ANALISI
A cosa servono i voti dell'UDC?
Il futuro dell'alleanza con la Lega e il nodo politico che presto o tardi verrà al pettine

di Andrea Leoni

C’è un tema che presto o tardi si porrà con forza nella destra ticinese. L’alleanza tra Lega e UDC ha finora prodotto significativi risultati elettorali e in alcune votazioni popolari. La conferma dei due Consiglieri di Stato leghisti, i tre municipali e il sindacato a Lugano, l’elezione di Marco Chiesa al Consiglio degli Stati. È un’area che se unita, in salute e con i candidati giusti, vale circa il  30% di coloro che esprimono un suffragio. I rapporti di forza tra i due partner, elezione dopo elezione, si sono equilibrati. I tempi in cui l’UDC era considerato il fratello minore, o il servo sciocco dell’alleanza, appaiono ormai distanti. Con le prossime elezioni si aprirà una nuova stagione.

Si diceva che dal punto di vista elettorale - volgarmente, le cadreghe, a cui tutti i partecipanti alla contesa ambiscono - i frutti ci sono e sono di valore (al netto di un seggio al Nazionale perduto alle ultime Federali). Molto meno soddisfacenti sono invece i risultati politici dell’alleanza, soprattutto per quanto riguarda le istanze dell’UDC. Se sull’elezione di “chi” l’obbiettivo è stato raggiunto, sul “per fare cosa” c’è ancora molto da lavorare.

E qui sta il punto. Sulle politiche di sicurezza, migratorie e anti-europeiste, Lega e democentristi trovano una sintonia naturale e marciano d’amore e d’accordo, mentre non si può dire lo stesso per altre tematiche importanti. Ci riferiamo qui al ramo Esecutivo, poiché in Gran Consiglio e nelle votazioni popolari, i due partiti ritrovano - più sì, che no - una certa compattezza. È un dato di fatto, tuttavia, che i ministri o i municipali leghisti di Lugano, sono eletti su una lista unica, di cui una delle due gambe (non più stampella...) è rappresentata dagli elettori dell’UDC. Eppure molte delle proposte lanciate dal partito di Piero Marchesi non vengono sostenute in Consiglio di Stato da parte dei rappresentanti demoleghisti. O almeno non sembra.

Esempi. Abbiamo perso il conto delle iniziative fiscali depositate dal gruppo guidato da Sergio Morisoli in Parlamento. Idem per quanto attiene i risparmi. Aggiungiamo la proposta di abolire la tassa di collegamento. E per non dire della formazione: questo Governo (De Rosa a parte, che non c'era) ha sostenuto compatto la riforma  “La scuola che verrà”, poi bocciata in votazione grazie proprio a un referendum democentrista. Ora l’UDC ha presentato un nuovo pacchetto di atti parlamentari sull’istruzione obbligatoria: quale posizione assumeranno Claudio Zali e Norman Gobbi nelle discussioni governative?

Con gli esempi potremmo continuare, ma crediamo di aver dato il senso del problema. Un problema che comincia a gorgogliare nella pancia democentrista. Con qualche fondata ragione, in effetti. “Non fanno neanche finta di finire in minoranza in Governo”, si rimprovera a mezza bocca ai ministri leghisti. Manca insomma un legittimo tornaconto: se ti eleggo con i miei voti devi fare, almeno un pochino, anche la mia politica.

Da questo punto di vista sembra esserci molta più omogeneità di visione  e di programma nell’area rossoverde, anche se è più semplice perché non si può certo imputare a Manuele Bertoli di non saper ribaltare da solo una maggioranza di centrodestra, benché all'acqua di rose, che ispira buona parte dell’azione governativa.

Il tema ha due possibili soluzioni. La prima passa per l’elezione di un UDC doc in Governo, anche se Norman Gobbi viene considerato già mezzo democentrista per via della sua iscrizione al partito nazionale. Le chiacchiere da lavanderia indicano Claudio Zali come possibile partente alla fine della legislatura. Su questo punto ci permettiamo di suggerire grande prudenza sulle speculazioni. Ove mai Zali dovesse lasciare, ciò che i democentristi non accetterebbero è un arrocco prima della fine della legislatura con il subentrante leghista. Un’ipotesi che però a noi appare del tutto improbabile, considerando che il Direttore del Territorio sarà l’ultimo presidente del quadriennio.

La seconda ipotesi passa invece da una maggiore condivisione programmatica. In soldoni che i Consiglieri di Stato leghisti si facciano carico delle proposte dell’UDC. Anche da questo punto di vista la strada è in salita, perché l’attuale Esecutivo è iper-dipartimentalista: ognuno porta avanti i suoi dossier, senza rompere le balle agli altri. Un modus operandi che lo ha reso un Governo granitico, ulteriormente cementato dall’esperienza, umana forse ancora più che politica, della pandemia. Ognuno giudichi se è un bene o un male.

Ma il nodo prima o poi verrà al pettine. Intanto fatelo al fazzoletto.      

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