Dopo Gaza, vi sono altre battaglie urgenti per le quali scendere in piazza e inventare nuove flottiglie

Dopo Gaza, vi sono altre battaglie urgenti per le quali scendere in piazza e inventare nuove flottiglie. Media e attivisti per i diritti umani sono chiamati a destare e infiammare, nelle opinioni pubbliche occidentali, il senso di giustizia e le adeguate espressioni di solidarietà di fronte alla violenza e alle stragi a sfondo confessionale che colpiscono oggi milioni di persone, con radici storiche non meno tragiche di quelle che alimentano il conflitto israelo-palestinese. Parliamo delle persecuzioni dei cristiani in Africa da una parte e, dall’altra, della negazione del diritto all’integrità del proprio Stato che colpisce un popolo, quello armeno, che ha già subito un genocidio, dimenticato se non negato.
“Basta violenza contro i cristiani in Nigeria, altrimenti mi arrabbio”. Ha sollevato un polverone l’uscita a gamba tesa di Donald Trump, tramite social, contro il Governo del gigante dell’Africa occidentale. Lo stile ormai lo conosciamo.
Donald Trump sui social
“Se il Governo nigeriano continuerà a permettere l'uccisione dei cristiani, gli Stati Uniti interromperanno immediatamente tutti gli aiuti e l'assistenza alla Nigeria e potrebbero benissimo entrare in quel paese, ormai caduto in disgrazia, ‘a pistole spianate’, per spazzare via completamente i terroristi islamici che stanno commettendo queste orribili atrocità. Con la presente do ordine al nostro Dipartimento della Guerra di prepararsi a un'eventuale azione. Se attaccheremo, sarà un attacco veloce e feroce, piacevole, proprio come quello che i terroristi compiono contro i nostri CARI cristiani! AVVERTENZA: IL GOVERNO NIGERIANO FARÀ MEGLIO AD AGIRE IN FRETTA!”
Minacce da pistolero, parole giudicate sproporzionate da buona parte dei media internazionali e che hanno suscitato una reazione stizzita da parte della presidenza nigeriana (che ha respinto ogni accusa). Ma forse utili a rompere il silenzio.
Alcuni analisti, tuttavia, si sono dedicati – se non a buttare acqua sul fuoco – a… sfumare. La situazione “è complessa”: nella fascia centrale (middle belt) del Paese le violenze si intrecciano con le rivalità per il possesso della terra tra agricoltori stanziali e pastori nomadi, acuite dalla diminuzione delle risorse. Nel nord del Paese, peraltro, anche i musulmani moderati sono perseguitati aspramente dagli islamisti.
Ma domenica è sceso in campo il Papa. Difficile accusare Leone XIV di essere “il cappellano dell’amministrazione Trump”, visti i continui richiami (diretti e attraverso i vescovi statunitensi) contro la disumanità della politica di espulsione dei migranti illegali praticata dal Governo federale.
All’Angelus il Papa aveva ricordato che “anche oggi, in diverse parti del mondo, i cristiani subiscono discriminazioni e persecuzioni. Penso, in particolare, a Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e altri Paesi, da cui giungono spesso notizie di attacchi a comunità e luoghi di culto”. Per Leone, dunque, il problema esiste, in Nigeria e altrove.
Le interpretazioni etniche…
La Nigeria, con i suoi 220 milioni di abitanti, è divisa quasi a metà tra cristiani – soprattutto nel sud – e musulmani, concentrati a nord. Permangono inoltre molte forme di religiosità tradizionale, soprattutto nel sud e nella cosiddetta middle belt, dove le varie confessioni convivono più strettamente.
Nel 2015 il Global Terrorism Index (GTI) aveva classificato i miliziani Fulani (espressione di un’etnia nomade prevalentemente musulmana) al quarto posto tra i gruppi terroristici più letali al mondo. Le loro violenze vengono tuttavia attribuite – come detto – a conflitti etnici per la terra e quindi derubricate come scontri sociali, minimizzando la valenza religiosa.
…la realtà dell’odio religioso
I dati più recenti dell’Osservatorio per la libertà religiosa in Africa (ORFA) delineano un quadro di violenza senza precedenti nella quale l’attività dei nomadi Fulani sarebbe sottovalutata dall’opinione pubblica internazionale, che presta maggior attenzione ai gruppi più celebri come Boko Haram o l’ISWAP (Stato islamico nell’Africa occidentale).
Tra ottobre 2019 e settembre 2024, l'ORFA ha documentato 66.656 morti in Nigeria, di cui 36.056 civili. La Fulani Ethnic Militia (FEM) risulta responsabile del 47% delle uccisioni di civili, oltre cinque volte le vittime causate nell’insieme da Boko Haram e ISWAP (11%).
“Queste cifre non sono semplici astrazioni statistiche: riflettono una campagna sistematica di violenza che ha modificato radicalmente il panorama demografico della Middle Belt”, scrive l’Osservatorio.
In questa vasta area intermedia tra il nord musulmano e il sud cristiano e animista, i cristiani vengono uccisi in una proporzione cinque volte maggiore rispetto alla loro quota demografica. Un dato che non può non indicare un’azione mirata.
L’ORFA segnala che il 79% delle uccisioni avviene attraverso attacchi a comunità rurali: gruppi armati che “invadono per lo più piccoli insediamenti agricoli cristiani per uccidere, stuprare, rapire e bruciare case”.
È una metodologia che fa meno notizia degli attentati suicidi esplosivi e dei rapimenti, ma è molto più efficace nel lungo periodo in funzione del controllo territoriale e del cambiamento demografico.
Negli ultimi anni numerosi villaggi agricoli sono stati devastati da attacchi notturni costati centinaia di vite – come quello di Yewalta, tra il 13 e il 14 giugno 2025, con 150 morti.
Numeri che fanno rabbrividire
Secondo un rapporto della ONG nigeriana Intersociety – International Society for Civil Liberties and the Rule of Law, dal 2009 sono state costrette a chiudere 19.100 chiese: una media di 1.200 all’anno, 100 al mese, 3 al giorno.
Dal 2009, circa 50.000 cristiani sono stati uccisi, 30.000 solo nell’ultimo decennio. Ben 15 milioni di fedeli avrebbero abbandonato le loro case per sfuggire ai terroristi. Circa 6.000 chiese sarebbero state fisicamente requisite da guerriglieri islamisti.
Il 10 agosto Intersociety ha riferito che 7.087 cristiani sono stati massacrati nei primi 220 giorni del 2025 — una media di 32 al giorno. Dal 2009, sempre secondo l’ONG, in Nigeria sono stati uccisi 185.009 civili, tra cui 125.009 cristiani e 60.000 “musulmani liberali”. Altre 7.899 persone sarebbero state rapite “perché cristiane”.
Le ultime scosse del primo genocidio contemporaneo
Tre milioni di cristiani furono sterminati nell’attuale territorio della Turchia tra il 1915 e il 1923. È un genocidio di cui si parla pochissimo. Saremmo pronti a scommettere che i nostri giovani, per la gran parte, non ne sappiano nulla. Eppure la Svizzera è uno dei 30 Stati che riconoscono il genocidio armeno come tale (insieme, tra gli altri, all’UE, agli USA e al Vaticano). Lo conosceva bene, il genocidio degli armeni (e di altri cristiani, come vedremo), Adolf Hitler, che ad esso si ispirò espressamente per realizzare l’Olocausto degli ebrei.
Deportazioni e massacri furono compiuti in massima parte dai “Giovani Turchi”, movimento politico che dominò l’ultima fase dell’Impero ottomano sino al suo disfacimento e alla creazione dell’odierna Turchia; ai Giovani Turchi apparteneva il primo presidente della Repubblica turca, Mustafa Kemal Atatürk.
Ancor meno noto è il fatto che parallelamente al genocidio armeno lo stesso Governo ottomano attuò anche l’eliminazione cruenta di cattolici di rito latino, cristiani ortodossi, assiri, siriaci, caldei. Si calcola che a queste Chiese appartenesse circa la metà dei 3 milioni di cristiani sterminati in quel periodo, in particolare durante gli anni della Prima Guerra mondiale.
È con un’attenzione particolare a queste comunità cristiane decimate dalla follia nazionalista (se di natura razzista piuttosto che islamista è oggetto di discussione tra gli storici: si veda ad esempio qui) che una regista irachena, di famiglia musulmana sciita, Aida Schlaepfer Al Hassani, ha prodotto il documentario Souls In Transit, in programmazione giovedì 20 novembre al Cinema LUMEN (PalaCinema) di Locarno.
Il film racconta la storia del massacro attraverso testimonianze e documenti dell’epoca, ricollegandoli al presente. La regista (nota in Ticino anche perché la prima versione di Soul in Transit non fu presa in considerazione dal locale Festival del cinema, suscitando vive reazioni) è infatti convinta che “il genocidio del 1915 trova la sua tragica continuazione nei conflitti attuali”.
Armeni, una storia di ingiustizie
Il popolo armeno, anche dopo il genocidio (furono almeno 1,5 milioni le vittime dell’Olocausto armeno tra il 1915 e il 1923), ha conosciuto una storia intessuta di sofferenza, minacce geopolitiche e silenzio da parte della comunità internazionale. Ve ne abbiamo parlato più volte nel Federalista (in particolare qui e, per la penna di Renato Farina, qui).
Nel territorio del piccolo Stato armeno, tra gli altipiani del Caucaso meridionale, vivono oggi 3 milioni di abitanti, già soggetti all’URSS tra il 1920 e il 1991 e in seguito costantemente minacciati dalle mire annessioniste dell’Azerbaigian, sostenuto dalla Turchia. Il 60% di essi è composto da eredi di vittime o sopravvissuti del genocidio.
Al centro delle guerre tra i due Stati post sovietici, Armenia e Azerbaigian, vi è la regione del Nagorno Karabakh, epicentro dell’antichissima cultura armena. Un video di buona divulgazione è stato recentemente messo in rete da tre giovani reporter italiani sotto l’etichetta Nova Lectio: “L’Armenia è in pericolo, ma il mondo resta a guardare”.
La ricostruzione, dalle origini di questa prima nazione cristiana della storia fino alle guerre e alle umiliazioni recenti (il Nagorno Karabakh, o Artsakh, ripulito dagli armeni è attualmente occupato dagli azeri), si ferma prima dell’ultimo capitolo: il premier armeno Pashinyan ha accettato una “pace” dettata dal potente leader azero Aliyev, con una serie di concessioni tra le quali spicca il riconoscimento del Nagorno Karabakh quale territorio azero.
Tra coloro che “restano a guardare” si segnala in particolare il nuovo padrone del mondo Donald Trump (ma stupisce anche il silenzio, finora, del Vaticano di papa Leone).