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20.11.2017 - 18:490
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

No Billag e RSI: Marco Romano apre il libro. "L'iniziativa è una follia: voto "no" e combatterò per farla bocciare (anche se a Comano giocano a freccette con la mia faccia). Io uomo dei media privati e di Tito Tettamanti? Solo illazioni e cattiverie per s

Intervista al Consigliere nazionale PPD che rompe il silenzio sul voto del 4 marzo e sui suoi rapporti con la radiotelevisione pubblica: "Oggi ogni critica, e ogni domanda scomoda, vengono rispedite al mittente con quella che io chiamo la teoria dei tre punti. Se l'iniziativa dovesse passare solo in Ticino sarebbe un autogol, una vittoria avvelenata per il nostro Cantone..."

di Andrea Leoni


MENDRISIO - Marco Romano parte in quinta, senza neppure bisogno di una domanda per accendere il motore. E dice tutto d’un fiato: “La No Billag doveva essere l’occasione per discutere del servizio pubblico radiotelevisivo nella Svizzera di oggi, alla luce degli sviluppi tecnologici, dell’attuale situazione della SSR e del panorama mediatico del nostro Paese. Invece la radiotelevisione pubblica si è chiusa a riccio, separando chi li difende, i buoni, da chi sostiene l’iniziativa, i cattivi. In questo modo è stata preclusa ogni forma di dibattito. E lo dico essendo tra le fila dei buoni, perché quanto propone la No Billag è una follia totale. Impedire qualsiasi sovvenzione diretta attraverso il canone, non ha infatti nulla a che vedere con la cultura del nostro Paese. Qui si propone di azzerare tutto e questa non è una soluzione. In Svizzera se vogliamo coltivare le differenze, il plurilinguismo e la democrazia diretta, abbiamo bisogno di una piattaforma mediatica pubblica. Per questo voterò no e mi batterò affinché l'iniziativa venga bocciata”.

 

A questo punto riusciamo a piazzare la prima domanda. In un post pubblicato recentemente su Facebook, si era sfogato con Comano annunciando che presto avrebbe aperto il libro. Lo apriamo? Che c’è scritto dentro?

“Ci sono spunti e appunti. Di ieri e di oggi. Nel periodo 2007-20011, sono stato infatti membro del Consiglio regionale della CORSI. E già allora mi permettevo di segnalare trasmissioni in cui mi sembrava fosse venuto meno il principio di equidistanza. Oppure giornalisti che avevano un atteggiamento un po’ di parte. Non erano solo osservazioni mie ma segnalazioni che, come politico, mi arrivavano dai cittadini. Tuttavia, ogni critica, veniva sistematicamente respinta dall’azienda - allora diretta da Dino Balestra e con Edy Salmina come capo dell’informazione - quasi come fosse un atto di lesa maestà. Con l’avvento di Maurizio Canetta e Reto Ceschi questo approccio inizialmente è cambiato in positivo. C’era molta più disponibilità al dialogo. Paradossalmente, però, con l’arrivo della No Billag, si è avviato un lento ma inesorabile processo di chiusura, pressoché totale. Oggi ogni critica, e ogni domanda scomoda, vengono rispedite al mittente con quella che io chiamo la teoria dei tre punti”.

 

Cioè?

“Autonomia redazionale, libertà del giornalista, guardare il complesso e non il dettaglio. Questi tre punti sono assolutamente condivisibili ma non permettono mai di arrivare a una risposta di merito. E così si creano situazioni paradossali. Ad esempio durante le sessioni del Parlamento federale quando, guardando la RSI, sembra che noi deputati ticinesi invece che essere a Berna siamo in vacanza alle Hawaii…”

 

Ma questa critica è velata da un conflitto di interesse. Lei, infatti, come i suoi colleghi, cerca giustamente visibilità. E quando non vi viene data vi arrabbiate.

“Non è vero. Non è assolutamente un caso personale. Non mi sento tagliato fuori. Però per la RSI ci sono deputati di serie a e di serie b. E lo si nota soprattutto quando magari sei relatore di un messaggio, quindi rappresenti la maggioranza di una commissione, e pur di non farti passare intervistano il deputato dell’Appenzello o del Canton Vaud. Ma penso che per i ticinesi - esattamente come per romandi e per gli svizzeri tedeschi - quando si presenta l’occasione istituzionale, sia più interessante sapere cosa fanno a Berna i deputati del loro Cantone. Neppure su questo aspetto però c’è possibilità di confronto: si cala la teoria dei tre punti e il discorso si chiude. Anche perché chi fa politica viene sempre percepito come quello che è nel torto, mentre chi lavora alla RSI come qualcuno che viene offeso. E le persone che, come il sottoscritto, nel corso degli anni hanno espresso delle critiche, sono state marginalizzate. Per paradosso, invece, altri politici che hanno utilizzato metodi poco ortodossi - magari minacciando di non partecipare più alle trasmissioni - sono stati immediatamente ricevuti e mandati in onda. Credo che sia un modo di agire poco coerente. Detto questo io non utilizzerò mai metodi scorretti come il ricatto. Anche se purtroppo sembra che a Comano portino a maggiori risultati”.

 

Ma quindi, mi faccia capire, pensa che la RSI vi oscuri apposta mentre siete a Berna?

“Non lo so. Non capisco quale sia il motivo o la visione dietro a determinate scelte. È ormai qualche tempo che è difficile mantenere qualsiasi rapporto con la RSI. Non ci sono risposte oggettive, c’è sempre una scusa e mai l’ammissione di un errore…”.

 


Che aria sente in Ticino rispetto alla votazione?

“Secondo me c’è un attaccamento viscerale alla RSI da parte dei ticinesi. Lo dimostra il dibattito in corso. Quando tutti parlano di te, significa comunque che tu sei importante per la gente. Ma questo attaccamento la RSI dovrebbe riuscire a coniugarlo in maniera positiva. Dovrebbe fare tesoro di questa attenzione, scoprendo la capacità di autocritica, adattandosi al panorama mediatico cantonale e ai nuovi metodi di fruizione dei contenuti da parte del pubblico. Invece, ciò che sta emergendo, è la solita tesi secondo la quale loro sono gli unici detentori della verità e gli unici capaci di fare informazione di qualità in questo Cantone. Non è vero”.

 

Un problema di arroganza quindi?

“Di supponenza direi….ma anche di incapacità di relazionarsi con il privato. Loro hanno una posizione predominante perché sono finanziati in maniera importantissima dal canone, anche rispetto alle radio e alle tv private che ne ricevono una piccola parte. Si parla tanto della qualità, ma questa è possibile grazie anche alla sproporzione di mezzi rispetto agli altri. Non è una competizione alla pari, dove vince il più bravo. In questo senso occorre avere maggiore rispetto nei confronti delle altre realtà e anche verso quei i politici che avanzano delle critiche. A Comano invece immagino che giochino a freccette con la mia immagine. Anche perché faccio parte dell’associazione Aktion Medienfreiheit….”

 

Ecco, appunto. Lei, effettivamente, a Comano non è visto benissimo. Soprattutto per due fattori. Il primo è quest’associazione, presieduta da Natalie Rickli, deputata UDC, promotrice della No Billag e attiva professionalmente nei media privati. Il secondo motivo è quella di essere considerato un uomo di Tito Tettamanti. Insomma, lei viene vissuto come quello che fa il doppio gioco. Da un lato dice di votare “no” ma dall’altro vuole smantellare il servizio pubblico a vantaggio dei privati. Cosa risponde?
“Quando si viene eletti a Berna si aderisce alle piattaforme che ci sono per discutere dei temi ai quali si è maggiormente interessati. Aktion Medienfreiheit è una di queste piattaforme e si occupa di politica mediatica. Tutto qui. Si chiama Aktion Medienfreiheit e non “associazione Natalie Rickli". Lei ha interessi professionali nei media privati, io nessuno. Questo gremio non ha mai preso posizione a favore della No Billag, non esiste un solo comunicato. E la maggioranza del Comitato è nettamente contrario all’iniziativa. Ma a Comano questa associazione non piace e quindi chiunque ne faccia parte deve essere etichettato come “il cattivo”. Sottolineo che nessuno alla RSI si è mai degnato di chiedermi i motivi della mia adesione ad Aktion Medienfreiheit o di dibattere le posizioni che l’associazione ha preso. Si è preferito alimentare le illazioni”.

 

E Tettamanti?

“Fortunatamente, credendo nella politica di milizia, sono dipendente del gruppo Fidinam. Un gruppo che il signor Tettamanti ha fondato ma in cui oggi non ricopre nessun ruolo a livello operativo. Mi capita semplicemente di incontrarlo qualche volta nel corso dell’anno. Come deputato basta vedere i miei voti in Parlamento, per capire come la mia linea politica non sia sovrapponibile a quella del signor Tettamanti. Cito solo un esempio tra i molti: lui era contrario alla riforma energetica e io invece l’ho sostenuta anche in votazione popolare”.

 

Quindi tutte cattiverie?

“Sì cattiverie, illazioni, alimentate ad arte solo per screditare chi ha un’opinione critica verso la RSI”

 

Veniamo a due obiezioni di fondo che vengono avanzate dai sostenitori dell’iniziativa, ma anche da alcuni contrari. Canone troppo caro e la RSI come una casta di privilegiati. Cosa risponde?

“Il canone intanto è stato abbassato grazie a una decisione del Parlamento, che Doris Leuthard ha saputo abilmente trasformare nella mossa politica di “un franco al giorno”. Ritengo che 365 franchi siano una cifra accettabile e anche necessaria per garantire alla Svizzera una piattaforma mediatica che rispetti il plurilinguismo. Dopodiché come tutte le aziende, comprese quelle pubbliche, anche la SSR deve entrare nell’ottica di avere come obbiettivo quello di costare il meno possibile all’utente, senza rinunciare ai suoi servizi di base. Ma oggi questo concetto che vale per tutti, nella radiotelevisione pubblica viene vissuto come un’offesa. Detto questo trovo un po’ gratuito parlare di casta, di sovrastrutture e di privilegi. Io non mi permetto di esprimere simili giudizi. A mio avviso il punto è un altro: laddove è possibile la SSR deve dismettere alcuni servizi, lasciando un po’ più spazio ai privati”.

 

Ad esempio?


 “È un discorso che vale soprattutto per la Svizzera tedesca. Laddove il mercato è più grande, la SSR dovrebbe lasciar più margine alle altre realtà. Al contrario, dove è più piccolo, come in Ticino, la RSI deve poter mantenere un peso importante. Nel concreto di proposte ce ne sono tante. Si pensi alle radio, anche nel nostro Cantone. Bisogna mantenere l’assetto attuale, oppure si potrebbero fondere Rete Uno e Rete 3, considerando che ci anche altre emittenti fuori da Comano che si occupano, e bene, di informazione e di intrattenimento? Un altro esempio è il web. In Ticino abbiamo un mercato molto denso in questo settore, è giusto che RSI.ch si metta in concorrenza con gli altri media sul flusso delle notizie?”

 


Qualsiasi persona del settore le risponderebbe che se c’è un segmento in cui qualunque azienda mediatica deve investire, è proprio il web. Perché la RSI dovrebbe ritirarsi?

“No, ma non dico assolutamente che non devono più investire sul web. Dico che dovrebbero farlo in maniera diversa. Loro hanno dei prodotti audiovisivi di immenso valore e dovrebbero puntare prevalentemente su quelli. Mi chiedo che senso ha avere una redazione news per il web che pubblica l’incidente di Corippo, andando a fare concorrenza a tutti agli altri media online che non godono dei vantaggi della RSI”.

 

Lei dice che la SSR dovrebbe dismettere parte dei suoi servizi per lasciare maggiore spazio ai privati. Ma perché dovrebbe farlo? 


“Per il pluralismo. Per ragioni economiche. E perché in questo modo altre attività imprenditoriali potrebbero svilupparsi. E non da ultimo per una sana dinamica di competizione”.

 

Se l’iniziativa dovesse essere accettata la RSI chiuderà?

“Dovesse accadere, cosa che assolutamente non mi auguro, si dovrà ripartire da zero. Inevitabilmente nascerebbe qualcosa di piccolo, di molto centralizzato in Svizzera interna, di profondamente sbagliato. Di sicuro non esisterebbe più la RSI nei termini in cui la conosciamo oggi”.

 

E se passasse solo a livello ticinese?

“Consiglio ai ticinesi di evitare assolutamente questa situazione. Oggi paghiamo il 4% e riceviamo il 21% del canone. Se la No Billag fosse accolta in Ticino, sarebbe immediata la spinta dalla Svizzera tedesca e dalla Romandia per taligare la chiave di riparto al nostro Cantone. Sarebbe un autogol. Una vittoria avvelenata”.

 

Infine. Alcuni teorizzano che la direzione della RSI, per convincere gli indecisi, dovrebbe presentare un piano prima del 4 marzo, per dimostrare concretamente la volontà di cambiare. Lei cosa ne pensa?

“È tardi. Il tempo è scaduto. Sono contrario alla No Billag anche perché spegne qualsiasi dibattito in questo senso. Se infatti il “no” avrà successo, come auspico, la SSR e la RSI avranno vinto e ogni discorso sul servizio pubblico potrebbe rimanere tabù per i prossimi anni. Mi auguro tuttavia che ciò non accada. Quindi ora impegniamoci a bocciare l’iniziativa e successivamente proveremo a tornare a parlare di come si può riformare la radiotelevisione pubblica. Ma la campagna è troppo calda oggi come oggi per affrontare altre questioni. Non è il momento di fare promesse”.

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