POLITICA E POTERE
Il Governo è ancora credibile? Tre domande a Fulvio Pelli
"Si è instaurata la prassi per cui tu non critichi me così io non critico te, che fa crescere di numero le amministrazioni e con loro anche molte regole superflue che ne alimentano l’importanza"
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Fulvio Pelli, dopo l’approvazione delle iniziative sui premi di cassa malati i giudizi sul Governo sono stati pesanti: una sorta di bocciatura su tutta la linea. Secondo lei questo Esecutivo è ancora credibile?
Il nostro governo cantonale soffre delle medesime debolezze di cui soffrono un po’ tutti i governi delle democrazie occidentali.
Lo strumentario giuridico di cui dispongono impedisce loro di prendere decisioni tempestive, che invece, in una società in cui la comunicazione svolge un ruolo sempre più importante, dovrebbero essere quasi immediate. Ce lo insegna Trump, che ha praticamente abolito i suoi due rami del Parlamento per sostituirli con dei decreti esecutivi, probabilmente illegali, ma che dipendono solo da lui e hanno efficacia immediata. Naturalmente, il margine di errore delle sue decisioni è altissimo e i diritti delle persone colpite sono quasi annullati, ma a molti piace così. Un uomo solo al comando che decide tutto, circondato soprattutto da altri uomini di servizio. Eliminabili se non ubbidiscono. Poche donne, pure loro ubbidienti. Evidentemente non è un quadro democratico.
Il nostro governo soffre inoltre di debolezze sue: sono scomparse le “scuole” di partito e con esse anche la capacità di impostare confronti costruttivi; si è instaurata la prassi per cui tu non critichi me così io non critico te, che fa crescere di numero le amministrazioni e con loro anche molte regole superflue che ne alimentano l’importanza;
manca quel coraggio che in tempi difficili sarebbe necessario; regna la tendenza a rispondere ai problemi rinviando le responsabilità altrove, come nella sanità, con la sua del tutto inutile pseudo pianificazione, il conseguente stato di sovraofferta sia ospedaliera che di servizi ambulatoriali e il suo sistema assicurativo che fa del sussidio l’unico strumento a disposizione dei cantoni".

Qual è a suo parere il principale difetto del Governo degli ultimi anni, e auspica che le prossime elezioni portino un rinnovamento dei consiglieri di Stato?
"Quando io ero un giovane politico ho vissuto momenti di crisi finanziaria parificabili a quelli attuali. Responsabile delle finanze era Claudio Generali che, da buon comunicatore quale era, inventò “l’effetto zattera”, nel senso che chi non dava una mano, vista l’instabilità, faceva cadere in acqua ed annegare tutti. In contemporanea agiva, in un quadro nel quale chi non collaborava doveva giustificarsi e non poteva invece profilarsi come oggi un po’ tutti i partiti cercano di fare, con i loro soliti slogan e disinteressandosi delle conseguenze per gli enti pubblici.
Oggi persone alla “Generali”, con dietro un’esperienza professionale e di comando che garantiscono capacità e credibilità, non sembrano più esistere. Se ce ne sono ancora, si annuncino per le prossime elezioni! La mia esperienza mi dice che probabilmente anche per loro un’avventura in politica di cinque o poco più anni sarebbe molto interessante. E i partiti li cerchino, in quei campi professionali in cui sono attive e attivi, perché i personaggi di quel tipo ci sono sicuramente ancora, anche se nascosti".


Ora si tratta di applicare le decisioni popolari sui premi. Il Governo ritiene che per implementarle sia necessario agire sul fronte delle uscite e delle entrate. È d’accordo? E quando dovrebbero entrare in vigore a suo avviso?
"La decisione, pur se profondamente sbagliata, poiché peserà soprattutto sul ceto medio ticinese, già poco rispettato, va implementata in tempi ragionevoli. È anche un’occasione unica per analizzare le dimensioni delle strutture dello Stato ticinese e individuare spazi di risparmio, che ci sono e lo sappiamo tutti.
Per restare nel campo della sanità, posso indicare un esempio. Quando è stato creato l’Ente Ospedaliero, ero in Gran Consiglio. È stata un’esperienza importante che doveva permettere una razionalizzazione del sistema, che è la prima fonte di costo della salute. La razionalizzazione non è intervenuta e nessuno sembra più pensare di fare quello che allora si voleva. Ci vorrebbero alcuni cambiamenti fondamentali.
Il primo è che l’ente pubblico riduca il numero delle sue strutture e le imposti in modo tale che il numero di casi simili trattati in un singolo ospedale sia il più alto possibile, perché è solo così che la capacità medica e quindi la qualità può crescere, concentrando e diminuendo anche i costi, grazie all’eliminazione dei troppi doppioni. Quindi si faccia un ospedale cantonale solo, grande tre o quattro volte quelli regionali attuali, al quale affidare tutta la medicina ospedaliera di base, e lo si metta vicino a una stazione ferroviaria, e non in campagna su terreni adatti ad altro, così potranno accedervi tutti con il treno in poco tempo. Le altre strutture dell’Ente Ospedaliero andranno poi ripensate in funzione complementare a quella cantonale e in parte chiuse.
Stabilisca poi lo Stato, quale seconda misura, delle regole di finanziamento che premino le strutture private complementari e non alternative a quelle pubbliche principali, per evitare da una parte doppioni e dall’altra il rischio di quel numero insufficiente di casi che constatiamo oggi.
E, terza misura, stabilisca il Cantone regole che limitino il proliferare delle strutture ambulatorie: ne ha la competenza.
Il resto lo deve fare la politica federale, ponendo fine soprattutto a quel male inguaribile che è la garanzia di pagamento di tutte le prestazioni sanitarie chiamata “obbligo di contrarre”, principio del tutto illiberale e fonte principale del proliferare delle strutture.
Transitoriamente, perché ci vorrà qualche anno, grazie a un serio progetto cantonale di ristrutturazione delle strutture pubbliche, forse la disponibilità a pagare qualcosa di più allo Stato potrebbe anche salire, soprattutto se pensata in una forma transitoria – ad esempio solo per due legislature – fino al risanamento del sistema sanitario ticinese".


 

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