CRONACA
“Sarco”, l'allarme di Zimmermann: “Pratica cinica, servono regole rigorose”
Il presidente della Commissione nazionale d’etica in materia di medicina umana: “Le persone muoiono sole e isolate, come durante la pandemia. Una morte inumana che sta diventando pratica quotidiana”  

FRIBURGO - Le richieste di suicidio assistito in Svizzera stanno aumentando in modo preoccupante. Con quasi 1.500 casi all'anno solo tra i residenti, la Commissione nazionale d’etica in materia di medicina umana (Cne) chiede una riflessione profonda sulle implicazioni di questo fenomeno, inclusa la possibilità che le pratiche esistenti non tengano conto delle complesse dimensioni etiche, psicologiche e sociali del porre deliberatamente fine alla propria vita.

È di lunedì la notizia del primo suicidio con la controversa capsula “Sarco”, avvenuto nei boschi del Canton Sciaffusa e che ha portato a diversi arresti, in quanto il dispositivo non era conforme alla legge, come dichiarato dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider. Sul caso, che ha avuto risonanza internazionale e ha suscitato innumerevoli discussioni dubbi e polemiche, il Ministero pubblico ha aperto una procedura penale per incitamento e assistenza al suicidio.

In merito è intervenuto anche il presidente della Cne Markus Zimmermann, professore di etica sociale cristiana all'Università di Friburgo, che da oltre 30 anni si occupa di questi temi. In una lunga intervista rilasciata a laRegione, il teologo ha espresso preoccupazione per l'uso della “Sarco”: “Il caso di Sciaffusa è stato una gigantesca e orribile messa in scena. Trovo assurdo che una sofferenza tale da parte di una persona che arriva al punto di scegliere di togliersi la vita venga mediatizzata in questo modo. Inoltre, nella narrazione moderna sull’’ars moriendi’, l’arte del ‘morire bene’, vi sono diversi modelli positivi. Ma la ‘Sarco’ è un modo di morire inumano: le persone muoiono sole, isolate, senza i propri cari vicino e senza accompagnamento, come durante la pandemia. Dopo aver premuto il pulsante, l’azoto si diffonde nella capsula e la persona al suo interno muore per asfissia tra panico e senso di soffocamento”. Per questo Zimmermann critica aspramente Philip Nitschke, il 76enne australiano inventore della “capsula della morte”, accusandolo di cercare notorietà tramite un approccio spietato a un tema così delicato come quello del suicidio assistito.

E ciò che desta maggior preoccupazione - aggiunge il teologo - è che “con quasi 1500 casi di suicidio assistito all’anno, questa pratica stia diventando quasi quotidiana”. In particolare Zimmermann pone l’accento su come, sebbene la Svizzera sia considerata un paese liberale in questo ambito, vi sia la necessità di regole chiare e di controlli, visto la tendenza crescente del fenomeno. “In Svizzera il suicidio assistito è regolato in modo permissivo e ogni Organizzazione attiva nel settore si autogestisce senza una supervisione centralizzata, secondo leggi vecchie di vent’anni. Urge una seria riflessione sulle sfide morali e pratiche che sorgono da questo fenomeno in espansione e occorre adottare una regolamentazione più attuale e rigorosa, con linee guida chiare che possano tutelare le categorie più vulnerabili, come adolescenti e persone affette da disturbi psichici, e garantire che le decisioni individuali siano basate su criteri etici solidi”, conclude il teologo.

 

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