SALUTE E SANITà
Premi di cassa malati, Franco Cavalli a muso duro: “Bisognerà arrivare ai forconi?”
“L’ultima stangata è la goccia che fa traboccare il vaso, e il teatrino politico stucchevole ma anche pericoloso. La soluzione è lì da vedere: tre svizzeri su quattro sono favorevoli alla creazione di una cassa malati unica"
TiPress/Alessandro Crinari
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di Franco Cavalli 

(tratto dal Quaderno di ForumAlternativo)

La nuova stangata sui premi di cassa malati è ormai servita: al momento di buttar giù queste righe, per il Ticino l’unico dubbio che rimane è quello a sapere se anche stavolta si supererà la soglia del 10% o se ci si fermerà un pochino al di sotto. (ndr, martedì è stato effettivamente annunciato un aumento del 10,5% per il 2024 nel nostro Cantone, LEGGI QUI).

È a ogni modo chiaro che per buona parte della popolazione la situazione è ormai diventata assolutamente insostenibile: questi premi sono ora l’imposta principale e sempre più spesso rappresentano una spesa superiore a quanto una famiglia deve calcolare per l’affitto mensile. Per i lavoratori un salasso come quello annunciato rappresenta una perdita di salario dell’1-2%, almeno: di fronte a questa situazione sempre più intollerabile, sarebbe ora che i sindacati reagiscano in modo molto più risoluto di quanto abbiano fatto finora. Se il padronato annunciasse una diminuzione del salario del 2%, scoppierebbe probabilmente il finimondo: perché non reagire allo stesso modo di fronte allo stesso salasso imposto con i premi delle casse malati?

Teatrino politico stucchevole, ma ora pericoloso

I soliti politici liberali e PPDini (termine che da noi è più appropriato che non quello di aderenti al Centro) hanno già cominciato a servirci tanto bla bla, parecchie lacrime di coccodrillo e gli usuali predicozzi, che tendono a dare la colpa soprattutto ai pazienti che “vanno troppo spesso dal medico”. Questo teatrino politico è perlomeno stucchevole, se ci ricordiamo che il mercato sanitario non è retto dalla domanda, bensì soprattutto dall’offerta, che è gestita e spesso manipolata dai prestatori d’opera. Il ruolo dei pazienti (che rappresentano la domanda) è quindi al massimo marginale. Al solito inconcludente bla bla, stavolta si è aggiunta però una variante molto pericolosa. Da sempre l’UDC si batte per la diminuzione delle prestazioni che le casse malati debbono obbligatoriamente coprire e quindi per spostare (almeno per coloro che non hanno un’assicurazione complementare) dalle casse malati al portafoglio dei pazienti il più gran numero possibile delle prestazioni. Stavolta ha ancora fatto di peggio.

Natalie Rickli, Consigliera di Stato responsabile della sanità per il Canton Zurigo (persona molto potente nell’UDC e che avrebbe facilmente potuto sostituire Ueli Maurer in Consiglio Federale) ha proposto l’abolizione dell’obbligatorietà della cassa malati. Si tratterebbe, cioè, di tornare alla situazione che c’era in gran parte della Svizzera (non in Ticino, dove l’obbligatorietà era tale già dal 1978) di 30 anni fa, con dei costi però che nel frattempo sono esplosi. Avremmo quindi un sistema all’americana, dove una parte importante della popolazione non potrebbe più permettersi un’assicurazione malattia e, come avviene oltre Atlantico, in caso di gravi infermità è poi costretta ad indebitarsi sino al collo o a rinunciare ad ogni trattamento o spesso addirittura a suicidarsi, per evitare problemi finanziari insolubili alla famiglia. Quella di Rickli (e difficilmente ha agito senza la benedizione del padrino Blocher) è quindi una proposta semplicemente demenziale. Certo: l’evoluzione demografica ed i progressi della medicina moderna comportano un aumento dei costi, ma non nelle percentuali che ci vengono sbandierate ogni anno qui da noi. Difatti, se confrontiamo la nostra situazione con quella che si registra in quei paesi - ad esempio in quelli scandinavi - in grado di controllare l’offerta, ci si accorge subito che noi siamo messi molto peggio.

Le vere ragioni dell’aumento dei costi

La ragione principale dell’esplosione dei costi è legata all’impossibilità per lo Stato di controllare l’offerta ambulatoriale, che non solo aumenta costantemente più di quella stazionaria, ma che, com’è noto, contrariamente a quest’ultima (finanziata per più del 50% dai cantoni), viene coperta totalmente dalle casse malati. Per risparmiare, i cantoni spingono inoltre gli ospedali a trasformare il più gran numero possibile di prestazioni da stazionarie ad ambulatoriali: questa è la ragione per cui di solito l’aumento dei premi è (sovente molto) superiore a quello dei costi globali. I costi stazionari (cioè, quando i pazienti sono ospedalizzati) sono globalmente invece sotto controllo, grazie soprattutto alle pianificazioni ospedaliere cantonali, anche se qui il Ticino fa una figura estremamente barbina.

Per il settore ambulatoriale invece vige semplicemente la libertà di mercato! Basta ricordarsi del famoso caso della radioterapia in Ticino: quando Moncucco annunciò di voler comprare un apparecchio, per far concorrenza a quanto già esisteva allo IOSI, il Consiglio di Stato disse no, perché oggettivamente non ce n’era la necessità. Moncucco vinse però il ricorso al tribunale, che statuì che siccome la radioterapia è essenzialmente un’attività ambulatoriale (anche se l’argomento non è del tutto veritiero), il Cantone non aveva nessun diritto di mettere dei limiti, perché in quel settore vige la libertà di mercato. E la lista di queste “malefatte” è quasi infinita. Basterebbe vedere poi qui da noi il proliferare senza sosta di centri medici, gestiti da capitali speculativi e nei quali, per massimizzare la cifra d’affari, il paziente viene fatto circolare a sproposito tra una mezza dozzina di specialisti. È in gran parte legata anche al settore ambulatoriale la moltiplicazione infinita di esami di laboratorio, spesso inutili, fatti solo per arrotondare i guadagni. Già il compianto Gianfranco Domenighetti aveva stimato che almeno un quarto della spesa sanitaria era rappresentata da prestazioni inutili: probabilmente adesso la percentuale è ancora superiore.

Le particolarità elvetiche

Ruth Dreifuss viene a torto considerata la madrina della LAMal, il cui padrino invece è stato Flavio Cotti: Ruth ha solo dovuto accompagnarne l’ultimissima fase (dove cambiamenti non erano più possibili) e sostenerla a nome del Consiglio Federale nella votazione popolare. Ruth, da sempre, pur sottolineandone gli aspetti positivi rispetto alla situazione precedente (obbligatorietà, premio uguale per uomini e donne, giovani e vecchi) aveva sempre sostenuto che andava migliorata. In un’intervista di poche settimane fa ha amaramente costatato che le varie revisioni invece di eliminare le pecche della LAMal, l’hanno peggiorata, liberalizzando sempre di più il sistema, che inizialmente rappresentava invece un compromesso tutto elvetico tra intervento statale e ruolo del mercato. Questo è particolarmente vero per l’ultima revisione, fortemente voluta dai partiti borghesi e dall’UDC, che ha tra l’altro introdotto il finanziamento anche delle cliniche private.

Dreifuss ha giustamente sottolineato come il sistema stia andando alla deriva perché manca un pilota (è quanto abbiamo qui descritto parlando dell’impossibilità di governare l’offerta nel settore ambulatoriale), al che l’attuale responsabile Alain Berset ha reagito in modo un po’ piccato dicendo “no, invece ci sono troppi piloti”, ciò che tra l’altro porta alle stesse conseguenze pratiche! Berset, dopo qualche iniziale timido tentativo di introdurre un controllo dell’offerta (subito bocciato da PPD, Liberali e UDC), ha fondamentalmente lasciato perdere. Nella recente intervista al Tages-Anzeiger ha praticamente confessato che non ha idea di come si possa affrontare la crisi. Quest’ultima viene da noi ulteriormente ingigantita dall’altra peculiarità elvetica: mentre altrove la sanità viene finanziata con vari sistemi, comprese le imposte, proporzionali al reddito, da noi i premi di cassa malati sono uguali per tutti. Ciò rappresenta evidentemente un enorme sgravio fiscale per il miliardario, mentre a farne le spese sono i salariati, che per l’assicurazione di base devono pagare esattamente quanto sborsa Blocher. Se ci ricordiamo che i manager strapagati delle troppe casse malati provengono tutti dai partiti borghesi e dall’UDC, allora capiamo facilmente perché questi partiti facciano di tutto per schivare l’oliva, inventandosi le soluzioni più fantasiose pur di non affrontare il vero problema.

Per vedere la soluzione, basta aprire gli occhi

E invece le soluzioni a quella che si annuncia ormai come una prossima implosione del sistema, sono lì da vedere. A livello nazionale ci vuole un severo controllo dell’offerta per eliminare non solo i mega guadagni dei monopoli farmaceutici (ricordiamoci gli studi di Public Eye che dimostrano come per molti farmaci tra i più costosi il margine di profitto è tra l’85-90%!) e di molti medici specialisti (qui spesso il guadagno annuo supera il milione), ma anche per eliminare le moltissime prestazioni inutili. Certo, compiti non facili, pensando agli enormi interessi in gioco.

Basterebbe pensare alla lobby farmaceutica, che è diventata la più potente tra tutte le lobby nel nostro Paese, in quanto già solo i due principali monopoli (Roche e Novartis) hanno dei budget annuali non molto dissimili da quello della Confederazione e con percentuali di profitto attorno al 20-25%. Ogni tentativo della sinistra, anche da parte di chi scrive, di introdurre norme che limitassero i guadagni di questi monopoli, sono state stracciate nel parlamento nazionale dalla maggioranza borghese e dall’UDC. Ed evidentemente ci vuole subito una cassa malati unica pubblica con premi proporzionali al reddito e alla sostanza. I due tentativi, simili ma non uguali, fatti negli ultimi 20 anni con le rispettive iniziative popolari portate avanti dalla Sinistra, sono stati bocciati abbastanza sonoramente in votazione popolare, grazie a un’assordante campagna a suon di decine di milioni da parte delle casse malati e dei partiti di destra.

Qualcuno forse ricorderà come in Ticino, quando si è votato l’ultima volta sulla cassa malati unica, Fulvio Pelli, che guidava la cordata che si opponeva all’iniziativa, convinse una stretta maggioranza a votare no, dicendo “è del tutto inutile, perché ormai in Parlamento abbiamo trovato la soluzione ed il problema è risolto”.

È probabile però che questa nuova stangata sui premi rappresenti ora la classica goccia che fa traboccare il vaso: un recente sondaggio indica che attualmente tre svizzeri su quattro sono favorevoli al cambiamento di sistema e alla creazione di una cassa malati unica.

Questa permetterebbe tra l’altro finalmente di avere quella trasparenza, che oggi, con le troppe casse malati e gli inciuci tra assicurazione di base e complementare, è assolutamente impossibile. E oltre a eliminare tante spese inutili (AVS e SUVA docent), permetterebbe finalmente il controllo dell’offerta.

Non c’è dubbio però che la coalizione ormai consolidata tra lobby farmaceutica, cassa malatari e partiti borghesi ben presto si scatenerà contro questo progetto. E sì che basterebbe guardare all’esempio del Canada che ha un sistema di cassa malati unica: proprio perciò spende all’incirca la metà di quanto fanno gli Stati Uniti (che hanno un sistema svizzero ancora peggiorato), pur ottenendo risultati simili e talora addirittura migliori.

Non illudiamoci però che questa dimostrazione empirica dell’utilità di una cassa malati unica possa servire a far cambiare idea a chi pensa solo ai propri, grandi profitti. E allora potrebbe darsi che a un dato momento diventi necessario minacciare l’uso dei forconi.

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