IL FEDERALISTA
Darfur, vittime di seconda classe
Per la seconda volta in vent'anni, un autentico genocidio sta avvenendo in Sudan. Nel disinteresse dei grandi del Mondo e dell'informazione

A cura della redazione de ilfederalista.ch

Si è consumata, tra i massacri, la caduta della città di El-Fasher nel cuore del Darfur (Sudan). Dopo diciotto mesi di assedio, le milizie delle Forze di Supporto Rapido (RSF) — il gruppo paramilitare guidato da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti — hanno strappato l’ultimo avamposto che il nemico, le Forze Armate Sudanesi (SAF) guidate dal rivale Abdel Fattah al-Burhan, ancora deteneva nella disgraziata regione. I miliziani hanno passato al setaccio le case, uccidendo donne, bambini, malati, disabili.

L’organizzazione dei medici sudanesi ha fatto sapere che gli uomini al comando di Hemedti “hanno ammazzato pazienti all’interno degli ospedali di El Fasher, freddando, in particolare, tutti coloro che si trovavano all’interno dell’ospedale saudita”. I morti tra i civili, secondo fonti legate alle SAF, sarebbero 2000.

Le prove di quanto accaduto non vengono solo dai sopravvissuti. I satelliti e gli stessi carnefici ne hanno fornito documentazione. Il “Laboratorio umanitario” dell’Università di Yale ha individuato, nelle fotografie aeree, ammassamenti compatibili con “corpi umani adulti” e vaste zone scolorite che potrebbero indicare diffuse tracce di sangue. Gli autori dei massacri, dal canto loro, hanno diffuso (anche qui come a Gaza...) video sui social media nei quali uomini in uniforme si filmano tra i cadaveri, ridono, si vantano, sparano a prigionieri inermi. 

“Le violazioni e le atrocità commesse sembrano sempre più motivate da considerazioni etniche”, ha notato il commissario ONU per i diritti umani Volker Türk. Il suo ufficio parla di “esecuzioni sommarie e violenze sistematiche”. 
 
La caduta di El-Fasher

La popolazione civile di El-Fasher (260mila persone rimaste in città – delle 700mila che la popolavano prima dell’attuale conflitto), privata di cibo e acqua corrente per mesi, l’ingresso dei paramilitari significa se non altro la fine dell’isolamento. A caro prezzo.

La grande città del Darfur era anche rifugio per le comunità non arabe della regione. La sua caduta segna una svolta nella guerra disastrosa che da oltre due anni e mezzo devasta il Sudan

Ma l’intero Darfur è un inferno che non finisce mai. L’orrore di El-Fasher si aggiunge a una lunga lista. Già tra maggio e giugno del 2023 nella città di El-Geneina quasi quindicimila civili — in gran parte appartenenti alla comunità non araba dei Masalit — erano stati uccisi in pochi giorni, in quello che l’ONU ha definito “uno dei peggiori massacri della guerra”. Migliaia di corpi furono lasciati insepolti, interi quartieri bruciati. Le immagini satellitari mostravano le stesse chiazze scure e le stesse fosse comuni che oggi si ripresentano intorno a El-Fasher.

Gli stessi carnefici di vent’anni fa

Non è la prima volta che il Darfur diventa teatro di atrocità. Nei primi anni Duemila, le milizie Janjaweed rasero al suolo interi villaggi, uccidendo centinaia di migliaia di persone in uno dei genocidi più sanguinosi del XXI secolo. Quelle stesse milizie — riorganizzate, ribattezzate — sono oggi le Forze di Supporto Rapido (RSF) di Hemedti. Gli stessi metodi, le stesse vittime: le comunità non arabe.

Entrambi i protagonisti della guerra, al-Burhan (a capo dell’esercito regolare - SAF) ed Hemedti, furono uomini di Omar al-Bashir, il dittatore islamista che per trent’anni ha governato il Sudan. Burhan partecipò alle operazioni nel Darfur, Hemedti divenne comandante delle Janjaweed nel 2013. Insieme tradirono Bashir nel 2019, lo rovesciarono. Ma solo due anni dopo, deposero il Governo di transizione democratica. Prima di rivolgersi l’uno contro l’altro nel 2023.

Dopo oltre due anni, la guerra civile in Sudan ha causato più di 150 mila vittime confermate e 12 milioni di sfollati, dando origine al più vasto esodo del mondo. Intere regioni sono sprofondate nella carestia.

I padrini del massacro

Negli ultimi mesi le Forze armate sudanesi (SAF) avevano riconquistato Khartoum e buona parte del nord e dell’est del Paese, incluso l’accesso al Mar Rosso, mentre le RSF controllano quasi tutto il Darfur e gran parte del Kordofan, storica roccaforte delle milizie Janjaweed. La conquista di El-Fasher potrebbe aprire la strada verso la capitale. A detta di Alan Boswell, direttore dell’International Crisis Group per il Corno d’Africa, “non vi è alcun segno che la leadership delle RSF si accontenti del solo Sudan occidentale. Finché riceveranno rifornimenti, continueranno a intensificare il conflitto”. 

Rifornimenti, appunto. Il conflitto non è affatto soltanto una lotta tra generali rivali: potenze regionali e internazionali ne alimentano la durata e la violenza. Gli Emirati Arabi Uniti sono l’attore esterno più influente, accusato di sostenere le milizie delle Forze di Supporto Rapido (RSF) con armi pesanti, droni micidiali, finanziamenti e assistenza logistica e d’intelligence. Senza questo appoggio, secondo gli esperti, le RSF “non resisterebbero più di una o due settimane”.

Secondo il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, Abu Dhabi sostiene Hemedti per contrastare l’islam politico dei Fratelli Musulmani. La Turchia, vicina alla Fratellanza, starebbe da parte sua vendendo armi alle Forze Armate Regolari. Pure vicine alla SAF, ma meno coinvolte, Russia e Iran.

Le inchieste rivelano forniture a Hemedti da parte degli Emirati di armi pesanti e droni cinesi , transitati da Libia e Ciad, che hanno dato ai paramilitari di RSF un vantaggio decisivo a El-Fasher. 

Una strategia che risponde all’obiettivo emiratino di assicurarsi influenza sul Mar Rosso, mantenere un punto d’appoggio nel Corno d’Africa e proteggere i propri interessi in oro e terre agricole. Khartoum ha intanto citato in giudizio gli Emirati davanti alla Corte internazionale di giustizia per complicità in atti di genocidio contro la comunità masalit. 

L'indifferenza e gli interessi

Quanto al contesto internazionale, senza poter trancher -come ha fatto l’Istituto per gli studi internazionali, ISPI- che “quella che si combatte in Sudan è diventata una guerra per procura, con attori regionali in competizione per le risorse di un Paese ricco d’oro”, ci sembra adeguata la lettura proposta da L’Orient-Le Jour: “L’indifferenza internazionale di fronte ai massacri commessi dalle FSR risuona tanto più forte quanto Abu Dhabi è un partner fedele degli Stati Uniti nella regione. E gli Emirati Arabi Uniti si trovavano al tavolo dei negoziati poco prima dell’offensiva su El-Fasher", insieme a USA, Egitto e Arabia Saudita. Non avrebbe, la Casa Bianca, potuto dire ad Abu Dhabi: “Sappiamo cosa state facendo. Fermate le armi mentre discutiamo e impedite la caduta di El-Fasher”.

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