IL FEDERALISTA
Spesa pubblica, un'altra prospettiva
Tra gli usuali poli di Stato e mercato c'è altro: la società, con i suoi corpi intermedi. Una riflessione tra Tocqueville e la Dottrina sociale della Chiesa

di Claudio Mésoniat - articolo pubblicato su ilfederalista.ch

Scrive Alexis Tocqueville nel suo "La democrazia in America" (1835): "Nei Paesi democratici, la scienza dell'associazione è la scienza madre; il progresso di tutte le altre dipende dai progressi di questa. Tra le leggi che reggono le società umane, ve n'è una che sembra più precisa e più chiara delle altre . Perché gli uomini restano civili, o lo divengano, bisogna che tra loro l'arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni , nella stessa proporzione in cui aumenta l'uguaglianza delle condizioni”. (p.423)

Lo studioso francese intuiva però che "i compiti del potere pubblico aumenteranno di continuo , ei suoi stessi sforzi li renderanno ogni giorno più vasti. Più esso si metterà al posto delle associazioni , più i privati, rinunciando all'idea di associarsi, avranno bisogno che venga in loro aiuto: sono causa ed effetti che si ingenerano l'un l'altro senza tregua". Egli temeva il sorgere di "un potere immenso e tutelare , assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite. Assomiglierebbe all'autorità paterna se, come questa, avesse lo scopo di preparare l'uomo all'età virile, mentre non cerca che di arrestarlo irrevocabilmente all'infanzia ; è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi".

Prendo le mosse dalle parole del primo geniale indagatore delle nascenti società democratiche per due ragioni, solo a prima vista disparate .

La prima è il ritorno sulla scena pubblica mondiale della cosiddetta “Dottrina sociale della Chiesa” , oggetto quasi… smarrito, da decenni confinato nelle encicliche papali dette “sociali”, al quale tuttavia proprio un Papa fresco di elezione promette di ridare giovinezza, avendo egli scelto il nome pontificio di Leone XIV, tra l'altro, per ricollegarsi simbolicamente al predecessore Leone XIII, il Papa che diede vita a questo oggetto “sconosciuto” (sebbene qua e là citato nei programmi di partiti e sindacati che se ne dichiarano ispirati), la Dottrina sociale della Chiesa ( DSdC ) appunto.

La seconda ragione che mi collega alla profonda lezione di Tocqueville e alla sua saggezza premonitrice è un interessante dibattito in corso da settimane su laRegione con la partecipazione di numerose firme dell'economia, della politica e del giornalismo locali, un vero torneo che ricorda in qualche modo le appassionate dispute medievali. Oggetto del contendere: il debito pubblico.

Parola strana, idea più preziosa dell'oro

Iniziamo dunque dalla Dottrina sociale della Chiesa . Legittimo chiedersi che cosa abbia a che fare il laico e dichiaratamente non credente Tocqueville con la DSdC. Facile rispondere: se la DSdC affonda la sua radice nel valore assoluto della persona, ha però il suo tronco nel cosiddetto “principio di sussidiarietà” , mentre le fronde del suo albero coincidono con l'altro grande principio della DSdC, quello (ben più noto e di immediata comprensione) della “solidarietà”. Principio di sussidiarietà? Altro oggetto misterioso e per solito mal compreso. Di cosa si tratta?

Ebbene, quella “scienza dell'associazione”, quella legge “più precisa e più chiara delle altre che reggono le società umane”, quell' “arte di associarsi” che sola , a parere di Tocqueville, permette di evitare il crearsi di “un potere pubblico immenso e tutelare”, coincide perfettamente con il citato principio di sussidiarietà .

Principio che, senza negare il ruolo imprescindibile dello Stato , ne afferma appunto la sussidiarietà rispetto ai “corpi intermedi” che liberamente le persone costituiscono associandosi: dalla famiglia all'associazionismo di ogni specie, a cominciare da quello religioso, passando per quello di carattere culturale, educativo, alle varie forme di ong, fino all'impresa, al sindacato, al partito politico . Sussidiario è uno Stato che favorisca questi corpi sociali, questi spazi di libertà e creatività in funzione del bene comune , non uno Stato che tenda a sostituirsi ad essi.

Un concetto, quello di sussidiarietà, che contrasta la concezione individualistica della persona (oggi dominante nella mentalità comune, da destra sinistra) che innerva le ideologie politiche le quali, da un lato, deve lo Stato un “male necessario” per regolare l'iniziativa economica privata che "muove la storia", e dall'altro lo innalzano a forma suprema, più dignitosa e compiuta di convivenza tra gli uomini. In entrambe le concezioni l'esistenza dei corpi intermedi appare in qualche modo più tollerata che profusa.

Debito pubblico: tra i due litiganti...

Vengo così alla seconda ragione di questa breve e sommaria riflessione che ha preso spunto da Tocqueville e dalla DSdC, ossia il dibattito in corso sul debito pubblico in Ticino . A combattere sul tema da una parte che ne sostiene la necessità e bontà strutturale, dall'altra chi mette in guardia dalla sua crescita, giudicata fuori controllo e come tale generatrice di squilibri che peseranno, in particolare, sulle generazioni future.

Non intendo qui aggiungere il mio parere sul merito della disputa in quanto tale, parere che non sarebbe di gran peso date le mie conoscenze poco più che elementari sui dati finanziari e sui dinamismi economici della questione. Posso solo notare che a prima vista sia i “fautori” che i “frenatori” riconoscono l'utilità dello strumento “debito pubblico” , dividendosi piuttosto sull'entità delle sue cifre .

Di qui prende avvio uno scambio di reciproche accusa tese –tra l'altro- a svelare l'inconfessata componente ideologica soggiacente all'argomentazione del fronte avverso : statalista a sinistra, neoliberista a destra (accusa quest'ultima sottolineata espressamente dall'intervento di Pietro Martinelli , con sfida aperta a… incrociare le spade).

Vorrei qui introdurre un terzo fattore –quello appunto della sussidiarietà - che, se per un verso può senz'altro avere incidenza sul fenomeno della spesa pubblica , penso possa avere un peso ancor più decisivo su altri due aspetti trascurati ma non secondari della nostra convivenza: la qualità dei servizi che rispondono a determinati bisogni e il mantenimento della vitalità e creatività dei singoli e del corpo sociale . Tenterò di farlo attraversi due esempi, l'uno tratto dal nostro presente e l'altro dalla nostra storia recente.

Esempio 1. Se lo Stato imparasse dalla società…

Una parte non irrilevante dell'aumento di spesa pubblica è oggi dovuta a interventi su bisogni sociali , in parte generata dal disfacimento in corso della struttura famigliare (basilare corpo intermedio), ma in molti casi dovuti a una accresciuta e solidale sensibilità verso le differenze e le disabilità ( “inclusione”, per usare il termine mantra). Il primo esempio riguarda – in chiaro/scuro come vedremo – la formazione professionale per disabili . Prendo spunto da una piccola realtà educativa situata nel Mendrisiotto, la Fondazione Sant'Angelo di Loverciano.

Si tratta, come si legge sul sito della Fondazione, di "un'opera educativa e formativa per giovani con bisogni speciali. Ne promuove lo sviluppo, lo studio e l'introduzione al mondo del lavoro e offre alle loro famiglie un luogo di condivisione e di sostegno". Preciso subito: si tratta di un'opera appartenente al privato sociale e –per quanto mi risulta- sostenuta opportunamente, oculatamente e in giusta misura dal Cantone . Non mi attardo neppure su genesi e sviluppo dell'opera, nata nei primi anni '50 da un ordine di suore appartenenti alla Congregazione di Ingenbohl (ovvero nell'ambito della solidarietà praticata da secoli nella Chiesa cattolica), che vi crearono un istituto riservato all'insegnamento specializzato, ripreso nel 2007 dall'odierna Fondazione.

Ebbene, si tratta dell'unica realtà che in Ticino offre non solo la scolarizzazione per giovani bisognosi di educazione speciale, ma anche un percorso di formazione professionale (nei settori: economia domestica, cucina, manutenzione immobili, giardinaggio, agricoltura). Non mancano nel Cantone eccellenti “laboratori protetti” , che rappresentano tuttavia per le persone disabili un punto di arrivo e di permanenza sine die . Loverciano costituisce invece per molti di loro il punto di partenza per un inserimento nel mondo del lavoro . Anche per questo le richieste di iscrizione superano i posti disponibili nell'istituto.

Dove sta il punto? In buona parte dei Cantoni svizzeri –soprattutto in quelli della Svizzera tedesca- la formazione per disabili è da decenni presente e diffusa, in varie forme. Sorge dunque la domanda: perché il Ticino non prende spunto dall'esperienza di Loverciano e da quella di altri Cantoni per promuovere e sostenere analoghe scuole professionali per disabili? Costo ? Si consideri che sarebbero sostenuti direttamente dalla Confederazione tramite l'Assicurazione invalidità (AI), che li riassorbirebbe nel tempo grazie alla riduzione della copertura. Un giovane disabile impegnato professionalmente, infatti, sia pure in modo limitato dalla sua condizione, avrebbe un reddito anziché rimanere perpetuamente ed esclusivamente a carico dell'AI in laboratori protetti.

Al di là di quello finanziario, inoltre, a nessuno può sfuggire l' aspetto della qualità del servizio sociale , dal punto di vista educativo –rafforzato da una costante collaborazione con le famiglie dei giovani disabili-, nonché da quello dell'inserimento sociale , vantaggio inestimabile per le persone portatrici di handicap ei loro genitori.

Esempio 2. L'università della sussidiarietà

Di natura in parte diversa, il secondo esempio. La sussidiarietà ha infatti un'altra dimensione di sviluppo oltre a quella cosiddetta “orizzontale” (rapporto Stato-società) alla quale il primo esempio ci ha introdotti. Si tratta della sussidiarietà “verticale” , che si gioca invece nel rapporto tra i diversi livelli dello Stato stesso, nel nostro contesto svizzero quelli di Comune, Cantone e Confederazione . L'esempio ci riporta indietro di una trentina d'anni, nella fase nascente dell'Università della Svizzera Italiana ( USI ).

L'USI nasce nel 1996. La compongono in origine due tronconi , uno dei quali a statuto privato-comunale , l'altro cantonale . Quest'ultimo, l'Accademia di Architettura con sede a Mendrisio, era in cantiere già da tempo, concepito dall'architetto Mario Botta e da subito sostenuto dal consigliere di Stato Giuseppe Buffi, con il Comune di Mendrisio pronto a offrire gli stabili per insediarvelo. L'USI sarebbe dunque nata con un'unica facoltà se… nel 1993 la città di Lugano, in modo del tutto inatteso, non aveva sottoposto allo stesso Buffi un progetto per la creazione di due facoltà (Scienze della comunicazione ed Economia).

Com'è noto, il progetto, caldeggiato dal domenicale “Il Mattino della Domenica” di Giuliano Bignasca, fu ideato dal municipale di Lugano Giorgio Salvadè e da un gruppo di suoi consulenti, fatto proprio dal sindaco Giorgio Giudici che, con il sostegno di Buffi, riuscì abilmente in tempi brevissimi ma con trattative complesse a ottenere il beneplacito (ei finanziamenti) di Berna . Le due facoltà luganesi videro la luce quali enti appartenenti a una Fondazione privata, sostenuta dal Comune . Un'operazione condotta dunque su un doppio binario, di sussidiarietà orizzontale e verticale.

Ho ricordato questi passaggi per sottolineare come la nascita “dal basso” abbia consentito, con straordinaria efficacia e rapidità (e in pratica a costo zero ) la creazione di una università di lingua italiana in Svizzera, dopo che da oltre un secolo Cantone e Confederazione si ingegnavano e si affannavano nel concepire progetti finiti poi nel nulla . Un caso –potremmo dire- “di scuola” che, insieme all'esempio precedente, dovrebbe spingere una politica ancora spesso ferma a dibattiti ideologici ad aprire i propri orizzonti alla sussidiarietà.

Una battuta, per concludere, sull'uso del paragone analogico tra Stato e padre di famiglia –entrambi chiamati a gestire oculatamente le finanze a disposizione-, contestato dagli “spendaccioni” ai “risparmisti”. È curioso che lo stesso Tocqueville -nel testo sopra citato- faccia ricorso alla medesima metafora, là dove egli mette in guardia dal crescere di “un potere immenso e tutelare, assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite”, quello di uno Stato, che “assomiglierebbe all'autorità paterna” . Consiglierei dunque anch'io –ma per tutte le altre ragioni- di evitare la metafora.


 

 

 

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