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Cronaca
08.12.2018 - 15:260

"Pensate a quanto è stupido usare uno spray urticante in una discoteca". Follia, ad Ancona sei morti

Aspettavano un concerto di Sfera Ebbasta, sono morti schiacciati: i feriti sono un centinaio, di cui dieci gravi. Un padre: "in quella discoteca era come essere in un allevamento di maiali. Ma se non ci andavi eri lo sfigato"

ANCONA – Cinque giovanissimi morti, con loro una madre che aveva accompagnato la figlia. In quella discoteca nei presse di Ancona erano lì, stavano ballando, aspettando il trapper Sfera Ebbatsa, che avrebbe tenuto un concerto.

All’improvviso, un odore strano. Quello di uno spray urticante al peperoncino. La paura, tutti che fuggono. I buttafuori chiamano dicendo di tornare indietro, i ragazzi, impauriti, si accalcano alle uscite. Una di esse dà su un ponticello, che cede sotto il peso. Chi cade nel torrente di sotto viene schiacciato.

Ci sono urla, terrore, ambulanze, 100 feriti, di cui 10 gravi, e sei persone che non ce l’hanno fatta.

Ecco la tragedia vista da due versanti: quello di un padre, la cui figlia va spesso in quella discoteca che è stata cornice della tragedia che ha visto morire cinque giovanissimi e una mamma dopo che qualcuno ha lanciato dello spray urticante, facendo fuggire tutti, e quello del trapper Sera Ebbasta, che avrebbe dovuto suonare su quel palco di lì a poco, spettatore innocente, come lo fu qualche anno fa Ariana Grande.

“Sono le 2,30 di notte. Squilla il telefono di Riccardo, mio amico e papà di Laura. C’è proprio lei al telefono, è sotto choc perché la morte spaventa tutti, ma quando ti sfiora a 15 anni rappresenta un fatto non codificabile : “Papà, qui c’è stata una tragedia, io per fortuna sono scappata dalla parte giusta”. 

Poi la notte in bianco, le lacrime, il tentativo di riconnettersi con la realtà, ma tutto è stravolto. Siamo finiti dentro la pagina di un libro che non ci appartiene. Testa o croce. A Laura e alle sue amichette è andata bene. Ad altri no. 

Le parole, le immagini, le testimonianze, i commenti si fermano sul bordo del baratro. Non è possibile procedere oltre. Per nessuno. “Don’t cross the line” c’è scritto sui nastri di plastica che usa la polizia per delimitare la zona del crimine. Qui è la stessa cosa. Da una parte le parole e dall’altra i morti.

Ho sentito decine di volte, in questi anni, pronunciare da mia figlia questa frase : “Papi, vado a La Lanterna”. Mai stato tranquillo di fronte a quelle parole, perché le poche volte che la sono andata a prendere (in genere rientrava con la navetta) mi ero trovato di fronte a un gelido campo profughi perso nel mezzo della campagna. Ragazzi a torso nudo che bivaccavano all’aperto alle quattro di mattina ricoperti solo dalla nebbia pungente dell’inverno. Vomito ovunque, gente che camminava senza meta stordita da alcol e non solo. 

E tutte le volte la stessa domanda fatta a mia figlia: “Ma come facevate a stare tutti lì dentro?” è tutte le volte la stessa risposta : “Hai ragione papi, ogni tanto devi uscire a respirare, perché lì dentro non ce la fai a muoverti”.

Ogni rientro a casa all’alba aveva il sapore di un pericolo scampato. La notte di un genitore si divide in due parti: la prima è fatta di un sonno leggero accompagnato da un sottile velo di angoscia, perché sai che tuo figlio (la cosa più importante della tua vita) è stipato come un maiale in un allevamento intensivo, all’interno di un anonimo capannone. Un fragile cristallo sbattuto dentro la centrifuga di una lavatrice. La seconda parte della notte, quella in cui riesci finalmente a prendere sonno, corrisponde al rumore della chiave nella serratura della porta di casa. Allora ti rilassi, allora pensi “è andata bene anche questo giro”. 

Una volta con mia moglie andammo a “recuperare” Marta a “La Lanterna”. La notte era illuminata da bagliori sinistri di fuoco che si alzavano alti. Sirene e Vigili del fuoco. La macchina andava avanti per forza d’inerzia accompagnata solo dal nostro silenzio che assomigliava al terrore. 

Arriviamo e scopriamo che un gigantesco fienile a due passi dal locale sta bruciando, un incendio che si è poi protratto per oltre 24 ore. 

Ricordo la sensazione di pericolo scampato, di paura che si scioglie lasciando il posto a un sollievo infinito.

Questa volta è andata diversamente. Adesso tutto è veramente accaduto. Probabilmente dentro erano in troppi, probabilmente qualcuno ha utilizzato una bomboletta di gas urticante, “probabilmente” in questi casi è la parola più gettonata, ma purtroppo, al momento, la sola certezza è quella del dolore. Forse noi genitori dovremmo essere meno succubi dei nostri figli, perché in fin dei conti sappiamo che dentro quei capannoni travestiti da discoteche c’e poco da stare tranquilli, ma poi i ragazzi ci sputano in faccia una frase che utilizzano come un lasciapassare : “Guarda che ci vanno tutti!! Non posso essere il più sfigato!!”. E allora noi, docili, come agnelli, di fronte a quella frase ci arrendiamo, li lasciamo andare e incrociamo le dita sperando che tutto vada bene. Questa volta è andato tutto male. 

In quell’angolo di campagna apparentemente innocua sono morti i nostri figli. Quelli hanno le Nike, i jeans a tubo, le caviglie scoperte e qualche tatuaggio sparso, frutto di trattative estenuanti con le madri. Sono morti i nostri figli che l’otto dicembre avrebbero dormito fino a mezzogiorno, presentandosi direttamente per il pranzo con gli occhi ancora pieni di sonno. 

In questi giorni ho ripreso in mano “La banalità del male” di Hannah Arendt ed è proprio vero che molte tragedie si consumano così, perché il male a volte per essere generato non richiede un impegno eccessivo. Basta voler guadagnare cinquemila euro in più, riempiendo un capannone come fosse un vagone merci che punta su Auschwitz. Basta vendere dieci bottiglie in più di super alcolico, fregandosene di tutto. Ciò che conta sono i soldi finiti in cassa. Basta spruzzare un gas urticante pensando che sia un gioco o poco più.

E qui finiscono le mie parole che si uniscono a quelle di tanti altri. Qui finisce tutto. Resta il silenzio. Resta la speranza che i feriti gravi riescano a sopravvivere e che si trovino i colpevoli. Resta scolpita per sempre nei nostri calendari una data di morte. 8 dicembre 2018”.

Sotto shock anche il trapper:

“Sono profondamente addolorato per quello che è successo ieri sera a Corinaldo. È difficile trovare le parole giuste per esprimere il rammarico e il dolore di queste tragedie. Non voglio esprimere giudizi sui responsabili di tutto questo, vorrei solo che TUTTI QUANTI vi fermaste a pensare a quanto può essere pericoloso e stupido usare lo spray al peperoncino in discoteca.

Grazie a tutte le persone, le ambulanze e le forze dell'ordine che hanno prestato soccorso durante la notte. Per quanto a poco possa servire, il mio affetto e il mio sostegno vanno alle famiglie delle vittime e a quelle dei feriti e proprio per rispetto di questi ultimi gli impegni promozionali e gli instore dei prossimi giorni verranno cancellati. La musica dovrebbe essere uno strumento che unisce le persone, speriamo che lo diventi davvero”

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