compromesso capace di trovare una larga maggioranza. Il centro-destra ha provato ad offrire un’alternativa, ma i partitoni vicini alla SSR hanno voluto forzare la mano e mettersi in questa situazione di tutto o niente”

di Andrea Leoni


Boris Bignasca, la campagna sull’iniziativa No Billag è entrata nel vivo, nonostante manchi ancora molto tempo all’appuntamento del 4 marzo. Lei è presidente dei giovani leghisti e  rappresenta la Lega barricadera, quella di via Monte Boglia: come voterà?

Ho letto l’intervista che avete fatto a Marco Chiesa e posso concordare con lui quando afferma che la proposta in votazione è molto forte. Purtroppo non è colpa nostra se il Consiglio Nazionale non ha dato spazio a un controprogetto, con un canone fissato a 200 franchi all’anno, che sarebbe stato un compromesso capace di trovare una larga maggioranza. Il centro-destra ha provato ad offrire un’alternativa, ma i partitoni vicini alla SSR hanno voluto forzare la mano e mettersi in questa situazione di “tutto o niente”. Io comunque voterò SI per mandare finalmente un segnale alla RSI”.

 

Quale segnale?

“Il primo segnale riguarda la questione dei costi e dei privilegi. Dalla trasferte in massa e senza senso degli inviati, agli stipendi e ai benefit di cui godono i dirigenti, che guadagnano anche 200 o 300.000 franchi all'anno come ridere. Su questo punto dovrebbe essere fatta una grande operazione di trasparenza. Come succede in Italia con la Rai, vorremmo conoscere i salari dei principali direttori e conduttori della RSI. Comincerei almeno con Canetta, Ceschi e Mammone. Il secondo segnale riguarda invece la linea editoriale. Sono fin troppe le segnalazioni che ricevo da anni da parte di persone di centrodestra che sono indignate per un’informazione troppo sbilanciata a sinistra. Anche nelle piccole cose, ad esempio appellare Blocher come “il tribuno”, oppure raccontare continuamente Trump come una sorta di usurpatore della Casa Bianca, o ancora dare la colpa a Matteo Salvini per la devastazione dei centri sociali, quando è andato in visita a Napoli”.

 

Lei dice che vuole dare un segnale. Ma se poi l’iniziativa dovesse essere accolta - ciò che porterebbe a una chiusura della RSI - ne sarebbe valsa comunque la pena? È un rischio che si sente di correre?

“Sì, perché se la RSI dovesse chiudere sarebbe solo colpa sua. Se con 250 milioni di canone all’anno non riuscirà ad avere il sostegno della maggioranza dei ticinesi, non potrà incolpare nessuno se non se stessa. Ma voglio darle anche una risposta di merito oltre che politica”.

 

Prego.

“La tendenza di tutti i media oggi è quello di andare verso due tipi di contenuti: quelli gratuiti, tendenzialmente sull’online (che ha superato la TV come mezzo di fruizione); gli altri invece sono quelli a pagamento, da Netflix a Cablecom. L’idea che si sta sempre più imponendo, e che secondo me è corretta in un sistema liberale, è quella che si paga per ciò che si consuma. Io credo che se passasse l’iniziativa, anche se non credo che accadrà, Il Consiglio Federale sarà obbligato ad andare verso una soluzione di questo tipo: paghi per ciò di cui fruisci. Al limite si potrebbe tenere in piedi qualcosa di gratuito solo con radio e web”.

 

Ipotesi di scuola numero 2. Lei manda un segnale e l’iniziativa viene approvata in Ticino ma non nel resto della Svizzera. La conseguenza più probabile sarà quella che la SSR riveda la spartizione dei proventi del canone e dia molti meno soldi di quelli che mette oggi a disposizione per la Svizzera italiana, anche per le radio e le tv private. Anche in questo secondo caso ne varrebbe comunque la pena?

“Se il territorio ticinese non difenderà la RSI in questa battaglia sarà soltanto perché la RSI si è dimenticata per anni di difendere il suo territorio. E le dirò di più: se perderanno, questa sconfitta avrà una data molto precisa, che non sarà il 4 marzo, ma il 9 febbraio 2014. Quel giorno, e nei giorni immediatamente successivi, la RSI ha completamente strappato il suo legame con una parte del tessuto sociale ticinese. Poi è chiaro che a livello di impieghi e di risorse che vengono dalla Confederazione, il Ticino continuerà a fare lobby per ottenere il miglior risultato possibile. Ma questo vale per qualsiasi azienda federale. Non è che possiamo limitarci alla SSR”.

 

Veniamo al capitolo posti di lavoro. Posti di lavoro che sono in Ticino e in larga parte occupati da ticinesi. Lei da leghista non si sente in contraddizione a rischiare di metterli in pericolo? E i costi sociali che ricadrebbero sulle casse del Cantone non la preoccupano?

“Le rispondo con una provocazione: non vedo perché mi devo preoccupare dei posti di lavoro della RSI quando la RSI non si è mai preoccupata dei posti di lavoro dei ticinesi. Ribadisco: la RSI è un’organizzazione talmente importante e imponente che se non riuscirà ad ottenere il consenso della popolazione, sarà solo colpa sua”.

 

Infine, cosa pensa dell’abbassamento del canone deciso di recente dal Consiglio federale?

“Furbo marketing politico della Consigliera Federale Doris Leuthard, che non vuole finire il suo mandato con una sconfitta che sarebbe storica. Per gli svizzeri tedeschi credo che 365 franchi siano una fattura sopportabile. Per i ticinesi sono ancora troppi: forse non è chiaro che molte famiglie del ceto medio basso nel nostro Cantone, non riescono più neanche a mettere insieme il pranzo con la cena. Figuriamoci se possono permettersi un canone esoso, per di più per un servizio che magari neanche utilizzano. È inutile girarci intorno: è un’idea che non sta più in piedi”

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