CRONACA
"Il mio periodo di mobilità osservato da un colle bolognese"
Sara Perruccio, laureata in Lavoro sociale alla SUPSI, racconta la sua esperienza a Bologna: "La consiglio a tutti"

*Di Sara Perruccio

La mia esperienza di mobilità presso l’Università di Bologna è cominciata tra le paure di un futuro ignoto e le mille insicurezze che un’esperienza simile presentava.

Nei mesi che hanno preceduto la partenza il senso di instabilità era costantemente presente, malgrado gli sforzi fatti per trovare una sistemazione, io e il mio compagno di viaggio Alessio a un solo mese dall’inizio degli studi non avevamo ancora trovato un appartamento. 

Tuttavia, con un po’ d’astuzia e un po’ di fortuna, siamo andati direttamente sul posto alla ricerca della nostra dimora bolognese, riuscendo a trovare in poco tempo le certezze che ci mancavano. Armata di buoni propositi e con molta voglia di mettere alla prova me stessa sono partita.

Nei primi mesi di quest’incredibile esperienza sono stata totalmente pervasa dalla bellezza e dalle novità che la città mi prospettava. In questo periodo ho avuto modo di scoprire per la prima volta me stessa come persona adulta, in grado di prendersi cura di sé, capace di applicare modalità di studio e di vita diverse da quelle a cui ero abituata fino a quel momento.

Durante la permanenza a Bologna, ho avuto modo di mettere in discussione i modi attraverso cui vivevo la scolarità, trovando in me stessa un senso di fiducia che è stato sia riferimento sul quale appoggiarmi che aiuto per raggiungere gli obiettivi accademici. 

Allo stesso tempo ho imparato a cercare sostegno tra i miei compagni di corso quando da sola sentivo di non potercela fare. È stato un momento cruciale per la mia esistenza perché fino a quel momento non ero mai stata incline a farmi aiutare, un po’ per orgoglio e un po’ per la piacevole sensazione che si prova a seguito di un traguardo raggiunto in piena autonomia. 

Per quanto una sensazione simile possa soddisfare il mio lato narcisistico, ho imparato che non è nulla se paragonata alla gioia condivisa provata a seguito del raggiungimento di un obiettivo comune con un’altra persona. Bologna, oltre ad essere stata un’esperienza positiva a livello formativo perché mi ha fatto vivere un contesto sociale più ampio ed inclusivo di quello che è, a mio avviso, il Ticino, è stata anche un’esperienza profondamente costruttiva per la costruzione della mia persona e della mia identità. 

L’impatto con la realtà bolognese è stata positiva: incastrata tra le sue mura medievali mi ha permesso di cogliere ogni sfumatura della sua storica bellezza, la vivace vita universitaria mi ha invece permesso di crescere come persona, aiutandomi a migliorare le capacità relazionali e l’autonomia personale. 

Questo periodo è trascorso frettolosamente, tra corsi all’università e lunghe giornate all’insegna del divertimento con compagni di corso che in seguito sono diventati amici indispensabili per colorare la mia esperienza di mobilità, rendendola incredibile e indimenticabile. 

Per la crescita personale acquisita e per i bei momenti trascorsi con compagni di avventura indimenticabili non credo ci sia nulla che cambierei di quest’esperienza. Lo affermo non perché non ci siano stati momenti di sconforto, ma perché anche in quei momenti non avrei voluto tornare indietro o aver fatto scelte diverse rispetto a quella di partire per il mio periodo di mobilità. 

Consiglierei a tutti questa esperienza, per aumentare il ventaglio di possibilità che la SUPSI mette a disposizione durante il percorso formativo e per potersi confrontare con realtà quotidiane e accademiche diverse da quelle a cui siamo abituati. 

Concludo riferendomi al celebre romanzo Le città invisibili di Italo Calvino, che narra dei viaggi di Marco Polo nelle città conquistate dal condottiero mongolo Kublai Khan durante l’epoca dell’Impero cinese. Questa narrazione è stata per me una degna complice del mio viaggio sia all’interno della meravigliosa Bologna, sia all’interno di me stessa, fornendomi spunti di riflessione sui quali soffermarmi e un senso a quanto stavo vivendo in alcuni momenti di quest’esperienza. 

L’autore afferma: «Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda.». Questa frase è stata per me una forte fonte di ispirazione in quanto mi ha permesso di valutare me stessa in maniera profonda e di apprezzare ulteriormente l’esperienza vissuta a Bologna.

*laureata in Lavoro sociale presso la SUPSI

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