POLITICA E POTERE
Il tetto che scotta
Le cinque domande più importanti e le risposte più urgenti che si attendono dalla magistratura sulla demolizione dell'ex Macello

di Andrea Leoni

Il Municipio di Lugano ha ufficializzato ieri ciò che da qualche giorno aveva fatto filtrare sulla stampa: a noi la polizia aveva chiesto l’autorizzazione “solo” per abbattere il tetto dell’ex Macello. Il primo giornale a riportare l’indiscrezione, tra le righe di una cronaca, è stata La Regione, venerdì 4 giugno (a sei giorni dalla demolizione avvenuta nella notte tra sabato 29 maggio e domenica 30 giugno e il giorno dopo la riunione fiume dell’Esecutivo al termine della quale era stato indetto il silenzio stampa). Citiamo: “Da nostre informazioni, lo scenario prospettato sabato sera a chi poi ha dato il via libera, non sarebbe stato quello di una demolizione completa di quella parte dello stabile”. Anche a noi era arrivato lo stesso spiffero in quelle ore - soprattutto dal sottobosco partitico - ma non riuscendo a verificarne l’attendibilità, avevamo congelato la notizia. Notizia che ha poi ripreso quota e sostanza nei giorni successi su diversi media, fino al comunicato di ieri dell’Esercutivo che l’ha confermata nero su bianco. Questo per dire - al di là della valutazione di merito - che non è stata una trovata delle ultime 48 ore.

“L’effetto che fa” sull’opinione pubblica, bisogna dirlo, non sembra essere stato dei migliori. A pesare sono soprattutto le tempistiche e le dichiarazioni - un po’ confuse, un po’ fumose e un po’ contraddittorie - rese dal Municipio nella conferenza stampa all’indomani dell’operazione di polizia, domenica 30 giugno. La domanda, più che legittima, che tutti si sono fatti in questo ore è perché l’Esecutivo abbia atteso due settimane per rendere pubblico un passaggio così importante e delicato della vicenda. Perché non dirlo subito, insomma, già durante quell’incontro domenicale con i giornalisti. La risposta dei municipali è che si voleva prima cercare un chiarimento con la polizia. Confronto resosi impossibile per via dell’apertura di un’inchiesta penale che ha confinato nel mutismo le forze dell’ordine comunali e cantonali. Di qui la decisione di “saltare” il passaggio e rivolgersi direttamente all’opinione pubblica.

Questa scelta, tuttavia, più che chiarire politicamente le responsabilità dell’Esecutivo, pare aver ottenuto l’effetto opposto, intorbidendo ulteriormente le acque e iniettato benzina nel motore delle speculazioni. I più magnanimi hanno accresciuto il giudizio negativo circa l’improvvisazione con cui il Municipio ha gestito la faccenda. I più maliziosi propugnano la tesi della versione concordata, della scusa perfetta, della balla colossale. I più arrabbiati denunciano un goffo tentativo di scarica barile. Il tema si è quindi spostato su un terreno scivoloso che mina la fiducia verso le istituzioni, nell’eterno gioco di specchi tra ciò che è vero e ciò che sembra. Tra fatti e percezioni. Detta fuori dai denti: per molti quella del Municipio è una verità che sembra tanto una bugia.

Noi che però siamo sinceri garantisti, crediamo nella presunzione d’innocenza e non pensiamo che il sospetto sia l’anticamera della verità ma del Khomeinismo (Giovanni Falcone), attendiamo con fiducia i riscontri della magistratura - che auspichiamo senza sconti per nessuno - e fintanto che non sarà smentita da prove contrarie, crediamo alla buonafede all’Esecutivo, continuando a farci domande ed analizzare criticamente i fatti: uno per uno e uno alla volta. Anche se, giunti a questo punto, sarebbe stato forse più saggio per il Municipio raccontare prima al Procuratore la propria esposizione degli eventi: quantomeno la "nuova" versione, e le tempistiche sfalsate, sarebbero state giustificate con l'iter penale. Questo anche alla luce della (molto opportuna) inchiesta interna ordinata dall’Esecutivo stesso. L’impressione che si ricava in filigrana dalla successione di queste ultime mosse, pare suggerire come i rapporti tra autorità politica e polizia siano ai minimi storici. E forse il nocciolo della questione è proprio questo. 

Ciò detto, a mente nostra, vi sono passaggi più rilevanti da chiarire, a monte dell’ultima comunicazione tra polizia e Municipio, legata all’abbattimento dell’ex Macello. Innanzitutto vi è l’aspetto legato allo scenario della demolizione: da quanto tempo la polizia lo aveva immaginato e preparato e perché lo ha taciuto all’autorità politica, secondo la versione del Municipio, fino alla sera di sabato 29 maggio? Due: quando sono state allertate le imprese edilizie e dunque quando si è messa in moto il processo di demolizione? Tre: va chiarita con la massima precisione la rivelazione di UNIA, circa il fatto che una delle tre ditte edili coinvolte avrebbe ricevuto un ordine d’intervento alle 17.50 di sabato da parte del vicecomandante della polizia di Lugano (la Polcomunale ha ripetutamente e categoricamente smentito tale circostanza), cioè prima dell’occupazione dell’ex Vanoni, indicato dal Municipio come la goccia che ha innescato l’operazione di sgombero. Se ciò fosse avvenuto - senza una spiegazione più che plausibile - sarebbe davvero molto grave. Quattro: dai numerosi filmati della demolizione, dalla dinamica dell’intervento e dal tipo di macchinari impiegati, risulta credibile che inizialmente si sia voluto abbattere solo il tetto? Cinque: tutte le persone di buon senso si augurano, per gli operai e i cittadini, che l’amianto ritrovato nelle macerie non abbia messo in pericolo la salute di nessuno, ma questo serio rischio, piuttosto prevedibile, è stato valutato prima dell’intervento? Da chi? E se non è stato fatto: perché? Questo, è bene ricordarlo, senza tener conto dell’illecito già ammesso dal Municipio per quanto attiene la mancata licenza edilizia per la demolizione (“procederemo in sanatoria”) e la violazione della legge che impone a tutti i cittadini, nel caso di lavori edili in edifici di una certa età, di allestire una perizia con una ditta specializzata per ricercare la presenza di eternit. 

Questi, a nostro avviso, sono le domande più importanti e le risposte più urgenti, per la credibilità delle istituzioni. Attenzione: è probabile che alcune circostanze non abbiano alcuna rilevanza penale, ciò tuttavia non significa che non l’abbiano dal profilo politico (e per l’Esecutivo cantonale, e per quello comunale e per la polizia). Una volta appurati i fatti, e non prima, anche l’autorità politica, attraverso soprattutto la vigilanza che devono esercitare i legislativi, dovrà verificare senza sconti il proprio operato.   

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