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10.05.2019 - 02:350
Aggiornamento: 11.05.2019 - 09:53

'Meno Trenta', la bombastica e impietosa fotografia dell'avvocato Stefano Bolla: "Lugano oggi è un organismo moribondo"

"Una  città-cassaforte  dedita  al  turismo  dell’evasione  fiscale  e,  di  riflesso,  al  riciclaggio  di  soldi  sporchi  e  ai  commerci  d’azzardo,  di  lusso  e  di  lussuria"

di Stefano Bolla (passaggi tratti dal libro Meno Trenta, di Stefano Artioli) *

 

(…) Lugano  è  un  abitato  antico  di  almeno  due  millenni.  Le  testimonianze  concrete  di un insediamento  romano  tuttavia  sono  affiorate  in  centro  città  per  caso  solo  di  recente  (nell’estate  del  2017)  su  segnalazione  di  un  privato  cittadino.  Eppure  scavi  e  cantieri  di  ogni  genere  si  sono  succeduti  a  centinaia  in  città.  Facile  arguire che ai reperti antichi si è preferito di norma riservare sepoltura eterna. Un sintomo significativo, questo, d’indifferenza  o  di  un  livello  di  attenzione  molto  scarso  verso  le  testimonianze  del  passato.

 

Certo,  ogni  città  viva nasce e cresce da una stratificazione che col tempo mette il passato sotto i piedi degli abitanti. Ma c’è modo e modo di farlo.

 

Basta a capirlo un semplice confronto. Fate  un  giro  di  un’ora  o  due  nel  centro  di  Como  e  fate  altrettanto in quello di Lugano. Per molti aspetti le due città  sono  comparabili.  Eppure  le  differenze  sono  evidenti:  le  testimonianze  che  emergono  dal  passato  di  Como  e  vivono  nel  presente,  a  cominciare  dallo  schema  urbanistico  derivato  dalle  centuriazione  romana,  riescono  a  dare  alla  città  una  marcata  impronta  storica  che  Lugano  invece  ha  conservato  in  misura  molto  più  ridotta, tanto che la matrice urbanistica del tempo oggi risulta  disgregata  e  sbrecciata  dal  succedersi  secolare  d’interventi marcati in buona parte, nei tempi contemporanei  soprattutto,  dall’arroganza  dei  vivi  sul  mondo  dei  morti.  L’antico  impianto  urbano  è  quasi  del  tutto  cancellato, il quartiere di Sassello sradicato, villa Ciani seviziata da ripetuti interventi sfrontati, ecc. ecc.

 

Purtroppo chi maltratta il tempo sovente è condannato a restare indietro, a perdere il treno, a pentirsi della sua mancanza di rispetto e di avvedutezza. Sembra un paradosso, mentre è la risposta pertinente del tempo  offeso  che  si  vendica,  inchiodando  chi  lo  dileggia  a  star  fermo,  senza  più  capire  come  fare  a  andare  avanti.  I  parametri  storici  non  ci  sono  più  e  allora  si  brancola  nel vuoto dell’immobilismo, nelle improvvisazioni, nei vaneggiamenti. La progettualità si spegne nell’inerzia e nell’incapacità  di  guardare  con  occhi  attenti  agli  interessi collettivi del futuro.

 

Non a caso Lugano oggi appare in ritardo di anni rispetto al tempo presente. Un ritardo di trent’anni? Forse anche molti di più. Le  condizioni  necessarie  al  convivere  urbano  sono  state  spazzate  via  a  partire  dal  primo  dopoguerra  e,  in  misura  crescente  senza  più  nessun  ritegno  significativo,  nel  secondo  dopoguerra.  Da  allora  Lugano  ha  progressivamente subito una drastica metamorfosi dagli esiti devastanti.

 

(…) Nel  tentativo  di  spiegare  la  trasformazione  della  cultura  urbana  postbellica  in  genere  si  chiamano  in  causa  la  fine  della  cultura  preindustriale,  la  rivoluzione  industriale  e  l’impatto  delle  rivoluzioni  tecnologiche  nei  settori  dell’edilizia  e  dei  trasporti, l’incidenza demografica e i loro effetti.

 

Accanto alle spiegazioni generali, il caso di Lugano mette in primo piano un fattore locale aggiuntivo legato alla sua posizione geografica di città di confine. Per farla breve, le differenze normative esistenti tra nazioni confinanti  generano, come  tutti  sanno,  opportunità  e vantaggi che riescono a volte a alimentare un’economia opportunistica, per non dire parassitaria, che mira solo a  sfruttare  alcune  situazioni  contingenti,  sovente  aleatorie. Un’economia quindi quasi incontrollabile. Tanto che facili avrebbero potuto essere i presagi di sventure.

 

(…) Ma  Lugano  si  era  lasciata  ammaliare  da  quelle  opportunità economiche che nascono dalla rassicurante assenza di cattivi odori della pecunia, tanto da abbandonare  i  valori  dell’urbanità  per  promuovere  l’immagine  di  una  città-cassaforte  dedita  al  turismo  dell’evasione  fiscale  e,  di  riflesso,  al  riciclaggio  di  soldi  sporchi  e  ai  commerci  d’azzardo,  di  lusso  e  di  lussuria.

 

(…) Fatto sta che, proprio a partire dal cuore vivo della città, ossia dal nucleo storico di Lugano, la destinazione residenziale fu rapidamente estromessa  dal  tessuto  urbano  per  far  posto  ai  palazzi  concepiti  per  rappresentare,  con  il  linguaggio  presuntuoso dell’architettura luganese, la sicurezza e l’inviolabilità della cassaforte, posta sotto l’insegna di un istituto bancario o para-bancario. 

Per effetto di quella folle metamorfosi Lugano ha perso  i  connotati  di  una  città.  Non  ha  più  cittadini.  Li  ha respinti all’esterno, verso le periferie. Ha espulso dal centro la componente umana indispensabile a far vivere una città.

 

Gli abitanti allontanati sono stati concentrati fuori, nei sobborghi, negli ex villaggi, oggi adibiti a dormitori e inglobati nella cintura urbana che, con un tocco di  vanità  legittimata  dalle  fusioni  comunali,  si  preferisce designare ‘grande Lugano’.

 

Fatto sta che il centro di Lugano  ora  appare  come  un’esposizione  di  scrigni  per  evasori stranieri realizzati in lussuosi stabili di rappresentanza attorniati da locali di ristorazione d’ogni genere destinati a fungere da mensa diurna per chi lavora nel centro.  Una  città-ufficio  che,  al  tramonto  della  piazza  finanziaria  accelerato  dalla  cancellazione  del  segreto  bancario, sembra svanire nel vuoto di attrattive urbane di una città moribonda.

 

(…) In concomitanza con la scelta insensata di mettere un deserto privo di cittadini al centro della città,  Lugano  ha  perso  il  suo  impianto  urbano  insieme  alla  struttura  viaria  del  passato  con  interventi  disparati  operati  a  casaccio,  senza  prospettive  chiare.  Solo  un  dogma indiscutibile ha recitato imperterrito che spetta all’automobile dettare le regole della mobilità cittadina. La città si trova quindi priva di una zona pedonale, in assenza di un vero nucleo abitato a cui ancorarla.

 

Enfatico è invece l’assetto e tutta l’impiantistica stradale oggetto di  frequenti  aggiustamenti  privi  di  significative  incidenze positive sul traffico motorizzato, sia esso pubblico o privato. La mobilità lenta, vuoi a piedi vuoi con mezzi  non  motorizzati,  a  Lugano  non  trova  terreno  fertile.  L’assenza di piste ciclabili al riparo dal traffico veicolare rende  l’uso  di  biciclette  rischioso.

 

Spesso  muoversi  in  città durante il giorno significa sprofondare nel caos di un  assetto  viario  farneticante  che,  finito  l’orario  di  lavoro,  prende  le  dimensioni  di  un  frenetico  fuggi-fuggi  generale  dalla  città-ufficio.

 

Neppure  i  servizi  pubblici  sono al riparo dal caos. Lugano  oggi  è  un  organismo  moribondo.  Alla  metamorfosi  che  ha  trasformato  una  città  in  una  meta  per  evasori  fiscali  non  si  è  neppure  tentato  di  dare  risposta.  Nulla  è  stato  fatto  in  concreto  per  rimediare  in  qualche modo all’allontanamento dei cittadini dal centro.

 

Insieme  agli  spazi  residenziali,  sono  andati  persi  i  luoghi  tradizionali  idonei  agli  incontri  degli  abitanti,  agli  scambi,  alle  attività  feconde  al  pensiero  e  al  confronto.  Le  sale  cinematografiche  sono  scomparse  dal  centro.  Lo  stesso  vale  per  il  mercato,  privo  da  decenni  di  una  sua  sede  stabile  e  quindi  ridotto  a  una  presenza  spesso penosa e evanescente. Già prima era stato chiuso il teatro che, sotto l’insegna di Apollo, fungeva anche da sala  da  concerto.  Uno  spazio  culturale  che,  al  cospetto  dell’invadente casinò, sparisce per completare il vuoto.

 

Neppure il nuovo LAC riesce a ridare vita al vuoto della vita culturale di Lugano. È una struttura che ha qualcosa di iperbolico: estremamente ricco di metri cubi vuoti e  molto  povero  di  spazi  con  destinazioni  ben  determinate.  Sembra  creato  non  tanto  per  accogliere  un  pubblico  interessato  a  spettacoli  culturali  ma  per  offrire  a  degli  eletti  l’occasione  di  esibirsi  in  pubblico.  Di  fatto,  il  casinò  è  rimasto  il  solo  vero  emblema  della  Lugano  proiettata  verso  il  terzo  millennio.  Un  emblema  dalla  portata concreta e metaforica squallida, se si considera che l’avvenire della città è finanziariamente alimentato dalla  vendita  di  illusorie  speranze  di  ricchezza.

 

In  più,  sappiamo già che il disegno urbanistico della città è stato plasmato in funzione di esigenze imprenditoriali che puntavano  sui  giochi  aleatori  dei  traffici  di  valuta  e  del  contrabbando. Il  peggio  è  che,  subdolamente,  tutti  quei  giochi  d’azzardo  hanno  alimentato  l’illusione,  assai  radicata  nella cultura della Lugano del secondo ’900, di poter far soldi senza dover rimboccare seriamente le maniche.

 

A dare  concretezza  a  simili  parvenze  ingannevoli  di  facili  guadagni,  sulla  facciata  del  casinò  ‘blinca’,  giorno  e  notte, l’ammontare favoloso del monte premi o jackpot. Quella  resta  l’insegna  emblematica  di  un  casinò  di  città  che  riusciva  a  promettere  ai  propri  ‘cittadini  espulsi’  solo  castelli  in  aria;  mentre  agli  evasori  stranieri,  accolti  per  depositare  i  loro  capitali  sfuggenti,  regalava  l’impressione di un pacifico paese di bengodi a prova di bomba, anche se i malfattori non mancavano affatto negli angoli sporchi della piazza finanziaria.

 

Così,  dentro  il  mare  insidioso  e  ammiccante  dalle  false  promesse  dispensate  dalle  vincite  ai  tavoli  da  gioco  e  dai  traffici  di  confine  è  affondato  in  larga  misura  lo  spirito  urbano  e  imprenditoriale  di  Lugano. È scomparso l’impegno che spremeva sudore dalla fronte,  svanita  l’imprenditorialità  e  la  tenacia  produttiva del ceto commerciale, artigianale e industriale della Lugano positiva, capace un tempo di confrontarsi con la realtà senza perdersi né in ciance né in abbagli.

 

Oggi, finiti i miraggi, ai giovani, alle nuove leve capaci di sfuggire alla truffa dei giochi d’azzardo ma confrontati al vuoto economico lasciato dai castelli d’aria non resta spesso che imboccare la via che li porta lontano. Sicché la città, che nel passato allontanò i suoi cittadini dal centro, oggi perde, almeno in parte, anche i cittadini  del  futuro  che  guardano  all’estero.  Il  tempo  non  perdona gli errori. La  natura  neppure.

 

(…) Oggi la  cecità  di  un’economia  affamata  di  profitti  e  inebriata dall’efficienza della tecnica ostenta l’arroganza di un illusorio  predominio  dell’uomo  sulla  natura.  Illusorio,  perché  alla  fin  fine  la  convinzione  di  poter  dominare  sulla  natura,  senza  riguardo  ai  limiti  di  sopportazione,  rischia di mettere a repentaglio, assai più che la natura, la  sopravvivenza  stessa  di  quella  specie  animale  classi-ficata, senza un briciolo di modestia, sotto l’etichetta di homo sapiens sapiens.

 

La  risposta  urbanistica  della  ‘grande  Lugano’  agli  allarmi  pacati  lanciati  dalla  natura  direi  sia  assai  impacciata per non dire rassegnata. Contro l’estensione del cemento per nuove strade e edificazioni a scapito del verde  l’atteggiamento  di  fondo  direi  sia  rinunciatario.  Il  verde  urbano  ha  una  funzione  ornamentale  che  ben  difficilmente riesce a competere con interessi materiali divergenti. Non senza aggiungere che mettere la natura tra  gli  aspetti  di  mero  ornamento  significa,  secondo  la  mentalità  corrente,  relegarla  a  priori  tra  le  faccende  di  minimo rilievo.

 

Del resto oggi la logica della demagogia, di fronte alle difficoltà molto preoccupanti di una civiltà  in  crisi  profonda,  non  accenna  neppure  a  formulare  proposte  politiche  serie  per  risolvere  i  gravi  problemi  reali  della  società.  Oggi,  per  farsi  eleggere,  ai  politici  basta  accattivarsi  la  fiducia  della  gente.  Certo,  è  molto  più facile distribuire vuote lusinghe agli elettori che fare politica con serietà!

 

(…) Sullo  sfondo  della ‘grande Lugano’ inurbana restano le montagne della val  Colla,  della  Capriasca,  del  Malcantone.  Gingilli  decorativi da cartolina illustrata? Sopravvivenze geologiche di una  natura  incontaminata  in  via  d’estinzione?  O  piedestalli creati da madre natura per ricevere in cima cavolfiori  o  carciofi  architettonici  di  grande  richiamo  turistico?  Lema,  Gradiccioli,  Tamaro,  Bar,  Gazzirola,  Denti  della  Vecchia e Boglia scuotono la testa con un sorriso, prima di chiedersi: ‘Ma noi cosa ci stiamo a fare quassù?’. Magari  sono  lassù  solo  a  ricordarci  che  ‘la  terra  che abitiamo non c’è stata donata dai nostri padri, ci è stata prestata dai nostri figli’.

 

Così dice un proverbio dei nativi americani. E se dovremo rendergliela in buono stato, ci occorrerà per forza di cose seguire le tracce capaci di svelarci, prima che sia troppo tardi, i percorsi da seguire con cura e senza  insolenza  per  evitare  la  mala  sorte  di  finire  vittima  coi nostri figli della nostra stolta presunzione.

 

* avvocato

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