di Gerardo Rigozzi*
Si sa che l’elettorato predilige sostenere questo o quel candidato, anziché manifestare una netta adesione a un partito. Dopo l’introduzione della scheda senza intestazione, questo fenomeno è in crescita e si prevede addirittura un ulteriore incremento dopo un quadrienno politico non proprio esaltante.
Gli elettori fanno bene a sostenere quei candidati verso cui provano stima e considerazione. Pur ammettendo che i partiti avvertono una certa crisi, va comunque detto che questa opzione individuale appare piuttosto riduttiva per almeno tre buone ragioni. La prima è che ogni forza politica ha dei valori di riferimento che appartengono alla loro storia, anche se i candidati li interpretano a modo loro. Valori che certamente si sono annacquati in una società sempre più “liquida” e disorientata, ma che comunque esistono ancora e si differenziano a seconda delle aree politiche. La seconda ragione è dettata dalle circostanze: ogni candidato, una volta eletto, stringe alleanze a geometria variabile a seconda dei temi in discussione. Pure i partiti sono orientati più alla ricerca di compromessi, che all’attuazione di una linea chiara e coerente. In parte è lo stesso sistema proporzionale che induce alle convergenze; ma anche la presenza di interessi trasversali gioca il suo ruolo. Rimane un terza ragione che è tutt’altro che ininfluente: qualsiasi azione politica presuppone un’organizzazione e ogni eletto può fare poco se non ha una struttura di appoggio. Fino a prova contraria un eletto, anche se di qualità, deve poter contare su un apparato di sostegno, se vuole avere l’opportunità di incidere. Piaccia o non piaccia, al momento è difficile immaginare altre organizzazioni al di fuori dei partiti che non siano gruppi di pressione.
Nessuno vuole perdere le posizioni acquisite e la conquista della maggioranza conferisce un potere in più. Ecco perché la Lega lancia strali contro il PLR, perché teme di perdere la maggioranza per il Consiglio di Stato. È una regola, questa, che vale da sempre e si configura come ricerca della supremazia. Appare quindi assai singolare che eminenti personalità del PLR invitino più o meno esplicitamente a sostenere altri partiti, in particolare quello socialista. Ciò induce a pensare che per loro è preferibile un voto tendente a frazionare l’arco politico, piuttosto che a rafforzare il proprio partito.
È del tutto evidente che se il PLR dovesse perdere la maggioranza in Gran Consiglio e mancare l’obiettivo del recupero del secondo consigliere di Stato, rimarrebbe un’anatra azzoppata. Tutto questo potrebbe anche essere un segnale di declino irreversibile del partito che ha avuto un ruolo di primo piano nel Paese; ma potrebbe anche significare una certa disaffezione di parte del suo elettorato.
In politica, sosteneva Machiavelli, il buonismo è segno di debolezza e la determinazione è quanto mai necessaria. Spetta solo ai liberali radicali decidere quale alternativa preferiscono per il proprio partito.
*Articolo pubblicato sull'ultima edizione di Opinione Liberarle