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19.04.2020 - 23:520
Aggiornamento: 23.04.2020 - 10:10

Coronavirus in Ticino: la contraddizione "impossibile" lungo la frontiera con la Lombardia

Manca ancora la consapevolezza che a comandare non siamo noi, ma il virus. Si dice: l’economia non può non ripartire. Quanta ingenuità in queste parole

di Andrea Leoni

Le domande semplici sono spesso le migliori. E allora: quale altro paese del mondo, in questo momento, avrebbe autorizzato l’accesso sul proprio territorio a migliaia di cittadini provenienti della Lombardia? Esatto, nessuno. Neppure all’interno della stessa Penisola, delle altre regioni italiane.

Fortunatamente l’Italia non corre lo stesso pericolo con il Ticino - un’altra delle regioni d’Occidente più colpite dal Covid19 - giacché i ticinesi non possono varcare il confine neppure per fare la spesa. Certo vi è da chiedersi se i sindaci delle province di confine, non abbiano il timore d’importare il virus nei loro borghi, magari finora solo sfiorati dall’epidemia, proprio attraverso i frontalieri. Senza scordarsi dei padroncini, che vengono anche dalle terre lombarde più colpite, come ad esempio la bergamasca.

Fatto sta che da lunedì mattino, migliaia di lavoratori varcheranno il confine. Che sarebbe come se un mesetto fa avessimo accolto 30’000 operai da Whuan o, in queste ore, da New York. Impossibile, vero?, in un mondo normale. Ma non qui dove, evidentemente, impossible is nothing, come diceva la pubblicità.

Ad un muratore comasco basterà quindi mettere un piede a Chiasso, per tornare a rimestare quella malta che, soltanto pochi metri più a sud, oltre la ramina, continuerà ad essere un gesto proibito. Lo stesso accadrà per l’artigiano brianzolo o il piastrellista di Varese.

È difficile tenere insieme questa contraddizione, questi due mondi che si toccano e si mescolano, ma dove si applicano regole sanitarie diverse per fronteggiare una comune epidemia. L’opinione pubblica è in ebollizione. Si teme di rivedere un film appena visto. Come all’inizio di questa brutta storia: quando tutti i carnevali oltre confine venivano cancellati e il Rabadan proseguiva in attesa dell’arrivo di miss Mondo. 

Il sindaco di Lugano Marco Borradori lo ha detto chiaramente: il rispetto delle regole sanitarie è possibile solo se c’è una grande condivisione tra i cittadini e una forte tenuta sociale. Il rischio che la popolazione non regga questa contraddizione, e allenti i comportamenti virtuosi, è grande.

D’altra parte i dati ci dicono che la curva in Ticino non è né appiattiva, con casi vicino allo 0, né stabilizzata nel tempo. In ospedale ci sono ancora 200 ricoverati, tra reparto e cure intense. Sul tavolo del Consiglio di Stato c’è un appello firmato da 80 personalità ticinesi, tra i quali una sessantina di medici, compresi professori come Cerny, direttori sanitari d’importanti istituti e il presidente dell’Ordine dei medici Franco Denti (leggi qui). In quello scritto si chiedeva al Governo di non allentare alcunché fino almeno al 4 maggio, peno correre “un rischio serio” per la salute pubblica. I ministri hanno scelto di fare diversamente.

In generale manca ancora la consapevolezza che a comandare non siamo noi, ma il virus. Noi possiamo al momento solo limitarlo, ma è lui che detta e continuerà a dettare i tempi e i modi della nostra quotidianità. Questo fino a quando la scienza non troverà soluzioni per sconfiggerlo.

Tra le frasi retoriche che in questi giorni vanno più di moda, ci sono: la gente non ce la fa più a stare in casa, oppure, l’economia non può non ripartire. Quanta ingenuità in queste parole. Quanto si avverte in queste ore il fatto che le nostre generazioni non hanno mai fatto la guerra o patito la fame. È impressionante quanto continuiamo a crederci onnipotenti, quanto siamo disabituati a non avere il pieno controllo della situazione. E quanto tempo sprechiamo in teorie e in diatribe che non tengono conto del potere del virus. 

Invece dovremmo concentrarci su ciò che possiamo fare, e non stiamo facendo, affrontando questa malattia, che ancora conosciamo poco, con grande umiltà. Accettando che ci sono scenari migliori, ma anche peggiori. Che le sorprese dei prossimi mesi potrebbero essere belle, ma anche terribili. Che dobbiamo armarci di una grande, enorme, pazienza.

Prendiamoci allora il tempo che occorre per frenare il più possibile questo Coronavirus e mettiamo in atto quelle misure necessarie per limitarlo. Non è vero, come dicono taluni, che l'unica prospettiva è quella di abituarci a un regime di stop and go, a piccoli grandi lockdown spalmati sui mesi. È al contrario quella che dobbiamo evitare in ogni modo. E se sapremo muoverci con pazienza, scrupolo e tecnologia, anche noi, come altri Paesi, potremo provare a tenere a bada il mostro.

Ma per farlo non ci sono scorciatoie. Solo tanto cammino e tanti sacrifici. Come e più di quelli dell’ultimo mese, che non vorremmo gettare al vento per la troppa fretta di chi crede di comandare ancora e invece non comanda più.   

Per questo abbiamo apprezzato l’intervista di Raffaele De Rosa venerdì a TeleTicino. Finalmente abbiamo visto il ministro della sanità esercitare pubblicamente il suo ruolo: ovvero dirci cosa pensa della crisi e con quali strumenti intende fronteggiarla.

Il direttore del DSS ha detto che il Governo intende mantenere la finestra di crisi, continuando quindi il processo delle riaperture con un passo diverso da quello del resto della Svizzera. Bene, ma solo a patto che venga finalmente affrontato con la dovuta chiarezza il tema Lombardia (frontalieri e padroncini). Altrimenti, questa finestra, resta solo disegnata sulla carta, come abbiamo visto con le industrie e i cantieri.

Secondariamente De Rosa si è detto “sconcertato” dalle parole di Daniel Koch, sul fatto che i bambini non trasmettano il virus e dunque si può procedere senza riserve all’apertura delle scuole. Un messaggio che rischiava d’incenerire un mese di campagna informativa sulla necessità della separazione intergenerazionale.

Infine, il ministro PPD, ha chiarito che in Ticino ci si sta organizzando per produrre mascherine, in modo tale, ci auguriamo, che possano essere fortemente raccomandate su larga scala.

Nelle parole di De Rosa, comincia insomma a intravvedersi un piano d’azione per accompagnare le riaperture con un minimo di sicurezza. Manca ancora il capitolo fondamentale dedicato ai test e alla capacità d’isolare tempestivamente i nuovi contagiati e i loro contatti più prossimi. Manca soprattutto la simmetria tra noi e la Lombardia e tra le riaperture e queste fondamentali misure accompagnatorie. Speriamo di recuperare al più presto. Prima che sia di nuovo troppo tardi.

 

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